Taglio dell'erba per gli animali del podere

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martedì 14 novembre 2023

Il Cacciatore: una figura anacronistica?


Seduto sotto ad un castagno, mentre ascolto il respirare della Natura, sento uno sparo in lontananza che taglia le calanche lungo il torrente e va a sfumare a valle.
Durante una pausa dalla pioggia, con la cappa scura indosso, lascio che i pensieri scivolino senza inghippi e possano qui fermarsi, almeno per qualche attimo ancora.
Mi interrogo, immaginando la sorte di quel cacciatore che, sudato e bagnato dalle frasche fradicie, chissà quanto abbia scarpinato per ore prima di giungere nel luogo di quello sparo, lontano chissà quanto dalla sua auto.
La fatica, la pioggia, il freddo sono solo il primo assaggio di una giornata venatoria di questa stagione ed in questi luoghi, ma la Passione fa muover le montagne, ed il cacciatore questo lo sa bene.
Non conosco la sua età, ma a tirar quella fucilata potrebbe essere stato un vecchio con tante rughe per altrettante imprecazioni tirate al vento, o un robusto uomo di mezza età sudato sino all'anima più profonda con occhiali appannanti e respiro affannato, o un giovane ricco di ardimento ed ambizione in cerca di numeri crescenti.
A tirar quella fucilata potevo esser stato anche io, anni addietro, quando i capelli erano mori come la pece, i chili alla vita abbondavano, e c'era il tempo per dare spazio a quel "vizio".
Io lo chiamavo vizio, al pari del fumar le sigarette o del giocare di carte per soldi: un vizio costoso, che chiudeva certe parti del comprendonio e portava a giustificare le tante fatiche per carnieri esigui e giunture doloranti alla sera.
Un vizio strano, che nella mia terra natale era quasi un Dovere.
Giustificato dalla comunità come un Bisogno, che mi faceva sentire orgoglioso di quel peregrinare in solitudine sapendo che non avrei fatto niente di sbagliato.
Ero giovane, pensante, cosciente e consapevole, e sapevo che per me la caccia era molto di più: mi teneva legato a quel nonno tanto amato, mi dava un'occasione per starmene all'aria aperta, per fare movimento, ma sopra a tutto per mettermi alla prova.
Oggi, a distanza di venti anni quasi, sento che di tutte le Giustificazioni al cacciare, l'ultima che ho menzionato era la più giusta: METTERSI ALLA PROVA.
Non era nei chilometri macinati, piuttosto che nelle tantissime giornate senza una preda da riportare a casa, nè tanto meno nello sfidare le angherie della Natura fatte di acquazzoni, freddo, ramate nel viso, cadute rovinose..ma la vera prova da testare ogni volta era nella scelta del premere o meno quel grilletto.
Ai tempi amavo far richiami per gli uccelli, e me li costruivo per come potevo, ma sopra a tutto li facevo con la mia voce, stringendo le labbra, accostandomi al palmo di una mano, fischiando in tanti modi diversi.
Poteva capitare, e a dirla tutta capitava quasi sempre, che alle spalle ci fosse una levataccia, con la sveglia che suonava alle 4 del mattino, col caffè a bollore bevuto per metà a garganella prima di inforcare l'uscio di casa e per metà portato in un termos vecchio quanto me.
Poi c'era il guidare, a buio, arrivando sul luogo scelto per parcheggiare (sempre rigorosamente lontano da tutto), e poi c'era quel sostare nell'auto, al buio ancora, quasi sempre al freddo, consumandomi gli occhi nell'attesa di un "quasi bagliore", anticamera di un'alba che arrivava sempre molto dopo.
E prendevo la via, col fucile nel fodero, le cose essenziali in quel tascapane di iuta, annusando quella coda di notte, mentre scivolavo silenzioso in un qualche stradello.
Che fosse macchia bassa, o castagneto, che fossero ginepri o erica, ginestre o campi incolti, sotto sughere o lecci, aceri o alborelli, gli scarponi filavano silenziosi, senza torcia ne bastone, con quella fretta garosa del voler essere al punto giusto per vedere l'alba.
E regolarmente  il punto giusto arrivava, sempre cercando quell'affacciatoio, dove tutto attorno c'era Natura, in quella roboante orgia di canti e suoni che ogni alba portava con se.
Eccolo quel momento: il cuore faceva l'amore con il cervello, e tutto si tatuava nell'anima, indelebile.
Un uomo, piccino, insulso, che in piedi col suo fucile appena sfoderato, guardava la bellezza mentre lo prendeva a baci e schiaffi.
Nuvole erranti, o fisse stampate, riflessi che dal viola al giallo mi stordivano quasi, mentre la palla arancione si levava svelta dalle coperte della notte, dietro alle colline, vicino al mare, oltre la montagna.
Come si fa a non innamorarsi di questo?
A me succedeva ogni volta, murandomi in un sodalizio che non avrebbe potuto darmi nulla di meglio.
Ma poi, era la fauna a ricordarmi che ero lì per quell'esercizio venatorio, per quel vizio/dovere/bisogno, ed allora il cuore riprendeva a dar le scosse, ed iniziava la ricerca.
Che si trattasse di colombacci o tordi, merli o cesene, la caccia mi reclamava in quel vortice di "impegni" legati all'imbracciare un fucile.
L'attenzione nel camminare, quella cerca quasi primordiale, atavica, che mi portava ad essere predatore, un animale a due zampe che aveva l'enorme vantaggio di avere un'arma da fuoco, munizioni e risorse.
Non mi capitava quasi mai di inciampare su di una preda, e generalmente gli incontri avvenivano solo in seguito ad interminabili ricerche, seguite, attese e richiami.  E poco importava se di fronte a me non si sarebbe presentata una preda aggressiva o pesante, tutt'altro.
I richiami: un'illusione offerta ad ignare creature che curiose di quell'accento strano, si accostavano per poi venir tradite da quella loro stessa curiosità.
Me lo ricordo ancora la prima volta che un merlo mi rispose...
Era in un fitto scopeto, nascosto, facendo lavorar le labbra e gli orecchi, con il piombo fino e la carica leggera nelle due cartucce caricate in quella vecchia doppietta.
Io fantasticavo, inventando discorsi che temevo nessuno potesse capire, e lui, il merlo, piano si accostava titubante, e i rispondeva a chiare note.
Un vero e proprio dialogo, che si dissolse quando si rese conto che io non ero un suo simile, e che lo stavo puntando a cinque metri da lui.
Cinque metri.
Cinque metri per un tiro del genere sono un tiro sbagliato che sciuperebbe l'animale, ma anche un tiro sicuro che aggiungerebbe la tacca sulla canna del fucile.
Ci guardammo, e mi salì un senso di colpa per quell'inganno che così bene gli avevo confezionato.
Era così bello, scuro, e inclinava la testa quasi a chiedermi dove avessi messo quel merlo con cui aveva parlato sino ad un attimo prima.
Non si muoveva da quel ramo, ed io continuavo a mirarlo, col cuore in gola, l'adrenalina per la prima preda (indipendentemente dal tipo di preda e dalla stazza), e sentivo quel rigarmi il viso che la goccia di sudore salato mi stava facendo.
"CLICK", lo feci con la voce, abbassando la canna del fucile e lasciando volar via il merlo.
Io non lo sapevo, ma da quel momento iniziò il mio "mettermi alla prova".
Ho cacciato per svariati anni, ed ho partecipato a vari tipi di caccia: che fosse la lepre o la beccaccia, il capanno sugli alberi o la cacciata al cinghiale, con compagni di varie età ed esperienza, con cani di altri ed il mio amato cane.
Ed ogni volta che mi son trovato a dover decidere se sparare o meno io ho sentito l'importanza di quella Prova.
Non ho mai ucciso per il mero piacere di una tacca sul fucile, e mai ho sprecato anche solo un grammo della carne di una mia preda: rendere onore alla preda cacciata era il minimo, considerando che di rispetto gliene avevo assai portato poco presentandomi a quell'incontro con un'arma tra le braccia.
Ho sempre...SEMPRE sentito il peso di quell'incontro non equilibrato, ed ho scelto di non premere il grilletto, decine, centinaia di volte, lasciandomi il piacere della fatica e del "lavoro" fatto sino a quel momento.
Il compagno di turno mi chiedeva sempre come mai non avessi sparato, ed ecco che dovevo arrampicarmi su motivazioni strambe ed improvvisate, autoinfliggendomi la colpa di fronte ai suoi occhi.
"Quella vecchia doppietta, maledetta lei" oppure "ma sai che non avevo caricato la cartuccia?", rendendomi agli occhi di una comunità con un cacciatore scarso, forse pessimo, e lasciando che quel cartello sulla schiena mi ce lo fossi scritto da solo.
E quando me ne tornavo a casa mi godevo quasi lo sfottò del vicino che mi attendeva sul terrazzo, o il sorriso sconsolato di un familiare.
Mi tenevo questo segreto cucito dentro, e sentivo che anche questo faceva parte di quella Prova che dovevo affrontare.
Ero un cacciatore per scelta, nel ricordo del mio nonno, in un contesto sociale dove "esser cacciatore" veniva richiesto, dove il selvatico abbondava e dove i danni ai campi ed alle colture erano un alibi assai blindato, ma ... Ma avevo deciso di scegliere io come esser cacciatore.
C'era pace in me per questo, mai un attrito dentro, mai un ripensamento, ma quel giorno con mia nonna accadde qualcosa di strano.
Stavamo pelando dei tordi, l'uno seduto accanto all'altra, e dal nulla lei mi fece: "era tanto che non portavi qualcosa da spennare. La doppietta di nonno non funziona più tanto bene, giusto? Perchè non la cambi e te ne prendi una che faccia bene il suo dovere?"
Ma lei lo sapeva che senza quella doppietta imprecisa io non sarei andato a caccia: per me era come stare con lui, ogni volta, seppur mai l'avessi visto cacciare.
I ricordi di un me bimbo mentre nonno tirava giù da sopra l'armadio di camera quel fucile, e lo lucidava raccontandomi di quelle lunghe passeggiate, attese, sudate e panorami.
"Sai che tuo nonno era un cacciatore strano? Non portava quasi mai nulla a casa, ma ogni volta che ritornava era sereno in volto, soddisfatto, e mi parlava di albe e di animali visti da così vicino..."
Lei non mi aveva mai detto quelle parole, e come una strega buona aveva eviscerato e ricucito me in pochi istanti facendo riemergere la voce di suo marito mentre pitturava qualcosa di epico nell'immaginazione di un fanciullo, sempre senza parlarmi in modo crudo, quasi favoleggiandomi una mezza giornata di caccia.
Guardai mia nonna, e quel giorno ricordo mentii a me stesso, illudendomi di essere un cacciatore "vero e diverso", e le assicurai che avrei comprato un fucile nuovo, dicendolo in modo spavaldo.
E così feci, comprai un fucile nuovo.
E poi...smisi di andare a caccia, per sempre.
...


Seduto in mezzo alla Natura, mentre i ricordi mi ruzzolano nella testa, mi alzo e mi guardo attorno.
I caprioli hanno mangiato le castagne la scorsa notte, e di qui è passato il tasso...o l'istrice...no, il tasso.
Assaggio con la lingua l'umidità che mi si deposita nelle labbra, annuso a fondo sentendo che il fresco par bucarmi la testa, e riprendo il mio lavorare.
Non ho mai raccontato tutto questo a nessuno, perlomeno non così, e quella fucilata di poco fa mi ha dato la voglia di "confessarmi" in questa stranezza che tanto mi rappresenta.

Mi piace mangiare la selvaggina, ma non vedo la necessità di una caccia che tenda a sperdere una specie, laddove è ovvio che il selvatico non è più in pari numero a venti anni fa.
Piuttosto oggi io intendo la caccia (da non cacciatore quale sono) come una necessaria attività di regimazione di quel selvatico così nocivo per l'Agricoltura.
Credo, ed esprimo solo un mio parere, che il calendario venatorio dovrebbe essere modificato pensando a quello che ho appena detto, dando la possibilità agli Agricoltori di poter svolgere in modo regolare e controllato un esercizio atto a mantenere un equilibrio, e puntando al contenimento di quelle specie considerate dannose in determinati contesti.
Mai appoggerò la caccia di frodo, e mai giustificherò un illecito, ma l'esasperazione porta purtroppo sempre più ad azioni stupide ed eclatanti, frutto di un non ascolto da parte delle amministrazioni, e ad un senso di solitudine da parte di chi, oltre che esser Agricoltore, è anche contribuente nella società.
Lungi da me il pensiero populista, e chi mi legge sa quanto distante io ne sia, ma davvero penso che la Caccia, così come è, oggi sia solo un incrocio tra un vecchio trombone ed una ipocrita illusione.

Ho ucciso poche prede, ho raccolto metri cubi di bossoli altrui, ho fatto lunghe passeggiate, e mi son sentito bene a fare tutto questo.
Ho speso denaro, non poco, per un mettermi alla prova, tra me ed una Vita, quale che essa fosse, e consapevolmente ho fatto ogni mia scelta, sempre, lontano dalle gare, dalle mode, dall'arrivismo e da dimostrazioni becere da bar.
Mi è stato dato dell'assassino da alcuni animalisti, mi è stato dato del doppiogiochista da alcuni cacciatori, ma sapete quale è il mio ultimo pensiero su tutto questo?
Gli estremismi, che siano portati avanti da uomini in mimetica con un fucile, o da leoni da tastiera che vomitano insulti a difesa di tutti gli animali, sempre portano allo scontro e non al confronto.
Son venuto qui a raccontarmi, sentendomi libero di poterlo fare, senza retorica.
Non ho mai cacciato per fame, ma non ho mai cacciato di più di quello che realmente avrei potuto e voluto mangiare, non mi sono mai sentito "cattivo" perchè cacciavo gli "uccellini bellini", ed ogni scelta l'ho fatta a modo mio, fregandomene se qualcuno mi giudicava Anacronistico (o Matto).
Vi prego quindi, qualora decidiate di lasciare un commento (e vene sarei assai grato anche per permettere a questo blog di sentirsi ancora Vivo e Vegeto), di assumere posizioni educate e di non generalizzare nella solita ricerca del male e del bene, che mai come negli ultimi anni ci sta connotando sempre di più.
Ognuno ha il proprio pensiero e la propria personalità.
grazie




20 commenti:

  1. Personalmente non amo caccia e cacciatori, oggi non è più questione di fame, però una cosa te la dico: con il tuo racconto sei riuscito a rendere poetica anche la tua caccia, dal tuo punto di vista, per come l'hai vissuta tu, i tuoi ricordi, e in un mondo di odiatori sei stato coraggioso a condividerli. Bellissimo racconto.

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    1. Grazie Rossella, gentile come sempre.
      Il pensiero diffuso contro la caccia e contro i cacciatori mi lascia assai perplesso, poichè "l'intelligente" lo si trova con o senza fucile, ed a parità anche "l'imbecille".
      Gli odiatori e portatori di livore non fanno per me.
      A.A.

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    2. Ma no, il tuo racconto è bello veramente, hai la capacità di far vedere e sentire ciò che racconti.
      Emerge secondo me anche un fatto: quando non sparavi non era per un sentirsi Dio, padrone della vita e della morte di quell'animale, ma per una sensibilità che ti permetteva di riconoscere la bellezza in quella vita, e forse, inconsciamente, la consapevolezza che si trattava di un essere pensante anche se non umano, con un sistema nervoso e un cervello, forse con dei piccoli che attendevano il cibo ecc...e la sua vita non era necessaria alla tua . Della caccia amavi ripercorrere i racconti di tuo nonno, e forse ti piaceva anche l'esperienza nella natura, la compagnia. Te l'ho detto, sei stato coraggioso a condividere questo bel racconto, sapendo che avresti potuto beccarti un pò di leoni da tastiera. 😉
      Riguardo la caccia in sè,(e ora qui esco dal tuo racconto ed entro in una questione più generale che non riguarda te ma il mio pensiero sulla caccia) secondo me, credo che non è tanto una questione di intelligenza, ma la domanda che io farei ai cacciatori (non a te) è: se non ne hai bisogno perchè il cibo non ti manca, perché vai a caccia? Perchè se un essere umano non ha bisogno di cacciare ma lo fa lo stesso diventa uno sport, e uno sport che prevede la morte a me non piace. Sul discorso della regimentazione non mi pronuncio, non me ne intendo, anche se secondo me deve essere fatta sotto stretto controllo dei carabinieri forestali. Di certo è che se ci sono troppi animali di una specie e perchè qualcuno ha ucciso gli antagonisti di quella specie. La Natura ha le sue leggi e sono molto precise, quando ci mette mano l'uomo per i suoi egoismi fa sempre danno.
      Ma torniamo alla caccia: quando ero ragazzina, c'erano molti cacciatori che nei momenti in cui aprivano la caccia, se ne tornavano tronfi e gonfi di sè con le prede sul cofano della macchina e poi ammorbavano tutto il vicinato regalando tutta quella roba ai vicini che non sapevano che farsene. Sembrava quasi una cosa atavica del tipo " io uomo capobranco porto il cibo al branco dandolo alle donne che dovranno spennarlo e cucinarlo". Mia madre una volta non sapendo come dire no prese un fagiano e non sapendo che farsene lo dette ad una sua vecchia zia che era brava a fare la cacciagione. Quel povero fagiano quindi era morto inutilmente perchè non serviva nemmeno a chi lo aveva ucciso, un animale bellissimo a cui era stata sottratta la vita per poi passare di mano in mano perché nessuno lo voleva. L'anno dopo mia madre disse chiaramente di no e nessuno si presentò più alla sua porta con roba da spennare. Il fatto è che il cacciatore spesso vuole mettere quella tacca sul fucile, perchè è la misura, perdonami per questa parola, del suo "celhodurismo". Guarda caso le donne che vanno a caccia sono rare, non perche non ne sono capaci, ma perchè preferiscono preservare che uccidere.
      E poi c'è la questione "vuoi vincere facile". La preda di fronte ad una doppietta di alta precisione non ha scampo se poi il cacciatore è nascosto nel capannone proprio nemmeno lo vede. Questo non va bene. Ecco, ti ho spiegato perchè a me non piace la caccia ne la figura del cacciatore, potrei dire altro, ma mi fermo qui. Ovviamente si tratta solo di una opinione mia, sia chiaro, e in base alle mie esperienze rispetto ai cacciatori che ho conosciuto da piccola. Spesso alcuni sparano a tutto quello che si muove tanto che a volte si beccano anche tra di loro! Andare a fare una passeggiata in un bosco durante il periodo venatorio è piuttosto pericoloso, e anche questo secondo me non è giusto, prendono praticamente in ostaggio il bosco. È vero, ci sono persone intelligenti e c'è l'imbecille, ma purtroppo l"imbecille ha un fucile in mano. E qui mi fermo perché ti ho già ammorbato abbastanza con le mie opinioni che non interessano a nessuno.

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    3. Gli storni.
      Gli storni li conoscono anche i cittadini, giusto?
      ricordo che nell'ultima visita a Milano c'era un signore che imprecava verso un leccio, puntando il suo bastone ed in dialetto dicendo che non ne poteva più di tutto quel guano che lo faceva scivolare alla mattina quando usciva.
      Un buon motivo per togliere di mezzo gli storni?
      No, ma se anche in città subiscono qualche noia, c'è qualcuno che tenta uno slancio immaginando che quelle nuvole multiformi che danzano all'imbrunire, oltre che a defecare sui marciapiedi, i terrazzi e le auto, devono pur mangiare?
      C'è qualcuno che si interroga su che cosa mangino e dove vadano a mangiare?
      Eccoli, peggiori di una delle sette piaghe, che quegli amabili esseri scuri atterrano su campi ed ulivete, letteralmente decimando e distruggendo tutto.
      Aspetto, la voglio dire meglio: DISTRUGGENDO TUTTO.
      E non una volta, no...ripetutamente, in regolari sequenze fatte di atterraggi, e ripartenze, TUTTO.
      Ho detto del signore di città, ma ho riportato il vero problema sull'agricoltura, che mi è assai più competente: perdere tutto, oltre ad essere un danno immane per quelle centinaia di agricoltori, rappresenta un danno anche per la comunità, perchè quell'oltio di oliva, o quelle granaglie, non se le mangiano mica solo quelle centinaia di agricoltori, giusto?
      Ecco...lo storno è una specie che fa grandi danni, seppur quell'amabile uccellino sia piccolo, e siano fantastici i suoli voli.
      Ma...lo storno ha la carne dura, ci voglion cotture lunghe, dà poca carne, per molti la carne è amara...ed ecco che lo storno manco ai fenomeni da tirassegno potrebbe interessare.
      E lo storno non ha più competitori, poichè i rapaci son spariti, grazie all'inquinamento dell'uomo, inquinamento che producono anche i non cacciatori, tutti.
      lo storno ha una resilienza mostruosa, riesce a cibarsi (un pò come il gabbiano o i piccioni) nelle discariche, eppure un tempo almeno la caccia dello storno era regolamentata e possibile.
      In questo caso, visto che i dissuasori sonori non funzionano molto bene, e visto che i competitori non sopravvivono ai tanti tipi di inquinamento, ce cosa dovrebbe essere fatto per regimane (non eliminare, ma regimare lo ripeto) questa specie palesemente dannosa per l'agricoltura (che sfama anche i non cacciatori, i non agricoltori, che sfama tutti)?
      Ecco che in questo caso, a mio avviso, avrebbe un senso, seppur regolamentata con norme severe e controlli severi.
      Ma...lo storno è un ESEMPIO.
      volete che parli del cinghiale?
      Ci posso stare sino a dopo domani a parlarvi di cinghiale: vi farei una filippica che vi porterebbe ad avere gli occhi incrociati per un mese.
      Quindi, lo storno, animale bello, ma è un problema non solo per il guano in città.
      parliamone...
      A.A.

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    4. Come ti dicevo, sul "regimare" non mi intendo, preferisco non fare l'opinionista su tutto, per cui posso solo dire che se non se ne può fare a meno deve essere regolata in modo ferreo e sotto lo stretto controllo dei carabinieri forestali.
      Gli storni... sono un enorme problema ma siamo sempre lì: mancano gli antagonisti. Che sia la caccia, l'inquinamento o chissà cos'altro, mancano i predatori e loro si moltiplicano. In città a volte sono nuvole fitte che oscurano il cielo e rischi di tornare a casa con qualche loro regalino in testa. Ma ciò che li attira è proprio il calore in inverno, e lo sporco. La spazzatura attira gabbiani, cornacchie, piccioni, topi, volpi, cinghiali ecc... e praticamente gli abitanti del bosco vengono in città, un pò per volta. Alcuni sono anche portatori di infezioni per altri animali. Purtroppo gli equilibri naturali sono rotti, e ci troviamo davanti a queste situazioni.

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    5. 😅 .. ieri ti ho pensato. Davanti ad un autolavaggio ho visto una macchina letteralmente ricoperta di guano degli storni e mi sei venuto in mente! Te lo volevo dire.
      Eppure resto della mia idea. A parte il "regimare" che quando una specie diventa invasiva perché si riproduce a dismisura non avendo antagonisti, quegli antagonisti dobbiamo diventare noi, e su questo non mi pronuncio più di tanto perché ci sono le persone esperte che devono stabilire il quando, QUANTO, dove, come ecc... e controllare in modo preciso che le regole vengano rispettate. Tolto questo, e tornando al discorso caccia in se per se, io rimango dell'idea che se gli habitat naturali fossero rispettati, con i loro equilibri tra predatori e prede, e le città fossero tenute ben pulite e controllate, non ci sarebbe bisogno di nulla. La natura ha regolato gli equilibri in modo preciso, noi, con le nostre attività, caccia compresa, li abbiamo sconvolti. Certo, bisogna pur mangiare, e servono campi ecc.. , spesso in passato è accaduto per questo motivo.
      Invece secondo me anche il discorso di non cacciare per fame è importante: personalmente, ma è il mio pensiero, credo che non bisogna andare oltre questo principio, perchè uccidere per fame ha un senso, e di certo la caccia in passato è stata la sopravvivenza per molti popoli, che però, attenzione, non prendevano il di più, cacciavano con armi bianche e quindi imprecise (lance, arco e frecce), che rende la sfida più paritaria, e purtroppo comunque certe specie si sono estinte proprio perché cacciate. Nel De Bello Gallico Cesare cita degli animali che ancora gli studiosi si chiedono cosa fossero e nessuno conosce, quindi estinti per la cacciia. Ma se si uccide solo per tradizione, o per sport, secondo me (ma ripeto che è un mio parere), non dovrebbe essere ammesso.
      E comunque io ho una avversione per le armi da fuoco e tutti quegli strumenti nati per uccidere, anche se in passato ho fatto tiro con l'arco (sul foglio con il centro, non verso una preda) e mi sono divertita molto. Oltretutto, le frecce ad uso sportivo non trafiggerebbero un gatto. E comunque, questa sì che é una cosa atavica!
      Ho letto che molte aquile e falchi muoiono a causa del piombo dei proiettili che resta nella carne delle carcasse. Ci sono molti articoli su questo. Difatti certi proiettili sono stati parzialmente vietati. Poi ovviamente è anche un problema di inquinamento, ma quello uccide tutti, e quando lo capiremo sarà ormai tardi, ma meglio tardi che mai.
      Certo, ci siamo evoluti, e proprio per questo credo che indugiare in pratiche ataviche non abbia senso. Oltretutto la scienza (basta leggere i lavori di Luigi Fontana, medico, scienziato, ricercatore e luminare, professore in prestigiose Università americane e australiane chiamato in tutto il mondo a tenere conferenze sulla longevità) ha dimostrato che un'alimentazione vegetale preserva la salute, mentre il cibo animale è la causa di molte malattie. Quindi: la scorpacciata di carne di cinghiale non ci serve ne per fame ne per salute, e allora perchè armarsi di fucile e andare a far strage di selvaggina? Se ci siamo evoluti, la dove possibile, dobbiamo anche rivedere il nostro rapporto col mondo animale. Ovviamente la questione è molto complessa ed io ho semplificato forse troppo, da persona inesperta, ma resto dell'idea che lasciare arrugginire la doppietta nel mobile dove è riposta sia la scelta migliore.
      Tutto ciò non toglie nulla al tuo racconto che ci riporta ad un mondo antico fatto di bellezza, semplicità, silenzio, calma, ecc... che tu sai raccontare in modo incantevole (proprio nel senso che incanta).
      Un caro saluto e perdona l'ennesimo intervento un filino animalista.

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  2. Buongiorno caro Agricoltore.
    Ho letto con estremo piacere questo tuo post, ricco di pensieri intimi, considerazioni ed infinite percezioni sensoriali, che tu sai ben trasmettere con la tua scrittura piena di sfumature e parole ricercate.
    Ho chiuso gli occhi e sognato, per l'infinita meravigliosa bellezza dello stare soli con se stessi e fondersi con l'ambiente circostante.
    Mi hai fatto venire in mente quello che mi raccontava mio marito, sulle sue scorribande umbre e marchigiane, con giovani amici cacciatori, più dediti a sane mangiate e bevute dopo battute di caccia, spesso ridotte a lunghi appostamenti al freddo sin dall'alba e ad un bottino magro.
    Adesso mi dice non lo farebbe più, era soprattutto un discorso di cameratismo tra uomini immersi nella natura.
    Oggi qualcuno mi porta ancora selvaggina cacciata ma io davanti ad un fagiano pieno di centinaia di pallini, a pezzi di cinghiale provo un senso di grande disagio e penso di averlo dimostrato a questi amici cacciatori.
    C'è inoltre un' estrema superficialità e scarsa preparazione nel gestire sapientemente un'arma e anche questo credo sia un ottimo deterrente all'arte venatoria
    Poi tutte le crociate e gli atteggiamenti "talebani"mi insospettiscono e mi preoccupano. Gli animali vanno rispettati ed onorati ma...non credo si arriverà mai a bandire la caccia.
    Un saluto Susanna

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    1. Cara Susanna,
      per prima cosa ti ringrazio molto per essere passata di qui e per avere trovato "tempo e voglia" per dire la tua.
      Io ho vissuto una caccia diversa, non fatta con coetanei, ma fatta in parte con persone molto più grandi di me, ed in parte in totale solitudine.
      Non ho vissuto molto la fase goliardica, anche se ho subito sempre numerosi sfottò per essere un "padellatore seriale" (ossia uno che sbaglia numerosissimi tiri), ma questo mi faceva sorridere, visto quello che ho qui raccontato.
      Oggi, ad anni di distanza, non sento quel trasporto verso l'esercizio venatorio, piuttosto mi manca quel "tempo per me" che sono in quel contesto sapevo trovare.
      La selvaggina l'ho sempre spennata e ripulita (e cucinata) con la nonna o da solo, senza nessun problema.
      Bandire la caccia?
      Per i motivi che sto spiegando, spererei proprio di no: come Agricoltore sarebbe una débacle clamorosa, e so per certo che i danni alle tante colture aumenterebbero in modo fantascientifico, e le competizioni tra specie diverse si sbilancerebbero a favore di quelle che meno temono l'uomo.

      Son qui a portare idee, e con piacere vi leggo, quale che sia la vostra posizione
      grazie ancora
      A.A.

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  3. Forse mi sono espressa male: non auspico che la caccia sia bandita, proprio per il discorso che ho detto: non amo le posizioni assolute, oltranziste e stupidamente modaiole. Se la mandria di cinghiali si mangia tutto il mio lavoro, ed è successo più volte, o mi distrugge il giardino di casa, credo siano davvero tanti ma tanti! Troppi. E vederli smarriti nei giardini pubblici della mia piccola città, schivare le auto... c'è qualcosa che proprio non torna.
    Poi qualsiasi forma di crudeltà gratuita verso un essere vivente non la tollero.
    Un saluto Susanna

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    1. Cara Susanna, sei stata chiara, ed ho usato le tue parole come "effetto fionda" per proiettarmi in altre mie considerazioni.
      posso solo ringraziarti per questo, sinceramente.
      A.A.

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  4. Ti ringrazio per questo tuo racconto.
    E ti ringrazio per aver portato qui il tuo punto di vista.
    Debbo dire che sono abbastanza in accordo con il ragionamento che hai fatto, e che sia assai "più conveniente" prendersela col cacciatore (al pari del contadino che tira il collo al pollo) che...che dover fare MEA CULPA per essere partecipi di uno stillicidio quotidiano ai danni dell'ambiente, spostandosi con auto inquinanti, vestendosi di panni che hanno inquinato per essere prodotti (ed inquineranno per essere smaltiti), curandosi poco (o nulla?) del cibo scelto, magari ripulendosi la coscienza con l'etichetta più verde, o tenendo termostati a 22° in casa anche in mezza stagione (ma quanto è bello ed intelligente starsene a mezze maniche in casa quando fuori nevica...), e via dicendo.
    E' più facile scaricare una colpa che va a prescindere dalle reali fucilate tirate, è tenere il dito puntato su qualcuno che potenzialmente POTREBBE essere anche una risorsa per contenere quello che realmente è un problema (lo ripeto, il selvatico in esubero che invade le aree urbane o che distrugge intere colture agricole ai danni di TUTTI).
    Grazie Semola.
    A.A.

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  5. A pelle sarei anche contro la pesca.. ma leggo argomentazioni concrete e sensibilità che un profano direbbe rara. In realtà sono contro le armi, comunque, di conseguenza anche i cacciatori rimarrebbero con la fionda. Di fondo sono resto convinto che si vada sparando anche a tante specie in via di estinzione.. però mi piace certa poesia, resto affezionato a Il cacciatore di Cimino, ed il "solo un colpo" tra De Niro e il cervo..

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    1. Il film che tu citi è bellissimo, a parer mio.
      Non tanto sulla "sfida" tra cacciatore e cervo, ma per tutta l'intera storia (e metafora) che regge prima di quell'incontro.
      Comprendo la tua posizione, e la rispetto a pieno.
      Grazie per questo tuo commento
      A.A.

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  6. "é sempre un piacere leggerti".
    Caccia e pesca sono stati per millenni il sostentamento di tutti i popoli. Oggi la caccia non ha più senso. Sono stato cacciatore poi i figli mi hanno fatto smettere. Ricordo i bei momenti di quando mi immergevo nel bosco al mattino a vedere sorgere il sole a respirare aria fresca, ad attendere il passo di qualche volatile a sentire la rugiada o la pioggia bagnarmi mentre seguivo le tracce dell'animale che il più delle volte mi faceva fesso. ammirare il mio cane in ferma sul selvatico, o vedere gli stormi di anatre volare radenti l'acqua. Si! uccidevo animali, ma almeno avevano vissuto liberi.
    Oggi vado al supermercato a prendere polli, pesci e carni di animali vissuti prigionieri in gabbie. Dobbiamo passare alla carne sintetica?
    Gli animali (tutti) preferiscono forse la carne sintetica?????

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    1. La carne sintetica: Argomento altrettanto complicato...
      Se solo ci fosse più coscienza, a 360 gradi, quanto sarebbe più semplice affrontare certi discorsi senza dover sguainare le spade sotto al proprio vessillo.
      Grazie per esserci sempre.
      A A.

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  7. chissà se stavolta riesco a commentare... provo con un altro browser.
    io non mangiavo nemmeno carne, poi sono venuta a vivere quassù e fare lavori pesanti e.... ne ho sentito il bisogno, ebbene sì.
    e allora, secondo me, tanto di cappello a chi si prende la responsabilità della carne che mangia.
    la carne del supermercato (che io non compro) è di povere bestie che davvero hanno vissuto male, allora meglio sparargli tu, hanno vissuto bene fino a quel momento lì.
    oppure non mangi carne.
    però ancora non riesco a sparare.... eppure sarebbe coerente

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    1. La coerenza talvolta fa a cazzotti con troppe cose, a partire proprio da noi stessi, gettandoci in contraddizione, più e più volte.
      Allevo animali da lungo tempo, li vedo nascere, crescere, e quando è il momento in cui mi necessita allora mi occupo anche della loro morte, macellazione, e molto spesso anche della loro trasformazione in pasti.
      Mangio carne poche volte al mese, e l'obbiettivo è sempre il medesimo: mangiare solo quello che io ho allevato.
      Ma per primo ammetto che in questo caso la coerenza a volte mi crea difficoltà.
      Ci sono stati lunghi periodi in cui non c'erano animali da macellare, e...e non ho mangiato carne, o me ne sono procurata poca da amici o vicini che avevano la mia medesima cura nell'allevare e rispettare gli animali cosiddetti da reddito.
      Nella caccia ho scelto, sempre, e questo mi ha mantenuto una pace dentro, sapendo che nel carniere poteva finire solo quello che realmente mi "necessitava".
      Ma anche lì, la coerenza è stata spesso molto pesante da sostenere.
      Grazie per il tuo intervento.
      A.A.

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