Taglio dell'erba per gli animali del podere

Taglio dell'erba per gli animali del podere

sabato 25 aprile 2015

Racconto di Vita Anacronistica:la mia prima vera campagna (2° parte)

Maria, una persona a me Cara che oggi non c'è più, un giorno di tanti anni fa mi disse questa frase:
"Le Amicizie migliori sono sempre quelle dei parenti scelti."
Lei, figlia della disciplina teutonica, Amica solo di pochi, seppe farmi capire il valore di quelle parole, e non fu difficile scegliere di affezionarsi a quel bimbetto dallo sguardo spaurito che mi sedeva accanto durante le ore di scuola.
Lui iniziò raccontandomi di Pulcinella: una vecchia gallina ovaiola, da lui "salvata dalla pentola del brodo", e seguita quotidianamente nel suo girovagare per il Podere.
"Hai mai guardato la vita con gli occhi di un pollo? Fallo una volta, e non tornerai più indietro." Quella vocina così marcatamente toscana e schietta usciva di rado dalla sua bocca, ma ogni volta era per me un tuffo nelle emozioni: volevo e dovevo conoscere Pulcinella, e senza troppo pregare i miei genitori ben presto mi feci portare al Podere di A.
La sua famiglia era composta dal babbo, un omone veramente grosso, che mescolava il broncio al sorriso in ogni sua espressione, con mani grandi come motopale, ed un irrequietezza tipica di chi sa lavorare; la nonna, vecchia forse anche da giovane, con voce stridula, pelle lustra e consumata da una vita "alle pecore", colma di mille insegnamenti da dare; la mamma, una figura a cui mi legai subito, e che tutt'oggi tengo nel cuore tra le persone a me più care, una donna fragile che sapeva dispensare Amore dietro ad ogni suo rimprovero.  Una famiglia semplice, e forse povera per quelli che sarebbero stati i tempi di oggi, che aveva sempre vissuto con la mezzadria, e che non aveva mai studiato un libro pur conoscendo tanto della Vita.
Quella famiglia, la famiglia di A., divenne da subito una mia seconda famiglia...la seconda famiglia della mia seconda vita.
Da bimbo sempre un pò malato, cresciuto tra i nonni, che mai si allontanava dall'andito del portone di casa, e che teneva la sciarpa sino a primavera inoltrata...divenivo bimbo che correva già per i campi, che rincorreva ogni genere di animale, che si arrampicava sulle piante, e che scopriva la vita con quel forte senso di avventura così colmo di divertimento.
In genere alla domenica si andava al Podere, e la dinamica era sempre la seguente: come la macchina dei miei arrivava nell'aia, io mi precipitavo fuori e...sparivo, chissà dietro a quale "lavoro da fare" o "aggeggio da accomodare": i miei sensi si esaltavano ogni volta.
Ricordo perfettamente la prima volta che immersi le mani e le braccia in una balla piena di grano (avete mai provato?): era come scivolare dentro qualcosa che ti chiama ma che ti oppone resistenza, e ti senti le mani fresche e pulite.
E poi l'odore del gasolio del trattore, le mani imbrattate di morchia, il ronzio delle vespe disturbate, l'acqua del pozzo freddissima in agosto, il sapore della terra arsa dal sole, il canto dei campani delle pecore lontane al pascolo, la vista del sangue di un animale macellato, il rumore dell'uovo che si schiude, il calore delle frasche d'ulivo bruciate il venerdì Santo, le mani che impastano la salsiccia, il profumo della fioritura della vite, le urla a richiamare il cane, il sudore salato che ti brucia gli occhi...
Ricordi indelebili, che oggi rivivo ancora con occhi di bimbo.
A. era mio complice in questo mio "scoprirmi alla vita", ma spesso non riusciva a comprendere l'origine di quel bisogno.  Qualcosa di atavico, che c'era sempre stato, e che doveva tornare alla luce...
...e proprio in quei nostri primi incontri partorii quella che sarebbe divenuta la mia scelta di Vita: "Da grande faro il contadino!"
Ricordo nitidamente il giorno in cui lo dissi ai miei genitori: babbo sgranò gli occhi, e con la voce che mal celava del sarcasmo mi chiese "...cos'è che farai te? Ma non volevi fare il vigile urbano? Quello del contadino è un lavoraccio..."
Ero veramente giovane (poco più di sei anni), ed in una classe scolastica dove c'erano futuri medici, avvocati, ballerine, attrici, astronauti, calciatori...c'ero io che volevo fare il contadino.
Sono sempre stato sempre Anacronistico, anche in quell'aula...
A. non mi giudicava, e aspettava il fine settimana per poter condividere un pò della sua vita con me.
Ed un giorno, credo che avrò avuto sette anni o poco più, arrivato al podere, lui mi disse: "dobbiamo correre, sta per nascere!"
Era la prima volta che assistevo ad un parto, e quello sforzo della madre, l'odore del sangue, ed il primo belato mi fecero legare per sempre a quella capra...a tutte le capre: avevo sette anni o poco più ed avevo scelto (oramai per sempre) quello che sarebbe stato il mio animale preferito.
Me lo sono sognato per cento notti almeno, ed ogni volta il cuoricino pareva volermi sortire dal petto, ed ogni volta gli occhi mi si bagnavano: capii presto che la Natura è Vita, anche con quella nascita in quella stalla buia.
Ogni volta accumulavo così tante sensazioni ed emozioni, che poi mi ci voleva tutta la settimana per smaltirne e raccontarle ai mie nonni.
Una domenica A. mi disse che volendo potevo dare loro una mano per la macellazione del maiale.
Sull'argomento potrei scrivere molto, ma mi limiterò a sottolineare l'importanza di quel momento: per più di un anno quell'animale, nato e cresciuto proprio lì, aveva vissuto del cibo che la famiglia di A. aveva coltivato per lui.  Cibo sano, al pari delle verdure dell'orto, che era stato seminato, coltivato, e curato appositamente per lui; era oramai cresciuto e pronto per compiere il suo destino, e la vista della morte...di quella morte, non mi traumatizzò.
Avevo sette anni o poco più ed avevo capito qualcosa di importante sul ciclo della vita.
Non mi tirai indietro, e candido da ogni tipo di cinismo, seguii quel rituale attraverso il quale si doveva onorare ogni cosa di quella bestia, senza sciupar nulla e facendo tutte quelle lavorazioni così difficili: quegli odori, quei sapori...non trovavo altro che serenità in quei gesti, in quel lavorare.
Babbo e mamma mi guardavano, e credo che spesso fossero stupiti da come quel loro figliolo non provasse lo "schifo" o la paura per certe cose, e non mi frenavano mai, ma bensì mi incitavano sempre ad essere curioso e a cercare di capire il più possibile di ogni gesto.
Non posso certo dire di essere cresciuto in campagna, ma uno dei momenti più eccitanti era quando andavo a trovare una mia bisnonna che viveva nel paese, a non troppi metri dalla nostra casa, ma che aveva "un pezzettino di campagna" in cui potevo giocare.
All'epoca era ancora possibile questo, e proprio nel cuore del paese, come per "un'isola che non c'è", cera la sua casetta, isolata, con la vigna ed i frutti davanti all'uscio, un grande orto, la legna segata per la stufa, e le galline.
Lei aveva fatto la cuoca per i poderi, un mestiere oramai scomparso che sino a qualche decennio fa portava un cuoco a girare per le campagne in occasione di feste, ricorrenze, sposalizi.
Nonna aveva le mani grandi, la crocchia nella testa, ed era "dell'otto" (come diceva lei...del 1908): il suo modo di parlare era unico, e tratteneva sempre molto le vocali, spesso anche coniando dei vocaboli tutti suoi.  Stare con lei era sempre un grande divertimento: mangiavo come un uomo grande, assaggiavo il vino (a cui mi aggiungeva la spuma...ma sempre di vino si trattava), mi faceva parlare dei trattori, e poi c'erano i polli...tutti per me, per giocarci senza straziarli.
Ricordo quando una volta, dopo avermi fatto il pollo al mattone (una sua specialità) con le patate fritte rifatte in umido, lei mi chiamò dalla finestra: "Biiiimbooooou, è pronto il polliiciinoooou!"
Che corsa in quei filari che mi parevano così lunghi, e via a lavarmi le mani e a sedermi in quella cucina che odorava sempre di fuliggine e ragù.
Mi vantavo con A. di avere una nonna che viveva "in una specie di campagna", e questo mi autorizzava a sentirmi al suo livello, perlomeno nel mio immaginario.
Ma gli anni trascorrevano felici, e ben presto le scuole elementari terminarono: separarsi da A., come del resto separarsi dall'amata Maestra, fu così doloroso.
Ma per entrambi i casi la separazione durò poco, e se la Maestra continuavo a vederla quasi tutti i giorni (abitava accanto a noi), A. continuai a vederlo con maggior frequenza.
Il periodo delle scuole medie non è stato semplice e piacevole per me, ma la campagna era una costante rappresentata dalla frequentazione con A. e da quell'orto che iniziavo a fare sotto casa.
C'era un mio compagno alle medie, uno di quelli che cresceva alla svelta, che faceva la scuola di calcio, e che aveva la fidanzata..ebbene lui mi diceva sempre che se avessi continuato a fare l'orto mi sarei "escluso dal branco".
Branco? Ma io non volevo stare nel branco, neanche ci pensavo.  Volevo piuttosto coltivare le verdure, andare da A., stare con babbo alla macchia, e...dare spazio alla mia nuova passione: ad 11 anni mi scoprii un fotoamatore, e mi avviai alla camera oscura e alle sperimentazioni.
Ed i soggetti delle mie foto quali erano? Animali...gli animali di A.: le pecore, il maiale, le galline, i conigli, i piccioni, i cani da caccia di suo padre, ognuno un soggetto che immortalavo prima, e fissavo poi in camera oscura.
E quelle foto iniziarono a divenire gli spunti di riflessione sul mio progetto del podere tutto mio: desideravo avere dieci pecore "così"... e mostravo la foto delle pecore, piuttosto che un maiale più scuro di "questo"...e toccava alla foto del maiale immortalato mentre ignaro si godeva la pozza del fango.
Fu in quegli anni che decisi quanto avrei studiato da grande, e che sarei andato all'Istituto Agrario.
Lì avrei conosciuto così tanti nuovi compagni che venivano dalla campagna...ed ero veramente eccitato a quell'idea.


Questa la prima parte del racconto :
http://agricoltoreanacronistico.blogspot.it/2015/04/racconto-di-vita-anacronistica-dal.html
















mercoledì 15 aprile 2015

Racconto di Vita Anacronistica: dal principio al primo giorno di scuola (1° parte)

Adesso proverò a fare una cosa che sento di doler fare: ho il desiderio di alleggerirmi di tutti questi panni pesi che mi tengo sempre addosso, e di lasciare che stia più comodo e scoperto in mezzo a voi.
Per quanto ami parlare di campagna, il "concedermi nel privato" non è cosa facile per me, e seppur l'anonimato mi offra una certa sicurezza, sento che sono forse poco adatto a lasciarmi andare a certe condivisioni.
Ma voglio provare...voglio provarci, e vedere cosa succede.
Tra di voi ci sono (pochissime) persone che mi conoscono nella realtà, che sanno che suono abbia la mia voce o quanta barba abbia sulla faccia: proprio da una chiacchierata fatta con uno di queste ho capito che potevo iniziare a concedermi di più.
Questo sono io, le mani sono grandi come la bocca, ma il poco ego viene schiacciato dalla riservatezza (e anche dalla timidezza).
Prenderò questa cosa come un esercizio, e poco alla volta vi racconterò di me, senza affondare troppo: son certo che accoglierete queste mie parole con piacere e nel rispetto.



Si nasce in tanti modi, ed io sono nato di venerdì, a mezzogiorno in punto: il prete suonava le campane ed io facevo il primo vagito (anzi, il primo starnuto).  Mamma commerciante, babbo vigile urbano, e ben sette tra nonni e bis nonne ad aspettarmi.
All'epoca i miei non avevano il telefono in casa, e babbo fu raggiunto dalla notizia (data da mio nonno che invece aveva il telefono in casa) mentre stava trapiantando un'ortensia: era proprio destino che venisse a conoscermi con le mani terrose.
La terra mi ha sempre chiamato, e facendo dell'ironia questo era dimostrato anche dai continui capitomboli (da me si chiamano "musate") che facevo: il baricentro è una cosa che ho imparato a capire molto tardi.
Da bimbo tutto è bello...per forza, sopratutto quando sei coccolato da così tante persone.
Ma non me ne approfittavo mai, anzi: se facevo una marachella potete immaginare in quanti mi rimproverassero.
E così, tra tante carezze e qualche sculaccione, mi sono avventurato nel mondo dei bimbi.
L'asilo dalle suore, dove la goduria era quel giardino grandissimo dove ci facevano giocare, e dove c'era il pollaio e l'orto: mi ricordo che ogni pretesto era buono per seguire la suora che andava a cogliere qualcosa o a cavare le uova.
All'epoca avevo difficoltà a pronunciare la lettera "R", e quindi questo rappresentava uno scoglio da superare: un giorno di ritorno dall'asilo, correndo in contro a mamma, le urlai colmo di soddisfazione ed entusiasmo:
"Mamma! Ho compRato un tRRattoRRe gRRRosso e RRRosso!!!"
Ancora oggi questo è un aneddoto che mamma ripropone a tutti noi quando rientro nell'aia con quel trattore "rosso e grosso" che dopo tanti anni son riuscito a comprarmi.
Ero un bimbo calmo, buono, ma che faceva sempre tante domande, e che piuttosto che il pisolino o la preghierina, preferiva ascoltare i racconti o sgattaiolare in cucina mentre veniva preparato il desinare.
La domenica era poi il momento proferito, dove finalmente si mangiava tutti assieme, e dove mi godevo babbo nelle nostre "giratine" con la macchina (ricordo nitidamente l'odore dei sedili della mitica 126 bianca) o nella macchia (ogni stagione era buona per cercare qualcosa).
L'essere curioso e l'avere fantasia mi hanno aiutato tanto, sopratutto nei momenti di solitudine: infatti troppo pochi erano i bimbi con cui giocare, mentre abbondavano gli anziani che mi raccontavano della loro gioventù, dei tempi della miseria, della guerra e dei sacrifici.
Crescere così è per me stato un Dono, un grandissimo Dono, con un'enciclopedia vivente che mi narrava aneddoti e mi passava insegnamenti.
In casa vivevano assieme due mie bisnonne ed i miei nonni materni, ed è con loro che ho trascorso la maggior parte dei miei anni d'infanzia: la casa dei miei genitori era a cinquanta metri, e potevo comunque percepire quel calore familiare anche se spalmato su due abitazioni diverse.
La più anziana di tutte era la madre del mio nonno, mi pare che fosse degli ultimissimi anni dell'800 (forse il 1896): una donna magra, magrissima, con tre denti in bocca, le mani ossute, ma lo sguardo curioso e la voglia di parlare: con me era paziente, e si lasciava "torturare" con quei miei giochi fatti di automobiline e costruzioni.
C'era poi l'altra mia bis nonna, la madre della mia nonna, che è stata una vera e propria seconda madre per me, e che ho avuto la fortuna di avere accanto ogni giorno della mia vita sino alla tarda adolescenza: lei era così affezionata, ma anche severa ed attenta a tutto quello che facevo.
Non di meno sua figlia, la nonna di cui spesso vi parlo e che oggi continua ad essere "in gamba": la più severa, ma anche quella che più mi ha ascoltato, e verso la quale ho sempre avuto la stima più grande.
E poi c'era nonno, suo marito, bello come il sole, elegante, istruito, sagace...per me un vero signore e modello, un uomo che aveva grandi ali alla mente: lui mi spiegava il senso del viaggiare e l'importanza dell'istruzione, ma su tutto mi parlava dell'Amore.
Tutti m'insegnavano quotidianamente qualcosa, che si trattasse di una poesia o di un piatto cucinato.
La cucina era (ed è) sempre stata fonte d'interesse per me, e l'avere così tante donne in casa che cucinavano è stato certamente divertente, ma anche molto istruttivo.
In rispetto per le materie prime, sapere cosa la stagione ci "regalasse", saper sfruttare una verdura piuttosto che della carne senza esasperarne o alterarne i sapori, e poi...saper "rigirare il mangiare".
Rigirare il mangiare vuole dire questo: cucinare un piatto, e poi saperne sfruttare gli avanzi in un piatto diverso, e poi saperne ancora sfruttare gli avanzi in un'altro piatto ancora.
Ed è così che, in tempo di carciofi, mi mangiavo carciofi tutti i giorni senza mai lamentarmi, ogni volta con un piatto "nuovo" sotto al naso, e via per il periodo dei cavoli, quello dei finocchi, degli spinaci, etc.
Ricordo la mia adorata bis nonna quando faceva il brodo: un pentolone d'acqua fredda appoggiato sulla stufa (o sui fornelli), una bella cipolla....grossa, uno stocco di sedano, due carotine, una patatina, uno spicchietto d'aglio...piccolo mi raccomando, un ciuffetto di prezzemolo, qualche foglia di basilico, del pollo, e l'osso di vaccina (spesso il ginocchio...ma molto dipendeva dal macellaio).  Sale grosso e pazienza, con quel coperchio sgangherato che veniva dalla prima guerra mondiale (un souvenir che un suo fratello si era portato dal fronte...credo).
Ricordo ancora la sua voce, un poco roca, quelle maniche tirate sempre su, e l'immancabile grembiule.
Quel brodo era così buono, e poi me lo truccava con una spolveratina di noce moscata, che "gli dava quel buono in più" diceva.
C'era quindi i lesso da mangiare, ed il giorno dopo il lesso rifatto (magari in umido con i fagiolini o le patate, ed il giorno dopo ancora le polpette degli avanzi...ed io ero sempre contento.
Non sprecare troppa polpa attaccata alla buccia, perchè si sa che loro avevan veramente patito la fame; non attaccare mai il mangiare al tegame, e non avere fretta nelle cotture: ero un bimbo cresciuto con quelle parole, quelle visioni, e quel libro così consunto dell'Artusi.
Giocavo a briscola ogni pomeriggio, facevo la passeggiata con i nonni lungo le strade di campagna, facevo i compiti e crescevo, tra una febbre ed un malanno.
Non sono mai stato molto in salute, e questo ha minato più e più volte il mio cammino, creando attenzione ed apprensione su di me: ma tutti mi volevan bene, e lo sapevo che tutte quelle raccomandazioni (tante...ve lo giuro), venivano date solo per il mio bene.
"Mettiti la sciarpa, e la cuffia", e quindi uscivo con al papalina sino ai primi caldi.
Mi ricordo che a casa di nonna c'erano quattro scaloni sotto al portone, e nella bella stagione "si scendeva giù a veglia" con le altre inquiline del vecchio palazzo: La signora Franca, la signora Bice, Franchina ed il piccolo Gigi, Ada, ed io, la bis nonna e la nonna.
A volte c'era anche mia (bis) zia, ed il chiacchiericcio si alzava, a far da coro agli altri provenienti dai palazzi vicini: c'era chi faceva l'uncinetto, chi fumava, chi parlava e riparlava, e poi c'ero io, unico bimbo, che ascoltavo e giocavo con la pallina (una vecchia e spelacchiata palla da tennis trovata chissà dove e reduce dei giochi del nostro vecchio cane).  Non mi mancava nulla in quei momenti...
Avevo un rapporto "sano" con la televisione, che mi veniva permessa solo dopo lo studiare ed il giocare, e sempre limitatamente, senza eccedere.
La casa nella prateria era il mio programma preferito, dove questa gente si costruiva tutto da se e dove c'era tutta quella campagna pulita nella loro vita...ma il vero amore era lui, il Signor Piero Angela, che con le sue parole mi catturava ed insegnava così tante cose.
Poca televisione, molte chiacchiere fatte a veglia dopo pranzo o dopo la cena, con i racconti di tempi non troppo lontani, e quelle novelle infinite che mi facevano sempre trattenere il fiato.

Si cresce in tante maniere, e presto arrivò il momento delle scuole elementari: il percorso da fare a piedi era veramente breve, ed in quelle poche centinaia di metri sentivo che mi conquistavo il mio "crescere", fatto di scuola e bimbi.
La Vita volle che , dopo qualche giorno di scuola, mi fosse messo di fianco un bimbo che non conoscevo: biondo, con gli occhietti piccoli, silenzioso: lui era A., veniva dalla campagna e ben presto cambiò la mia vita, per sempre.






venerdì 3 aprile 2015

Primavera intorno casa

Il primo d'Aprile le prime rondini hanno ufficialmente aperto alle giornate più lunghe, ai primi tepori, ed all'esplosione di colori ed odori: è la Primavera.
Il passaggio all'ora solare è stato (come sempre) piuttosto traumatico: la sera si lavora un'ora di più, ma alla mattina ci si sveglia sempre alla stessa maniera...quindi il lavoro è aumentato.
Questo periodo dell'anno è forse tra i più amati dalla gente, e senza dubbio è un momento in cui la Natura offre una vera e propria esplosione di colori e profumi.
Approfittando di un breve momento di relax, mentre rientravo con le capre dal pascolo quotidiano, ho impugnato la macchina fotografica ed ho scattato qualche foto che testimoniasse il "risveglio" della Natura, dopo un inverno "più inverno" di quello del 2014.
Semplicemente, ecco qui alcune delle foto.

Le fave nell'orto sono sopravvissute al gelo, ed adesso regalano una splendida fioritura.


Le gemme dei ciliegi iniziano a prendere colore
L'ortica regala un verde brillante, e presto potrò gustare il risotto fatto con questo erbaggio.

Fiore del susino "scosciamonaco" (coscia di monaca).
L'abbondante fioritura dell'albicocco fa pensare che, dopo almeno due anni, la primavera stia avendo il suo corso "regolare".


  Il "salce" (salice) si sta risvegliando.




Mentre scrivo, sento che la competizione tra i nuovi galli è più accesa che mai: infatti, come spiegato un paio di anni fa, sto per effettuare "la scelta" dei due nuovi galli, che affiancheranno uno dell'anno passato.
Cantano a squarciagola, e le galline hanno il loro del "daffare" con tutti questi maschi aitanti e desiderosi di primeggiare.
Uno dei nuovi galli


La vigna sta ancora dormendo, ma ho effettuato la rottura del cotico invernale con un tiller a molle.
Nell'orto ho provveduto a smuovere e spargere il pacciame invernale (paglia...tanta paglia), ed a breve seminerò le patate e trapianterò le cipolle rosse.
Gli olivi si apprestano ad iniziare la mignolatura, e nei prati l'erba cresce a vista d'occhio.
Purtroppo la semina dell'orzo (effettuata ad inizio gennaio) non è andata affatto bene, e non riesco a capire che cosa abbia sbagliato: il terreno era in "tempera", la lavorazione è stata superficiale, il seme era....forse il seme non era buono? Non riesco a capirlo, ma ne verrò a capo.
Intanto, il camino è sempre acceso, e la sera si cena mai prima delle 20:30.