Taglio dell'erba per gli animali del podere

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mercoledì 23 marzo 2016

Le Mie Capre:la prima mungitura(2° parte)

Tre capretti, saltellanti, con una femmina destinata alla rimonta, e due maschi che avrebbero avuto destini distanti da quelli di Norma, così chiamai la capra robusta di Nilde... qui il resto della prima parte


...
Le settimane trascorsero veloci, mentre si allungavano le giornate ed il caldo tornava a padroneggiare.
Il primo capretto, quello di Iole, era divenuto un Becchetto assai vispo e determinato: a due mesi e mezzo già tentava di montare la madre, e seppur solo di un prematuro approccio si stesse trattando, dovetti presto separarlo dal resto del gregge.
Sin che son piccini e carini, poppano e belano, saltellano e zampettano possono stare con la madre, le altre femmine e gli altri maschietti, ma poi cambiano atteggiamento e da un giorno all'altro ci fanno capire che loro al mondo son venuti per fare i Becchi, e non i pupazzetti simpatici e coccolosi, e tutto cambia...
Parlerò di questo in futuro, e per adesso vorrei concentrarmi sulla madre ed il suo latte.
Una volta allontanato il figlio, la madre ha latte e necessità impellenti: la mammella deve essere svuotata.
Era la mia prima volta che "addomesticavo" una capra per essere munta, e non mi vergogno a dire che la Iole mi fece sudare sette camicie, e mi fece anche imprecare tantissimo dentro a quella stallina con poca luce.
Lei si lasciava avvicinare, toccare, accarezzare e mi aveva sempre permesso di starle intorno anche quando aveva il capretto...
...ma mungerla era tutt'altro che facile e scontato.

La prima volta.
Avevo allontanato il capretto al mattino, ed avvicinandosi l'imbrunire, entrai in stalla deciso, munito di sgabellino e secchio di metallo.  Lei scappava, come scapperebbe un bambino di fronte all'infermiera che vuole fargli una puntura.  Scappava, salvo poi rifermarsi, farmi accostare, e toccarle il bacino, le gambe, ma come sfioravo la mammella lei pareva avere l'argento vivo addosso.
Per prenderla dovetti usare la forza e l'inganno, e quei chicchi di mais nascosti nella mano mi aiutarono più di mille corde strette; ma ben presto il suo mangiare terminò, e quei due schizzi di latte (per giunta pure fuori dal secchio) non erano serviti ad altro che farla essere ancora più impaurita.
Mi sedetti, e ricordo perfettamente che lasciai che riprendesse fiato, mi si accostasse nuovamente a leccarmi il sudore (le capre impazziscono per il salato) e che riprendesse a mangiucolare un qualche chicco che mi era sfuggito dalla mano.
Come potevo CONVINCERLA senza spaventarla?
Come potevo farle comprendere che non volevo nuocerle ma solo darle sollievo?
Come potevo spingerla a fidarsi di me anche mentre le sfioravo la mammella tesa, gonfia e dolorante?
La spinsi con le braccia verso la parete della stalla, e con il mio fianco sinistro la tenni schiacciata e costretta in quella posizione.  Con una mano le presi la mammella, salvo poi ricevere il più grande calcione che un quattrozampe mi avesse mai dato sino ad allora.
Un calcio di capra non è certo un calcio di asino, né tanto meno di cavallo o di vitellone, ma è comunque un bel colpo, che se dato in posti strategici può rompere un braccio, fratturare le ossa della mano, far saltare i denti e...farvi cantare nel coro delle voci bianche.
Un calcio di capra fa male, ed io non me l'aspettavo così...doloroso (errore di valutazione).
Cadde il secchio, caddero i miei occhiali, caddi io, e la capra scappò dalla stalla: era tutto da rifare, mentre il mio torace aveva di che lamentarsi per le successive tre ore.
Son convinto che chi passò con l'auto nella strada asfaltata sotto casa, poté  udire e distinguere chiaramente tutte le imprecazioni che coniai appositamente per quel nuovo dolore.
Ma non mollai, e dopo cinque minuti ero di nuovo nella posizione di prima, con lei schiacciata al muro, ed io che la tenevo ferma.
Col cavolo che mi accostai con il viso, e questa volta il suo calcione fu lanciato a vuoto, come anche il terzo, il quarto e tutti gli altri trenta.
Aveva il fiatone.
Avevo il fiatone.
Nessuna tortura per lei: era in piedi, nella sua stalla, accostata alla parete e lì tenuta bloccata, ma libera di muovere testa, collo, zampe (quest'ultime sin troppo...appunto...).
La tortura la stavo subendo io, che mi vedevo soccombere contro una capra che DOVEVA ESSERE MUNTA, altrimenti avrebbe rischiato problemi.
Smettere repentinamente di mungere una capra può causare fastidiose, dolorose e spesso anche gravi forme di mastite, e tutto volevo meno che lei avesse dei problemi.
L'ultima poppata del suo figliolo, data circa dieci ore addietro, non era più sufficiente, e la mammella era bisognosa d'essere alleggerita.
Terminata le serie di calcioni, approfittai del suo riprendere fiato per agguantarle la mammella con la mano destra, mentre con la sinistra mi avvicinavo il secchio.
Mungere una capra era simile a mungere una pecora (disciplina che avevo imparato anni prima e che tanto mi riusciva), ma convincerla nella prima munta (lo ripeto) fu impresa assai ardua.
Uno zirlo (schizzo sibilante) di latte, un secondo, un terzo...e la Iole capì che non ero lì per nuocerla.
Mi concesse quasi un litro di latte, digrumando (ruminando) pacifica e mantenendo gli occhi sbarrati, ma comunque volle avere l'ultima parola...e serrando l'ultimo calcione della giornata mi scaraventò il secchio del latte dall'altra parte della stalla, lasciandomi letteralmente senza parole.
Avevo finito le imprecazioni, ed il frutto di tanta fatica era sulla parete ed il pavimento di quella stalla oramai buia.
Due ore mi ci vollero, per quel litro di latte.
La mungitura doveva essere effettuata due volte al giorno, e per una settimana e mezzo (una ventina di mungiture) non riuscii a portare in casa neanche una goccia di latte.
Vi lascio immaginare cosa volesse dire rientrare in casa, con il secchio vuoto, e la camicia fradicia, sapendo che il latte era stato versato in terra, o sporcato (regolarmente a fine mungitura) con la zampa posteriore, o oggetto di un'abbondante defecata, o scambiato per orinatoio.
Credo che fosse il suo modo per farmi dispetto, ma il suo essere tranquilla non appena io terminavo di mungerla, era disarmante: dispensava le solite attenzioni per me, e mi seguiva fedele senza lasciar intendere alcun tipo di rancore.
Poi un giorno decisi che era arrivato il momento di usare le maniere forti, e presi una fune seguendo i tanti consigli che i pastori della zone mi avevano dato: nella fretta di uscir di casa mi scordai il secchio, e presi un bricco di alluminio che avevo fuori dall'uscio di casa ad asciugare.
Entrai in stalla, la capra neanche vide la fune che mi spenzolava dalla sinistra, ed andò ad annusare quel bricco: mi si mise di fianco, immobile, come se la stessi costringendo, e posizionato il bricco non accennò alcun minimo nervosismo...e si lasciò mungere, come se stessi facendo la cosa più naturale e scontata del mondo.
Non commento...ma vi basti pensare che rientrando in casa avevo i lucciconi agli occhi tanta era la soddisfazione per aver trovato la soluzione giusta alla necessità (svuotarle la mammella) e l'opportunità (godere del suo latte).
Era bastato cambiare recipiente, e stupido io che non ci avevo pensato prima.
Mai legai quella capra, e mai legai le altre.

La mungitura è un momento delicato, intimo direi, tra l'animale che concede il suo latte e le mani del mungitore, che si fanno sensibile ed attente ai tanti segnali che la mammella lascia intendere.
La pressione, il movimento, il ritmo...tutto in un equilibrio che da capra a capra cambia, e che vien lasciato intendere.
Che sia un secchio, che sia una specifica posizione, che sia un suono: ogni capra ha la sua specifica richiesta.
La Nilde invece non aveva grandi pretese: per lei, oramai con la femmina sola da allattare (il maschio fu macellato), aveva molto latte da darle (dove prima poppavano in  due adesso poppava una sola), e non si curava delle mie mani: ogni tanto andavo ad accarezzarla, ed emettevo un suono con la bocca tanto da abituarla.
Un giorno, dopo svariati mesi, Norma si poteva dire svezzata, e quindi ne approfittai per separarla dalla madre ed iniziare a "sottrarle" quel latte che comunque non pareva più apprezzare molto.
Nilde faceva meno latte rispetto a Iole, ma a differenza di quest'ultima lei non era impaurita da un secchio ne tanto meno dai miei gesti: a lei bastava solo essere alleggerita.
Due capre da mungere, una nuova abitudine da prendere, e quel latte così profumato da utilizzare in qualche modo.
Per primi vennero gli yogur, e fu mia moglie a cimentarsi in questa fase, poi i primi formaggi a pasta molle, e poi la prima simil robiola.
Ma di questo ne parlerò in seguito.
Una delle prime mungiture di Iole





16 commenti:

  1. Ho imparato a mungere le vacche a circa 10 anni in una fattoria vicina,ci vivevo praticamente,ricordo le codate in faccia quando mi scordavo li legarle e ogni tanto una gamba della vacca dentro al secchio,i bestemmioni che si sentivano,per non parlare del dolore ai polsi le prime volte,guidare il trattore,tagliare l'erba con la BCS,che bei tempi la mia infanzia...

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    1. Ti confesso che nella mia vita ho munto la mucca solo in un paio di occasioni...
      Non ho esperienza diretta con i bovini in generale, e nella mia zona ci sono prevalentemente allevamenti (piccoli o grandi che siano) di vacche da carne.
      Ho comunque molti ricordi della mia infanzia legati alla mungitura, ossia di quando con babbo e mamma andavamo in Alto Adige e nella stalla di fronte alla pensione dove stavamo mungevano quelle meravigliose brune.
      Prima o poi so che avrò anche questo animale da mungere...lo so perfettamente, ma per adesso capre e pecore sono la mia esperienza.
      Ciao
      A.A.

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  2. E' un mestiere difficile la mungitura, almeno lo era per me quando avevo 15 anni. Da me rondini nemmeno una anche se ormai siamo alla terza luna dell'anno. Tutto sembra in anticipo le aspetto fiducioso.

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    1. Vedrai che arriveranno.
      Da me ieri è stato un vento fortissimo, e le temperature minime si sono abbassate notevolmente, e questa mattina le rondini non volavano sopra al podere.
      Ma ci sono, rimpiattate ma ci sono.
      Ciao
      A.A.

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  3. Ziin zuuun, ziin zuuun...
    Che bello il rumore del getto di latte nel secchio di metallo zincato

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    1. E' un rumore su cui spesso canticchio, usandolo come ritmo.
      Ma il rumore che preferisco è quando il secchio inizia ad essere pieno, ed il latte fa la schiuma.
      Ciao
      A.A.

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  4. Quanti ricordi da questo tuo particolare scritto!!?? Come quelli di" blogredire"e di "Vera" ...Quando al mio podere piantavamo i pomodori per l'industria e ancora li raccoglievamo a mano, andavo a prendere delle signore che abitavano sulle colline nei dintorni e queste avevano le capre. Una di esse in particolare, secca come un cane, (la nonna toppava quando mi diceva che le persone secche campavano di più di quelle grasse ) (perché poverina, nonostante, è morta in una età non accettabile) Dicevo questa, Canditina si chiamava ...mi regalava ogni anno una damigianetta di 5 litri con la bocca larga piena di marzoline (formaggio di solo capra) Una bontà unica . Mi diceva che ogni tanto le dovevo "maniare " e si sarebbero conservate così ...Anche se sono sempre alla ricerca non né ho mangiato mai più buone così ...Fare il formaggio di capra è un arte ...Tu le fai le marzoline!? Grazie, scusami che mi dilungo sempre ...ma i tuoi particolari scritti mi rievocano tutta la mia vita ...Un caro saluto!!!

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    1. Nel prossimo post parlerò della lavorazione del latte.
      Io comunque faccio il ravaggiolo, o raviggiolo, una specie di robiola ed uno stagionato. Raramente faccio la ricotta.
      Tu racconta pure, che a me piace leggere le storie di campagna.
      Ciao
      A.A.

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  5. Adoro il rovaggiolo formaggio che adoro e non mangio daxsecili! Sai,mio suocero era di colle valdelsa, esattamente di colle alta e mia suocera di massa marittima!
    Amo le tue caprette, il nonno Antonio , giù nelle marche, ne aveva due, Margherita e cochita.
    Auguri grandi di giornate serene
    Emanuela

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    1. Il rovaggiolo è ottimo, sopratutto se accompagnato dalle fave fresche, del pane scuro ed un buon bicchiere di vino bianco.
      Tanti auguri anche a te per una Buona Pasqua.
      A.A.

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  6. bellissime le tue"cronache dalla stalla"!!!!

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  7. racconto splendido, fa riflettere su cosa ci siamo persi a fare un'altro mestiere. Peraltro fare il formaggio dà l'idea di essere una specie di arte, come fare il pane e altre magie simili... c'è qualcosa di magico nell'allevare animali, il rapporto poi con gli animali da allevamento è antichissimo e alla base di tutte le civiltà... veramente mi sembra qualcosa di prezioso che fa parte della nostra cultura e della nostra storia. Comunque è bello leggere e scoprire queste cose, ci sono molti blog che trattano delle materie più disparate ma non mi risulta siano molti che descrivono queste esperienze, di vita e lavorative. Almeno in italiano, forse in francese ci sta che ci sia qualcosa in più.
    In casa mia, abbiamo fatto qualche volta il "paneer" indiano, con il latte biologico... non è niente di paragonabile nemmeno lontanamente a quanto hai fatto e stai facendo tu... e poi tecnicamente forse il paneer non è nemmeno un formaggio... però già anche questo, che soddisfazione che ci ha dato, e poi era proprio buono... vabè soddisfazioni limitate, da gente di città..

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  8. ...... chissà che buono il tuo formaggio .....

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  9. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  10. E' proprio vero che sbagliando si impara!! Certo che caratterino la Iole!!
    Da piccola andavo a prendere il latte dai miei vicini dopo la mungitura... avevano una piccola stalla con qualche mucca, mi ricordo che si stava bene lì e a volte ci fermavamo a giocare. Lo zio, (una volta i vicini ero più che parenti, non come ora che non ci si guarda nemmeno)faceva il formaggio e mi ricordo anche il vino... era una vita con ritmi diversi.. quanti ricordi!

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