Taglio dell'erba per gli animali del podere

Taglio dell'erba per gli animali del podere

domenica 29 novembre 2015

Sensazioni di una notte di fine Novembre

Luna calante in questa notte di fine Novembre.
Fuori tira vento del nord, e le chiome dei cipressi si piegano sotto a tanta forza.
Non passa alcuna macchina, e solo la grondaia che sbatte fa eco intorno casa.
Sporadiche nuvole corrono, illuminate a giorno.
Rimango alla finestra, ancora per poco, mentre il freddo pare conquistare la stanza.
Chiudo gli scuri piano per non disturbare questa quiete.
Il camino è acceso, e mi ci siedo di fronte: gioco con un legno e la brace.
Il cane russa nella cuccia calda, e del gatto non ho notizie da qualche ora.
Tutto dorme nella casa, mentre io adesso ascolto il crepitio del fuoco.
E' tardi, e la sveglia accanto al camino segna le 01:49.
Non riesco a dormire, ma il divano pare cullarmi.
Tra poco è già mattina.
Tra poco ci sarà la cagna da liberare, mentre mi salterà addosso per la gioia di vedermi, elemosinando carezze ed attenzioni.
Pochi passi, ed ecco che arriverà la truppa dei gatti, affettuosi solo in quell'unica occasione mattutina, nella speranza che possa dar loro qualcosa per riempire le loro pance...opportunisti.
Aprirò la baracca, un veloce controllo, i guanti da prendere, e scenderò nel pollaio: i galli (oramai troppi) saranno già spavaldi dopo chissà quanto cantare, e le galline saranno disposte tutte in prima fila per accaparrarsi le leccornie che la notte avrà saputo lasciare a loro oltre quella rete.
I conigli, la loro pulizia, l'acqua da riempire nelle bottiglie rovesciate, il fieno di medica, la pulizia sotto al gabbione.
Un giro per il recinto a controllare che tutto sia in regola.
Via verso la stalla, dove le capre inizieranno a belare reclamando il primo fieno del giorno.
Ma prima c'è la pulizia del recinto piccolo, da togliere il fieno vecchio, avanzato dalle mense del giorno avanti, da togliere tutte quelle palline che rotolano scosse dalla mia scopa: la carretta colma, e nuovo "nutrimento" per il mio orto.
Il primo reparto, dove la bianca e la grigia aspetteranno di uscire: la pulizia della lettiera, il fieno nuovo in rastrelliera, l'acqua da cambiare.
Poi l'altro reparto, dove il branco spingerà e belerà sempre più forte, come se non mangiassero da settimane...
Le libererò, e via di corsa ad accaparrarsi la miglior posizione nel recinto, dando testate e cornate per conquistare il cumulo di fieno migliore.
La loro lettiera da rimuovere, pulire e sostituire; l'acqua nel secchio sarà sporca come ogni mattina, e ci sarà anche da aggiustare la rastrelliera che il becco regolarmente sgancia durante la notte.
Via dalla stalla delle capre, alla volta di quella delle cavalle, troppo distante dal Podere ma pur sempre da fare: una carretta di cacca, la corsa delle cavalle al pascolo, la preparazione con il fieno per il loro rientro serale.
Rientrerò al Podere, e ci sarà la prima carica di legna del giorno: la misura per la stufa, quella per il camino, la carriola pesantissima accostata alla finestra della sala, la legna sistemata sul davanzale sino a tappare tutta la finestra.
Il cane di casa (che si sarà svegliato) libero a congiungersi nelle corse della cagna nera.
Gli stivali carichi di "ognibbene" da lasciare fuori dall'uscio, la legna da togliere dal davanzale e sistemare accanto al camino.
Saranno quindi le 9:00 quando avrò finito tutto, e ci sarà il momento di una tazza di orzo caldo (fatto nella napoletana sulla stufa a legna), un momento per tirare il fiato, e poi di nuovo in partenza, con tutta una giornata di lavoro davanti.
...Tra poco è già mattina, mentre la sveglia accanto al camino segna le 02:10.
Le palpebre si fanno pesanti, carico la stufa, il camino, e prendo la via del letto.

domenica 22 novembre 2015

Alleggerirsi...

Senza dubbio questo 2015 è stato un anno di importanti cambiamenti.
Se è vero che il 2014 era stato quello delle decisioni, in questo le decisioni prese in precedenza si sono evolute in fatti e novità.
Tanto su un piano prettamente professionale, quanto e sopratutto sul mio stile di vita, si sono consolidate quelle "certezze" che mi avevano spinto sino a qui, ed ho trovato nuovi ed importanti stimoli al fare che mi  vedranno sempre più impegnato nel futuro.
Gestire la mia piccola azienda agricola, come facevo oramai da anni...gestire buona parte di un'altra azienda agricola, come da anni era nell'aria che potesse accadere...avere una marea di idee e progetti...avere da rendere conto a se stessi... avere da rendere conto a terzi...ed avere solo 24 ore e due mani per fare tutto questo.
Le considerazioni mi hanno portato alle inevitabili rinunce, ai sacrifici da fare in prospettiva, al tempo che necessariamente devo dedicare anche al mio riposare: da qui la necessità di alleggerirmi.
Alleggerirmi di quelle cose pesanti (in un modo o nell'altro) che mi porto dietro, e che affaticano il mio cammino.
Alleggerirmi di quei fardelli che continuo a sopportare senza più scopo di farlo.
Alleggerirmi dell'inutile, tanto materiale quanto immateriale, e fare pulizia.
Ed è così che un giorno ho aperto l'armadio di camera ed ho deciso di dare via la metà della mia roba: come mosso da un impulso irrefrenabile, ho sentito la necessità di interrompere tutto quel "trattenere" che sempre mi aveva contraddistinto, ed ho ceduto ben volentieri tanti indumenti che avevano rappresentato qualcosa, o che forse avrei potuto indossare nuovamente (magari dimagrendo...magari ingrassando).
Ho considerato sopratutto il fatto che, di vestiario "per ricambiarsi" (ossia non lavorare in campagna) uso sempre i medesimi capi: due-tre paia di pantaloni, due-tre maglioni, quattro-cinque camice, quelle dieci fra polo e magliette, e via così.
Quei panni non più portati venivano tenuti da parte, custoditi nel ricordo o nella prospettiva, ingombrando spazio, ed allontanandomi dal presente, momento in cui io vivo... ed appunto mi vesto.
E dopo l'armadio è stata la volta della mia scrivania, così piena di fogli e foglietti, appunti e ricordi: stivare tutta quella carta mi ha dato un senso di serenità, quasi come a voler far ordine anche nella mia testa.
E poi i soprammobili, i ninnoli, i ricordini: dal tappo di quella famosa bottiglia bevuta quella famosa volta...al posacenere brutto e sbeccato, dalla statuetta al vaso, e via...
Alleggerire, ed alleggerire la cucina, liberandosi di quelle stoviglie e quei tegami oramai oltremodo consunti e figli di troppi traslochi: generazioni di alluminio, acciaio, ferro e terracotta, mai usate, e tenute lì perchè ereditate...perchè "un giorno avrebbero potuto far comodo"...perchè "era un peccato buttarle via".
Sia chiaro che non ho tenuto il moderno e dato via l'antico (anzi...), ma ho deciso di eliminare (regalando, riconvertendo per altri usi o buttando via) quanto effettivamente era oramai vetusto o consumato.
Alleggerirsi, per il piacere di fare spazio...dare aria ad un mobile, un cassetto, una mensola: sentirmi finalmente più libero di introdurre qualcosa di diverso in tutto quello spazio recuperato.
Ed ecco che, come una metafora, anche nel mio vivere è accaduta la medesima cosa.
Non aver più voglia di essere accondiscendente "a prescindere", e dovermi alleggerire di quei carichi che inevitabilmente mi si accumulano invisibili (ma pesanti) sulla testa.
Credo di aver inviato a fare in culo più persone in questo 2015 che nei 35 anni vissuti prima.
Spesso questo porta a dei risultati positivi: accorciare (se non addirittura eliminare) quelle lente agonie che nascono quando c'è insoddisfazione; avere quella BELLA botta d'adrenalina nel gelare chi si ha davanti ed è convinto di poter dettare tutti i tempi della discussione e della riflessione; porre un limite a chi evidentemente non ritiene di doverne avere con il prossimo.
Alleggerirsi di quelle presenze che mi creavano disagio, così ricche di domande scontate e così vuote di risposte: persone dai contenuti distanti, empie di interessi per me sterili, semplicemente disinteressate da quanto di diverso ci sia oltre i loro propri convincimenti.
Alleggerirsi quindi da quei rapporti che non concepiscono scambio, e scegliere di lasciar spazio ad altri incontri, altre frequentazioni, o piuttosto ad una sana solitudine temporanea.
Sentirsi dire "scusa, hai ragione", è alleggerirsi dai dubbi di non averne mai avuta abbastanza (di ragione), e provare uno strano e nuovo conforto nel pensiero degli altri.
Alleggerirsi di quel ruolo colmo di Pazienza ed Autorevolezza, e lasciar vincere quell'Autorità che non deve avere per forza un'accezione negativa, ma che piuttosto fornisce carburante per l'ingegno e la realizzazione.
E non sarà certo l'essere considerato stronzo a fermarmi: in trentasei anni mai nessuno me lo aveva detto, e mi lascia sorridere che in questo periodo mi capiti di essere accostato a tale figura, solo perchè ho aggiunto SANA DECISIONE alla mia vita. Chi mi dice questo non ha voglia ci comprendere quanto io stia facendo, e quindi non me ne curo affatto e vado avanti per la mia strada.
E poi viene il web, dove poco parlo "del mio" e dove tanto parlo "di me".
Alleggerirsi, senza mollare questo spazio, in un momento in cui va tanto di moda farlo: lontano dalle "pause di riflessione" e dal "periodo sabbatico", sento che se venissi meno all'appuntamento con questo blog rischierei di appesantirmi di quelle parole non dette, e di quel silenzio fatto di frasi al vento.
Un 2015, dove Alleggerirsi è la parola d'ordine, e dove devo comprendere ancora bene LA MISURA di tutto questo nuovo (o ritrovato).
Ma sorrido a tutto questo, ed ho il cuore pieno di emozione quando vedo che il mio costruire è assai più solido e concreto, libero finalmente da quegli orpelli (oramai inutili e scomodi) che continuavo a trattenere.


Intanto, da questa notte è ufficialmente arrivato il freddo, dopo una quindicina di giorni trascorsi in manica di camicia, a sudare e tenere il camino spento.
Le capre guadagnano il pascolo, le api si preparano all'invernamento, la cavalla ha messo il pelo invernale.
Nell'orto un tunnel di tessuto/non tessuto mi dovrebbe assicurare cavoli ed insalate, mentre le fave son spuntate e le bietole resistono rigogliose.
Nella cantina il prosciutto ha smesso di sudare, ed il cacio profuma come non mai.
Ho voglia di fare foto...

domenica 8 novembre 2015

Racconto di Vita Anacronistica: nella notte e nell'alba (5° parte)


Poichè questo è il capitolo più difficile da scrivere, per troppo tempo ho sospeso il racconto del mio cammino: ma oggi sento la necessità di proseguire, quasi come ad esorcizzare quanto fu cupo e difficile per me.Custode del mio privato, al di là di ogni blog ed anonimato, quanto lascerò per iscritto è il massimo che io riesca a fare adesso.

Avere diciott'anni dava forza e sicurezza: in quella nuova arroganza con cui ambivo all'abbandono dell'adolescenza, a favore di una maturità tanto agognata, vivevo quel passaggio verso la maturità con entusiasmo e timore.
Quell'estate era così lunga e divertente, tra consapevolezze e scoperte, amicizie che sfumavano per sempre, ed amicizie che mettevano solide e profonde radici.
Uno zaino scassato pieno di libri pesanti, il cappellino "tenuto in punta" con il ciuffo libero, l'immancabile camicia a quadretti, dei jeans e delle scarpe da ginnastica: così mi ricordo in quel primo giorno dell'ultimo anno scolastico.
E da li a due mesi iniziai a carburare a pieni giri, divertito di quanto andassi finalmente a studiare.
I compagni di classe, oramai con barba e determinazione, quotidianamente passavano in rassegna quanto desideravano dal loro futuro, e neanche io non mi sottraevo a quel gioco così reale.
"Prenderò in mano l'azienda di famiglia!"
"Andrò all'università, diventerò Agronomo e volerò via da questo paese"
"Intraprenderò la carriera militare"
A sentirli anche oggi quei ragionamenti parrebbero tanto attuali.
Io pensavo che l'università sarebbe stata la giusta via, ed in Veterinaria vedevo buona parte del mio futuro, ma non volevo specializzarmi negli animali da compagnia, bensì studiare gli animali da reddito: mucche, cavalli, maiali, pecore e capre erano il mio sogno...e mi immaginavo in quel podere a pietra sul poggetto, con la piccola clinica veterinaria a piano terra, e la mia stalla sul retro.
Un Veterinario Agricoltore...un "Veterinagricoltore" dicevo io, lasciando sorridere quanti mi ascoltassero.
Un Veterinario che curava gli animali con soluzioni alternative, e già m'immaginavo mezzo erborista e mezzo stregone, recuperando dalla tradizione contadine tutti quei rimedi di sempre che nascevano da quanto c'era a disposizione; un Agricoltore che lavorava la terra, si spaccava la schiena, e realizzava foraggio per i propri animali e cibo per la propria famiglia.
Una visione certamente romantica, e tanto...tanto Anacronistica.
Quelli erano gli anni in cui si doveva parlare solo di chimica, di meccanica, e dove la luna e gli antichi rimedi erano visti oramai come barzellette: sinceramente me ne infischiavo, e mi vedevo con la barba lunga, scendere da un vecchio trattore rosso, ed entrare nella stalla, per poi infilarmi un camice ed andare in clinica.
Ancora oggi mi capita di sognarmi in quel modo, con quella stufa a legna accesa nella piccola sala d'aspetto, e quell'odore di stalla che c'era nell'aia...
Il paesello non lo avrei lasciato mai: per me sarebbe stato come scappare da me stesso, e non rinunciavo al sogno/convinzione di rimanere dove i miei genitori, ed i miei nonni prima di loro, ed i miei bis nonni prim'ancora avevano lavorato, vissuto e riversato aspettative.
"Un vero Agricoltore deve essere prima di tutto attaccato alla sua Terra" e non avrei mai tradito questo vecchio adagio.
Ed appunto, la scuola procedeva, mentre vivevo una vita certamente serena ed anche spensierata: nella gioia di quel momento così ricco di emozioni mi tingevo i sogni di un colore "più reale", affrontando la vita con maggiore spavalderia rispetto al passato, e non nascondendo quell'ambizione che mi portava a vedermi sempre più vicino al mio essere Grande.
...
Non può un episodio, per grande che esso sia, cambiare tutto.
...
La notte può arrivare anche all'improvviso, in un'eclissi che impaurisce e destabilizza.
La notte può durare ben oltre molti notti.
La notte può essere senza luna, senza calore, e senza ricordo.
La notte può cancellare molto del giorno, lasciando solo una lontana e fievole speranza di Alba.
A diciott'anni e pochi mesi ho vissuto la notte più lunga della mia vita.
Durante questa notte non ritengo di aver mai cessato il mio cammino, ma questo è inevitabilmente cambiato, portandomi a dimenticare quanto fu, ed a rimparare da capo molto di quanto oramai davo per scontato.
Un attimo ero grande, ero uomo, e l'attimo dopo ero tornato infante: un infante nel corpo di un uomo, con cuore e mente di uomo, con mani di uomo, con barba e pensieri di uomo...con orgoglio di uomo.
Come con un'elastico dietro alla schiena che mi strappava violentemente dal presente e che mi riportava a quanto ero stato, vivevo quella catarsi con buona parte del mio corpo che non mi apparteneva più, ma con la consapevolezza che Cuore e Mente c'erano ancora, ed ancor di più rafforzati.
E' così accadde da subito.
Convinto ed Ostinato. mi sentivo nudo e schiacciato da troppe armature, ma non ero da solo, ed anche nel più assordante silenzio di quell'interminabile notte, sempre percepivo l'Amore continuo ed incondizionato che mi accompagnava da tutta una Vita.
I miei genitori, i miei nonni, i miei amici, a guardarmi lentamente riprendere buona parte di quanto mi era stato tolto, a seguirmi nelle evoluzioni, ad affiancarmi nel Nuovo che di lì in poi sarebbe stato.
Era nelle paure altrui che io trovavo il modo di non averne, quasi ironicamente, mai abbassando la guardia, ma sempre sminuendo quanto mi stava accadendo.
Tanti piccoli minuscoli mattoni, pesanti e scomodi, da ritrovare o ricostruire, da posizionare, da consolidare nelle fondamenta della mia Seconda Vita: in ogni giorno, in ogni attimo, in ogni parola, in un perpetuo impegno.
...
Le lune passarono, e le stagioni si avvicendarono portandomi a conoscere la mia Nuova Vita, togliendomi a forza quella maschera senza sorrisi, e scoprendo quanti profumi nascosti ci fossero attorno a me.
Gli Amici vegliarono, e tra loro si distinse perfino l'Amore che fa male, la Mano tesa a prescindere ed Enne (il Parente Scelto).
Rivedere la spiaggia, non privarsi di una pizza con gli amici, gustarsi un tramonto sul mare, assaggiare la neve fresca, o anche solo trattenere un filo d'erba tra le dita: tutto era divenuto magnifico e fondamentale.
Ed ecco che il mio diciannovesimo anno trascorse in quel modo, veloce e pesantissimo, stancante ed arduo, mentre tornavo a dischiudere gli occhi sul mondo.
Mai, neanche per un attimo, la campagna aveva smesso di chiamarmi: anche di fronte alle evidenze ignoravo la malasorte e lanciavo il mio pensiero al domani più favorevole.
Sorte...fortuna...compassione...
Quante volte mi sono interrogato sul senso di queste parole, senza mai trovare una mia spiegazione.
A quell'età si danno per scontato tante..troppe cose, ma tutto per me era drasticamente cambiato, ed in quell'anno appena trascorso io avevo capito che era nell'Essenziale che ancor di più dovevo trovare le mie risposte, imparando ad ignorare totalmente quanti tentassero di darne per me.
"Sei stato sfortunato, ma vedrai che ti rimetterai"
"Sono certo che tornerai come prima"
"Poverino, quanto hai sofferto..."
Parole come macigni sul mio percorso, mentre desideravo solo che quei passerotti sulle querce riuscissero a far tacere nella mia mente quanto mi veniva detto.
Tornai a scuola, ignorando completamente quanto chi porta un camice mi diceva, e mi diplomai contro ogni pronostico, mentre tutto pareva avere un significato diverso: quel Diploma era una conquista, una grandissima soddisfazione, ma... ma improvvisamente era anche diventato solo un foglio di carta.
Credevo che sarei "guarito" da quelle strane e nuove sensazioni, ma col tempo capii che non erano sbagliate o addirittura malate...e che non ne esisteva affatto alcuna cura: ero cambiato, e non dovevo averne paura.
Il metro del mio vivere adesso era diverso.
Era come se la Realtà mi trattenesse ad un livello distante da quello che avevo conosciuto nei miei primi diciotto anni, ed il sapore della Vita adesso sapeva di sale, di zucchero, di pepe, di aceto.
Essenziale: questo era quello che ero diventato.
Si potevano far sogni essendo Essenziali?
La risposta era (ed è ancor oggi) "assolutamente si": e fu così che iniziai a rivedermi da Grande, senza capire che Grande la vita mi ci aveva appena fatto diventare.
Vent'anni, un diploma, un grande sorriso sotto la barba nera, una nuova andatura, tanta buona musica ad accompagnarmi, e nuove aspirazioni: trovare nei nuovi limiti gli slanci per saltare più in alto.
E mi iscrissi all'Università, mentre il caro amico-medico di famiglia scuoteva la testa dicendo che quel passo era troppo per me, e che questa volta avrei dovuto desistere.
L'Iscrizione a Scienze Forestali era (inutile negarlo) una specie di ripiego: nel mio sognare in modo essenziale, quella poteva essere la via per laurearmi in qualcosa che mi piaceva molto ma che mi permetteva anche di fare altro (non era previsto l'obbligo di frequenza).
Intimamente speravo di riuscire, passata la buriana, ad iscrivermi a Veterinaria, ma ero cosciente che tale passo sarebbe stato molto difficile per essere compiuto dal sottoscritto.
La vita di città non mi spaventava, come non mi spaventavano quei 280km che settimanalmente dovevo percorrere per tornare al paese e continuare il lungo processo di Cura che già da due anni stavo sostenendo.
Tutte quelle salite, così lunghe, così estenuanti...
...e quelli che seguirono furono gli anni della mansardina in periferia, dell'Ottavo e la sua Amicizia, dello studio e della più importante presa di coscienza.
In verità capivo che l'Alba si sarebbe compiuta solo tentando quella via, per un'ultima volta nella mia nuova vita: attraversando quel ponte che mi avrebbe consegnato a quello che ero diventato, lasciando che i miei occhi potessero finalmente aprirsi...spalancarsi su quanto di nuovo io ero.
L'Alba, la mia Alba, sorse un mattino d'estate, dopo una nottata trascorsa nella spiaggia: avevo vent'anni, e finalmente mi "vedevo" per la prima volta riflesso nell'acqua del mare.