Taglio dell'erba per gli animali del podere

Taglio dell'erba per gli animali del podere

martedì 29 dicembre 2020

Quel che non ammazza, fortifica

Cari lettori,
come di consuetudine arriva il post di fine anno, e come di consuetudine avrei dovuto parlare dei problemi, delle soddisfazioni e dei bilanci di questo anno tanto nefasto quanto unico per tutti noi.
Non sento il bisogno di elencare niente, ma semplicemente di rivolgermi a voi con un saluto, una raccomandazione ed un pensiero felice.

Il saluto è per quanti fanno interventi qui, che si tratti della prima volta o che siano assidui in questo: vi auguro il migliore inizio del nuovo anno.
Ma il mio saluto va anche a quanti leggono silenti queste righe di Blog, ed a quanti capitino qui occasionalmente, con curiosità e con spirito critico: a tutti voi auguro il Meglio.

La raccomandazione è quella di saper cogliere tutte le esperienze (dirette e non) fatte in questo 2020, e non lasciare che svaniscano nel dimenticatoio della memoria: sfruttiamo tutti le sofferenze, i sacrifici, le paure, la rabbia, la tristezza, gli insuccessi, e le privazioni al fine di rendere tutto questo un pilastro su cui edificare, e non una pietra da lanciarsi dietro le spalle.
Quel che non ammazza, fortifica.
Ed appunto, usciamo dall'anno ancor più consapevoli dei nostri limiti, della via da seguire, e dei propositi da concretizzare: un anno giovane si affaccia alla porta dei giorni, e non possiamo tenerlo staccato, protetto da quello che sta terminando.  Usiamo memoria, ed usiamola a fin di bene.

Il pensiero felice è tutto in quella manina, che sotto al fango accumulato, scorge e salva una coccinella, liberandola al prato.
E' nei giovani, nel nostro futuro, che dobbiamo trovare forza e risposte.
Ed è per i giovani, per il nostro futuro, che dobbiamo trovare risposte forti.
Che sia il nostro figlio, o il figlio del prossimo, sarà nelle sue mani oggi piccole che consegniamo la casa di tutti ed il suo tempo.
A noi questa responsabilità, mai come nell'anno che sarà.
Buon 2021



giovedì 24 dicembre 2020

Natale 2020 - La storia di un bimbo e di come incontrò Babbo Natale

A mio fratello,
Tanto lontano quanto vicino, come mai prima di adesso.


Era l'antivigilia, e come tutti gli anni a casa di nonno e nonna si faceva l'albero di Natale.
Anche quell'anno era nonno a portarlo su per la tromba delle scale: si trattava di un pino, donatogli dai tati che lavoravano nella Comunità Montana.
Una volta in casa, e posizionato in un angolo del salotto, spettava a nonna ed a babbobimbo mettere le lucine colorate, le palline di vetro (in alto), quelle di plastica (in basso e dietro), i nastri argentati (pochi perchè a nonna proprio non son mai piaciuti).
Spettava a nonno mettere il puntale: era argentato, con lucine che si accendevano e spengevano, e toccava quasi il soffitto: si doveva aiutare con lo scaleo, mentre babbobimbo e nonna gli facevano da assistenti.

Finito l'addobbo tutti e tre stavano compiaciuti a guardarlo, in quell'acceso e spento che le lucine riflettevano nell'intera stanza buia.
Il giorno dopo era la vigilia di Natale, un giorno tanto speciale per babbobimbo.
Infatti, dopo la cena a base di brodo e tortellini a babbobimbo era concesso di rimanere alzato per poter guardare un film.
Tutti e tre assieme, seduti sul divano, a guardare il film, e poi via a letto di corsa, perchè si sa che "se i bimbi non dormono, Babbo Natale non lascia i regali".
Ed ance quella sera babbo bimbo si addormentò subito, sotto al pesante coltrone.
Un rumore forse lo svegliò, magari un ciocco che ruzzolava dentro la stufa a legna.
E proprio dalla stufa a legna si liberava una flebile lucina che a stento schiva il corridoio, dove babbobimbo vide un'ombra muoversi.
L'ombra di accostò alla stufa, e nitidamente babbobimbo seppe distinguere forme e colori: una persona alta, robusta, con una giacca rossa, stivali neri, barba bianca e...e un saccone grosso sulle spalle.
Ma, ma era lui, si era proprio lui: Babbo Natale.
Babbobimbo provò emozioni come agitazione, euforia, stupore.
Voleva saltare giù dal letto, corrergli incontro, abbracciarlo, ma...ma se Babbo Natale si fosse accorto di lui, sarebbe svanito nel nulla.
Questo babbobimbo non lo avrebbe potuto sopportare.
Ed allora che fare?
Ci pensò e ripensò, e poi comprese che l'unica cosa da fare fosse proprio...non fare niente.
Scivolò ancor più sotto al pesante coltrone, lasciando solo uno spiraglio per poter sbirciare a fatica.
Babbo Natale solcò il corridoio, girando a sinistra per entrare in salotto.
Di fronte all'albero addobbato, quell'omone si inginocchiò, e scaricò tanti e tanti pacchetti proprio sotto le fronde di quel pino.
Babbobimbo da quella posizione poteva scorgere ogni suo movimento: nemmeno respirava, tanta era la sua voglia di non farlo andare via.
Ancora un attimo, e Babbo Natale si rialzò, e diretto ritornò nel corridoio salvo poi svanire.
Il cuore era colmo di emozione, e babbobimbo sentiva le lacrime calde e salate scivolargli sulle guance: lui aveva visto Babbo Natale.
L'emozione, tanta, prevalse su tutto, tanto che si addormentò.
Ma presto fu giorno, presto fu Natale.

Babbobimbo, una volta sveglio, saltò giù dal letto, correndo a più non posso verso la camera di nonno e nonna, e con un balzo si piombò tra loro due, proprio sul lettone.
Era raggiante, e dispensava sorrisi ed auguri.
Prima ci si doveva lavare, poi vestire, ed infine fare colazione: tutto eseguito senza fare una piega, da bimbo bravo quale era non faticava certo a fare le cose di sempre, seppur avendo un treno a vapore nel petto.
Ecco che il campanello suonò; erano i bisnonni che arrivavano, tutti ricambiati per la festa.  Quel segnale permetteva a babbobimbo di poter andare in salotto e di iniziare a scartare.
Una ruspa...delle costruzioni...una macchinina.
Regali tanto desiderati, ma babbobimbo sapeva che di quel Natale non si sarebbe mai e poi mai scordato il regalo più bello: lui aveva visto Babbo Natale.



L'Augurio è che possiate trascorrere il miglior Natale possibile, e che abbiate la pazienza, la resilienza, e la lungimiranza di pensare che l'anno prossimo andrà meglio...perchè deve andare meglio, e tutti noi abbiam bisogno di poterlo credere.
Per quanto mi riguarda, sarà il decimo Natale su questo blog, il secondo tra i monti, ed il primo con i genitori lontani.
Ma su tutto, il bisogno di far festa per una bimba troppo piccola da poter comprendere quanto sia complicato poter festeggiare in determinate circostanze.
Non aggiungo altro, se non: 
Buon Natale.

Agricoltore Anacronistico.
                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                         



giovedì 10 dicembre 2020

Paura che ti blocca le gambe e ti toglie la voce

Io sono un omone.
Chi mi conosce sa che non sono un tipo che si spaventa facilmente, fatta eccezione per quel paio di paure, forse ataviche, che mi porto dietro da tanto tempo... forse da sempre.
Ho un pò di coscienza e di conoscenza della Natura, e nel tempo ho imparato a non bloccarmi di fronte a imprevisti o ad eventi paurosi: piuttosto riesco ad agire lucidamente, attingendo forse alla capacità di saper respirare di diaframma, e di aggrapparmi (come extrema ratio) a quella bradicarpia che all'occorrenza recupero non so dove e non so come.
Chi mi conosce sa che, se l'adrenalina mi spinge per buona parte della mia vita, la calma appunto mi sostiene nelle situazioni più critiche.
Eppure...
Eppure certe convinzioni sembrano esistere proprio per essere contraddette, sfatate, ribaltate.
Negli ultimi anni della mia Vita molte (per me assolutamente troppe) sono state le situazioni in cui ho rischiato di bloccarmi, o di lasciare entrare rabbia e paura dentro il mio petto, e di far loro timonare la mia bocca e le mie braccia.
Tante, troppe, nelle quali sono riuscito a mantenere il controllo all'ultimo istante.
Il Controllo è appunto l'arma più potente.
Calma ed intelligenza. 
Coscienza e Conoscenza.
Eppure...
Eppure quest'arma qualche sera fa mi è mancata.


Erano quasi le sette di sera, ed al Podere era buio e nuvoloso.
Tutto il giorno aveva vinto la pioggia, in quell'inizio di Dicembre bagnato e freddo, fatto di lavori dentro al Podere, con sporadiche visite all'uscio di casa nella vana speranza di veder rimettere la stagione.
La sera si era portata dietro altre nuvole, e minacciava anche un temporale mentre il vento rinforzava.
Tutti i lavori della giornata erano stati fatti, ma avevo lasciato indietro soltanto la cavalla, col suo governo da farle, e la stalla da chiudere per la notte.
In quel buio pesto, quel ritardo mi pesava ancora di più perchè dovevo andare a piedi sino alla stalla all'imbocco del bosco e distante dal Podere, senza l'aiuto dei fari della macchina.
Con l'auto mi sarei inevitabilmente impantanato, allungando la mia permanenza sotto la pioggia, tra canapi da tendere, trattore da accendere, ed una vettura da trascinare.
Gli stivali avevano già almeno 5 centimetri d fango pressato sotto la suola, il giaccone era già peso per la tanta pioggia bevuta; tanto valeva non lamentarsi, prendere la torcia, ed andare da quella povera cavalla mettendo un piede dietro l'altro.
Mentre scendevo lungo il campo mi facevo luce a pochi metri da me, tanto per evitare le pozzanghere quanto per poter procedere a passo deciso.
La discesa non mi facilitava la camminata poichè ad ogni passo rischiavo lo scivolone: pareva di pattinare sul ghiaccio.
Aveva appena smesso di piovere e c'era un silenzio pesante, quasi uggioso visto che anche il vento si stava placando.
I gatti, fedeli compagni del giro serale, mi seguivano puntando diretti verso la stalla, luogo dove trascorrevano sempre molte ore nei giorni piovosi.
La torcia puntata sull'ingresso della stalla mi fece notare subito che c'era qualcosa di diverso.
La cavalla, invece di essere col suo capone oltre la staccionata d'ingresso ad aspettarmi brontolante per il mio ritardo, era rintanata dentro, con le orecchie dominate da movimenti nervosi, e quello zoccolo sbattuto a terra ripetutamente.
Pensai che le dolesse la zampa: con tutta quell'umidità era una spiegazione più che logica.
Avvicinandomi, con voce bassa e parole lente, la rassicuravo cercandola con la mano mentre si ritirava nell'angolo più lontano dell'ingresso.
Neanche i gatti, portatori di fusa e strusciamenti, parevano esser da lei  graditi.
Doveva proprio farle tanto male quello zoccolo, e mi ripromisi che all'indomani mattina sarei tornato alla stalla col raschietto per farle un poca di pulizia al piede.
Aveva smesso di piovere, e una volta dato fieno ed acqua fresca, ero pronto per ritornare via, quando la cavalla iniziò a scuotere la testa, sbuffare, e saltellare in modo sconclusionato.
Anche i gatti a questo punto avevano perso le speranze, e tutti e tre in fila si misero seduti in mezzo allo stradello per aspettarmi sulla via del ritorno.
Una luce adesso entrava dall'ingresso: era la luna piena che si stava scoprendo dalle nuvole, e che faceva quasi giorno. 
Tutto s'era fermato, come in una foto: riuscivo a vedere bene il Podere, il pozzo, il campo coltivato, la fila di castagni lungo la strada, e per un attimo mi sono imbambolato in quell'immagine che pareva rubata al più bello dei sogni.
Ma un rumore ruppe quell'attimo di pace.
Un rumore che veniva dal bosco, uno sfraschio a pochi metri dalla stalla.
D'istino spensi la torcia, appoggiandola poco distante, certo com'ero che fosse il daino che si accingeva ad attraversare il campo per andare a pascolare oltre il poggio. 
Le abitudini dei selvatici scandiscono le ore di buio in campagna, e sin troppo bene conosco gli orari e i vizzi dei tanti animali che la notte s'accostano alla casa.
Ancora quel rumore, di poco più vicino alla stalla.
Mi affacciai oltre la parete della stalla per vederlo saltare fuori dal bosco.
Ma a catturare la mia attenzione era la cavalla: nel buio di luna piena i suoi occhi sgranati parevano grossi il triplo.
Come sospeso nel mare, sentivo un gran caldo alla faccia, e continuavo a buttare gli occhi oltre la stalla, e dentro alla cavalla.
Provai a rassicurarla con la mano,  ma un rumore nuovo, quasi come lo sbadiglio di un cane, fu seguito da un abbaio acuto e vocalizzato a lungo, proprio lì dietro la stalla, a non più di quaranta metri.
Mi chiesi che cane potesse mai essere, in quei tre, forse quattro secondi di silenzio.
Un silenzio agghiacciante e violento dove la testa pareva essersi spenta e dove non respiravo per non far rumore.
Io non capivo, ma una qualche forma di difesa primordiale mi imponeva di rimanere immobile e muto.
Un Ululato, accennato a fatica, quasi come fosse abbaiato scappò via dallo stesso posto, a margine dei campi.
Ma quel cane che ci faceva lì?  Di chi era?
Gli fece eco immediato un nuovo ululato che questa volta giungeva poco più avanti, a pochi metri dal primo ululato.
Questo era lungo, e gli fecero eco altri due ululati, che giungevano più in basso, forse di una decina di metri rispetto al primo.
E gli ululati erano quattro, distinti, lunghi, infiniti, ch'echeggiavano nella calanche del fiume, e salivano sino al Podere dove il cane da quel momento avviò l'abbaio dal suo recinto.
La cavalla nitriva e scalciava.
La porta della stalla spalancata.
La luce della torcia spenta.
Io all'ingresso, ancora con una mano tesa verso l'animale, nel tentativo di calmarlo, ed il cuore che come la più grande delle grancasse, sbatteva senza senso nel mio collo e nelle mie tempie.
Non il forcone vicino, non la pala, non  un randello da poter usare.
Solo, con la torcia spenta e distante, ed il disperato bisogno di un ragionamento che potesse toglierci da quella situazione.
Ed i polpacci mi facevano male, come nel più forte dei crampi, e sentivo salir su per le gambe freddo ed immobilità.
Tutto accadeva nell'arco di quindici secondi, e quindici secondi erano troppo pochi per concepire azioni che avessero un senso contro quell'evento che mai e poi mai mi sarei immaginato di vivere.
L'unica protezione contro quell'ignoto era tutta nella mia voce e nelle mie gambe: urlare a squarciagola e scappare sarebbe stata la cosa da fare, ma c'era da chiudere la stalla, recuperare la torcia, e chissà ancora quante cose...e non c'era tempo.
Urlai, con tutto il fiato che avevo in gola... o perlomeno mi immaginai di farlo, spalancando la bocca, ma non sortì nulla.
Non riuscii nemmeno a fare una qualche specie di suono, niente di niente, nonostante lo sforzo per farmi sentire.
La grancassa adesso mi esplodeva nelle meningi, e gli occhi mi bruciavano tanto.
Dovevo andarmene, senza indugiare, ma non si lasciano indietro i propri animali: nessun eroismo, nessuna avventatezza, soltanto responsabilità.
Gli ululati, lunghi e distinti, sembravano volermi squarciare il petto.
Erano lì, proprio lì, non in un video, ne in un sogno, erano lì dietro la stalla.
Le gambe erano inchiodate fredde, ma dovevo muovermi in qualche modo.
Pensai che in qualche modo dovevo...spezzarle, e ci misi tutta la forza che avevo per liberarle da quelle ganasce così strette, sentendo prima dolore e poi calore.
Un comando alla volta: prima le gambe, senza far rumore, mi portarono alla torcia,
Poi le braccia, che tese agguantarono la porta spingendola e serrandola sicura.
La cavalla era salva, e questo mi diede calore alla faccia.
Mi muovevo come n una danza a rallentatore, e non fiatavo.  Forse ero in apnea da chissà quanto tempo.
Istanti lunghi, la torcia stretta in mano, volutamente spenta: l'avrei accesa al momento giusto, magari per spaventare quegli animali, magri per vedere meglio la via se la luna si fosse di nuovo ritirata dietro le nuvole.
Dovevo partire correndo ed urlando, lasciandomi dietro quel coro straziante che mi solcava l'anima.
Ma adesso quegli ululati si stavano muovendo
Adesso quegli ululati si stavano avvicinando alla stalla.
Ed io ero ancora lì, proprio di fronte a... quella stalla, mentre sentivo la cavalla scalciare contro le pareti, ed i gatti erano fuggiti via con code gonfie ed una corsa inimmaginabile.
Senza una preghiera, né una bestemmia, partii con tutta la forza che avevo, contro tutta quella salita che mi aspettava.
Una falcata dopo l'altra, goffo e rumoroso, risalii, scivolando senza mai cadere sul fango, con la torcia spenta e serrata nella mano destra, mentre gli schizzi di fango mi riempivano la faccia ed il giaccone.
Gli occhi appannati dall'umidità e dal sudore.
Corsi, corsi verso casa, per allontanarmi da quella situazione, da tanto ignoto, e dalla paura di non saper fare, di sbagliare, di bloccarmi.
Il cane al Podere abbaiava sino a scoppiare, ma a scoppiare era il mio petto, e dovetti fermarmi.
Silenzio.
Il cuore batteva così forte per quello sforzo di fine giornata che non sentivo i miei pensieri.
Silenzio.
Il cane che rallentava l'abbaio.
Vedevo il podere, vedevo le luci accese al suo interno, e sapevo che moglie e prole erano al sicuro.
Ma io ero al sicuro?
Silenzio.
La luna si stava coprendo di nuove nuvole.
Una goccia, due, dieci, cento: pioveva d nuovo, e le foglie secche cantavano come nacchere al vento.
La tregua della pioggia era terminata.
Ripresi il passo, senza correre, ma sostenendo un ritmo più sostenibile rispetto al precedente.
Provai a chiamare mia moglie, ma non usciva ancora voce dalla mia bocca, soltanto respiri affannati e qualche suono gracchiante.
La maniglia della porta, entrai in casa.                                                                                             
Bianco come un cencio, col collo tumido di fatica, e gli occhi spalancati farfugliai qualcosa, uscendo, rientrando, uscendo di nuovo con un bastone, rientrando...e poi mi calmai mentre la cagna si chetava ed il cielo riprendeva a rombare di vento e nuvole.
Nessun cenno giunse più dalla proda dei campi, dietro alla stalla.
La montagna aveva ripreso il suo respiro.
Stremato, sentii che quella lotta contro la paura non me la sarei mai dimenticata.
L'indomani, le tracce nel bosco confermarono quanto avevo immaginato durante quell'esperienza: era un branco di lupi, arrivato a meno di quindici metri dalla stalla.
Non son riuscito a distinguere il numero esatto dei soggetti, ma come minimo erano quattro.
La paura è stata tanta, non me ne vergogno.



martedì 24 novembre 2020

Dal tramonto alla cena

 S'accorciano le giornate.
Mentre la bimba fa merenda, dopo essere ritornata dall'asilo, il sole spoggetta dietro la casa, e le ombre s'allungano quasi come ad abbracciare i campi verso est.
Una fetta di pane con il miele, mangiata davanti al camino, e poi via, fuori, per l'ultima corsa della giornata.
Lei corre, mentre il cane le gira attorno, tra grida ed abbai che echeggiano sino al fiume nelle calanche sotto ai castagni.
Il freddo strizza le gote, e le mani cercano angoli tiepidi nelle tasche.
Le galline da governare, i gatti ruffiani che non ti fanno camminare, e l'ultima carretta di legna per bruciare.
Un fischio lungo, ed il cane dirizza le orecchie mentre gli indico la bimba: lei sotto al ciliegione spoglio gioca a far da mangiare, ma oramai è buio, son le quattro e mezza.
Un altro fischio, lungo, e la cagna abbaia a lei che fa finta di non sentire, salvo poi rientrare quando accenno il mio darle le spalle: eccole assieme, cucciole che crescono, entrambe, nella loro gara dei "musini zozzi", un pò trotterellando, un pò a passo lento.
La carezza per una, mentre l'altra mi vuol salire in collo, reclamandone il diritto per tanta che è la sua stanchezza.
Una volta in casa, è ancora tempo di merenda,.. quella mererenda infinita, dettata da una qualche fame  atavica che questa creatura si porta dietro.  Lei, che più che mangia e meno che ingrassa, tonica, forte, tirata, sempre in movimento sempre a chiacchierare, anche quando la bocca è piena dell'ennesimo boccone di pane bono.
E' questo il momento della giornata in cui le braccia e la schiena mi chiedono riposo, desiderano quel dondolo davanti al fuoco acceso, o meglio ancora un pò di poltrona, giusto per recuperare un poco.
Macchè...
E' questo il momento dei giochi, dei disegni, dei balli, delle storie inventate.
le storie inventate, dove un pò Pollicino, un pò Mignolina, un pò Buchettino si ritrovano con gli stivali delle sette leghe, un pò dell'orco ed un pò del gatto, a salvar un pò Prezzemolina, un pò Raperonzolo chiusa in una qualche torre nel bosco.
E poi arriva il principe di turno, un pò azzurro, un pò felice, un pò ranocchio, che brucia nel forno la strega cattiva, solo dopo averla trafitta con lo spadone, o gettata in qualche burronone...ma tanto alla fine tutti vissero felici e contenti alla corte del babbo re.
E son sempre queste le storie, un pò ricordate, un pò lette, un pò inventate, che fanno spalancar quella bocchina, mentre quegli occhi che bucano son cuciti sulle mie parole dette, sulle mie vocine e vocione, sulle mie pause.
In quel momento mi passano tutti i dolori alle ossa, ed il petto mi si gonfia dei fiori di tutti i prati.
Sono un babbo contento, stanco, ma contento, mentre quell'uragano di figliola s'accosta alla mia gamba, l'abbraccia, e mi chiede un'altra storia, mentre ancora colo segatura dal maglione e le mani sono nere della giornata di lavoro.
Un compromesso, un altro ancora, guadagno 5 minuti per potermi lavare e cambiare, e poi via, per un ballo nel salotto, o una torre da fare con le costruzioni, o un bambolino da ninnare, o una pappa da assaggiare.
Mi "salva" la cena da preparare, con un'assistente speciale, che col suo coltellino liscio e il tagliere vuol preparare la cipolla, salvo prima raccomandarsi di bagnarle quella lama così gli occhietti non lacrimeranno.
Tenace, inesauribile, attenta, segue i miei movimenti, riproducendone rumori come in una danza raccontata a voce: il barattolo dei pomodori che si apre, l'aglio che si schiaccia, l'olio nel tegame, l'acqua che bolle, il pecorino e la grattacacia in tavola, e via di corsa a lavarsi le manine.
Saetta via, sapendo che al suo ritorno troverà la pastasciutta pronta, ed un babbo ed una mamma spappolati di stanchezza, ma colmi d'Amore.
I pensieri son tanti, specie di questi tempi, ma lei azzera sempre tutto, regalandoci attimi infiniti ed indelebili, nei nostri cuori di genitori.
E mentre lei mangia, e vuol partecipare a tutti i discorsi, la cena scivola via, quasi sfumando nell'ennesima giornata lunga passata al Podere, qui...in Montagna.

venerdì 13 novembre 2020

Le Radici e le Ali

"Tu sei una quercia, con radici profonde, tronco forte e grandi rami. Tu sei la mia Casa."
Son le parole d'Amore quelle che lei mi disse in un giorno di festa di tanti anni fa.
Con gli occhi lustri io l'ascoltavo, anche in quel momento stoicamente ancorato alla tradizione della mia famiglia.
Io. sempre appartenuto ad un territorio, mai allontanato, se non per ritornare di lì a poco.  
Io, nei miei quarant'anni fatti di un posto, di una storia, di tante vite in fila dietro di me.
Ma lei nel mio cuore di quercia ha portato le ali, e giorno dopo giorno, tra colori e profumi nuovi, ha portato il nuovo.
Dodici anni mi ci son voluti per capire quelle sue parole, e comprendere quanta Verità ci fosse dietro a queste.
Tanti gli sbagli che ho dovuto fare, fare e rifare; sconfitte ed incompiuti han pesato non poco, ma...
...ma Casa è dov'è lei, dove sono io, dove siamo noi.
Lei mi ha insegnato a camminare avanti, ed a girarmi per vedere i problemi più piccoli.
A lei devo, oltre tutto il difficile, la resurrezione e l'ambizione.
Arriveranno i giorni in cui imparerò ad ascoltare il suono del futuro, lasciando scivolare via quanto non riesco a comprendere: e sarà musica senza acufeni.

Si dice che la memoria degli alberi sia tutta nelle radici...
La mia è nelle foglie che il vento porta altrove.

giovedì 5 novembre 2020

Il tempo corre al Podere

Il tempo corre al Podere.
Le giornate in Montagna stanno accorciando drasticamente, ed alle quattro e mezza del pomeriggio è già tempo di rincasare.
Durante le ore di luce diurna cerco di districarmi tra mille piccoli grandi impegni: come babbo, come marito, come Agricoltore c'è sempre qualcosa da fare.
Nel castagneto le foglie sono quasi tutte cadute, ricoprendo buona parte delle castagne rimaste incolte: il soffiatore che mi sono concesso mi darà un grande aiuto in termini di fatica e di tempo, ma la lotta impari contro i cinghiali continuerà a vedermi sconfitto in ogni quotidiano lavorare.
Il prezzo delle castagne è crollato (come ogni anno dopo il 1° di Novembre), e quelle che riuscirò ad accaparrarmi saranno per il consumo familiare e per portarle al seccatoio per la farina.
Purtroppo la corsa contro il tempo si fa ancora più dura perchè tutte le castagne sono a terra, e per i cinghiali i banchetti notturni sono ancora più semplici da fare: in pratica io di giorno raccolgo quanto loro mi concedono dopo l'attività notturna.
Ma va bene...anche questo deve far parte di un qualche equilibrio che debbo abituarmi a rispettare, e col quale dovrò condividere negli anni a venire: una recinzione sarebbe troppo dispendiosa, e per il momento non è neanche affrontabile in termini di tempo e forza lavoro.
Sino ad oggi comunque la raccolta mi ha dato notevoli soddisfazioni: castagne e marroni sani, senza bacature, di notevole pezzatura, e vendute ad un prezzo onesto che ha accontentato cliente e il sottoscritto.
Per quanto riguarda i lavori del bosco...come sempre dico, questi mi accompagneranno sino a Maggio: avvierò in settimana il taglio dei polloni di castagno, ottimi come diametro per fare pali e colonne, e da questa operazione ricaverò comunque anche dell'ottima legna da ardere.
Il taglio del ceduo lo avvierò a fine mese: carpino, quercia, faggio ed acero saranno essenze fondamentali per il riscaldamento del prossimo inverno.
Dovrò anche continuare a portare al Podere la legna tagliata lo scorso anno, segarla, spaccarla, accatastarla... e le giornate scivoleranno veloci tra queste operazioni.
Nell'orto poco è rimasto: qualche verza e cavolfiore, le bietole, qualche radicchio e poco più.
Mi sto apprestando a concimare con il letame di cavallo e con il compost, e ricoprirò buona parte della terra con foglie di castagno: queste assicureranno una veloce evoluzione del composto organico, regimando anche il crescere delle erbe spontanee.  E poi a marzo ne riparleremo.
Posso dire che l'annata agraria si è oramai conclusa: oltre a quanto descritto sino ad adesso, l'erbaio di triticale, avena e trifoglio cresce lento; le api sono invernate, in attesa di un trattamento antivarroa (ancora devo valutare quale...) che dovrò fare in questo mese; il cavallo ha fieno e pascoli in quantità.
Molti i lavori da fare nei mesi a seguire: recinzioni, pollaio, ricovero per il trattore, una piccola stalla.
Aumenta notevolmente il tempo che posso dedicare alle riparazioni delle attrezzature agricole, alla costruzione di arnie, e sopratutto... a trovare un posto alle tante cose ancora scatolate ed in attesa dall'inizio della primavera.
Per quanto riguarda gli animali: è ovvio che per adesso non posso accoglierne altri, perlomeno sino a quando non  avrò gli spazi giusti a loro dedicati, e magari la prossima primavera potrò accoglierne di nuovi.
Anche in questo caso, più che mai in Montagna è importante rispettare l'equilibrio fondamentale per la sostenibilità: spazi limitati, foraggio assai limitato per un numero adeguato di animali.  Averne di più vorrebbe dire ingolfare tutto il lavoro, sacrificare il sottoscritto e peggio ancora rischiare di sacrificare gli animali stessi.
Un passo alla volta: tante le idee, tanti i desideri, ma le possibilità sono quelle che sono.
Un profilo basso, lo dico e lo ripeto sempre, piccoli obbiettivi a medio e corto termine, grandi sogni a lungo termine.
Come di consueto, le nuvole condiscono le giornate autunnali, regalandoci comunque momenti indimenticabili con albe e tramonti che letteralmente tolgono il fiato per la loro bellezza.
Quassù le notti sprofondano in un silenzio ancora più...silenzioso, rotto di rado dal lontano latrare di un cane, o da un barbagianni che canta sopra il tetto della casa.
La rugiada del mattino ben presto diverrà brinata, ed il fuoco del mattino è oramai necessario per un risveglio senza sfidare il raffreddore.
Il raffreddore... Mentre scrivo ho la gola che pizzica, e la bimba mi ha passato starnuti e naso tappato: quello che sino a qualche mese fa era "normalità", oggi vien visto come un problema, se non un problema serio.
Lavoro da solo, vivo con la mia famiglia isolato da tutti, non vedo nessuno, salvo qualche cacciatore o cercatore di funghi che mi fan la gentilezza di passare davanti casa a salutare, prima di dirigersi nel castagneto.
In paese uso sempre la mascherina, tenuta correttamente (e non a bischero, col naso di fuori): mi si appannano gli occhiali da sette mesi, ma non mi lamento, ci mancherebbe farlo.
La bimba va e viene dall'asilo, con una frequenza a targhe alterne, causa tosse, raffreddore, e tutti i malanni che una bimba piccina possa prendere in montagna.
Ma stiamo attenti, abbiamo rispetto e fiducia, e seppur con grandi sacrifici, ci adattiamo, ancora, ed ancora lo faremo se e quanto necessario.
Un novembre partito tra pioggia, umidità, lavoro fatto di corsa, e paura di un semplice raffreddore che m'impedirà di tornare in paese per qualche giorno.
Alla sera, le tisane di mia moglie, il miele e la propoli, i piedi di fronte al camino, una minestra calda.
Il tempo corre al Podere, ma nel quotidiano ritrovo attimi per ascoltare il mio respiro, e dare aria ai miei pensieri; attimi per coccolarmi e prendermi cura di me stesso; lunghi attimi per la mia famiglia.


martedì 22 settembre 2020

Buon Autunno

 E l'Autunno è entrato così,
con la sua prepotenza desiderata, lui si allarga da subito, mi bagna scarpe e cappello, e riporta ai sensi quanto per troppo tempo desideravo.
L'odore della corteccia dei castagni, non più polverosi, ma umidi e rassicuranti.
L'erba carica di guazza, che se ci corri tra mezzo, quasi canta liberandosi di quel peso.
La legna da segare, e la legna segata, con quel ricordo di benzina ed olio per catena, che subito svanisce a favore del dolce e buono del taglio appena fatto.
La pasta per il pane, messa a lievitare di fronte alla stufa accesa.
La cena col buio fuori, dove casa torna ad essere davvero...Casa.
I prati che tornano a rinverdire, tra fioriture ed api serene.
Le mani che cercano il fungo tra le felci.
L'odore del fungo, appena colto, e messo nel paniere.
I ricci che gonfiano, e che piegano i rami dei castagni.
Il vento...fresco.
Il sole che buca le nuvole dopo un temporale.
L'odore del maglione tolto dal baule, e messo a prendere aria.
La pennichella del pomeriggio che si affievolisce.
La sedia a dondolo di fronte al camino acceso.
Buon Autunno...


lunedì 24 agosto 2020

La mela col bachino

Storia di podere: la mela col bachino

Ci sono storie Semplici, che sono direttamente narrate dalla Vita al Podere.
Storie che narrano di un quotidiano visibile all'Agricoltore, e che riescono sempre a stupirlo.
Come, oramai nel lontano Agosto 2017, narrai  la nana muta ostinata  oggi ne propongo un'altra: 
La mela col bachino.
Oggi che ho una bambina a cui la racconto prima della nanna, sento comunque il desiderio di condividerla con voi, pensando che possa farvi comodo in una nanna da accompagnare con qualche bimbo della vostra Vita.


"Non tutte le Estati al Podere erano uguali.
Ce ne erano di lunghe e calde, di piovose ed uggiose, di brevi e fresche, e la Natura si alternava nel tempo riproponendosi con tanta varietà anche in questa stagione.
L'Agricoltore faticava sempre molto nel periodo estivo, e seppur fosse da lui tanto amato ai tempi in cui era bimbo, con il lavoro di Campagna e crescendo la percezione di questa stagione era cambiata.
La Frescura della sera era il momento da lui preferito, ma la maggior parte dei lavori dovevano svolgersi proprio sotto al sole cocente, che più o meno era la costante di ogni giorno d'Estate.
E se l'orto gradiva il gran caldo, regalando sempre pomodori dolcissimi e zucchini a non finire, i pascoli ne soffrivano invece, facendo patire gli animali che ne usufruivano per il loro desinare.
Ecco che, in quelle estati considerate "trememende" per il caldo incessante e la scarsità di pioggia, l'Agricoltore si vedeva costretto a spostare il gregge delle capre nelle colline più alte, distanti da podere, e difficili da essere raggiunte.
Infatti, sparse qua e là per le proprietà limitrofe, c'erano piccoli campi abbandonati, spesso fagocitati da pruni e bosco, che offrivano scampoli di verde buono per le capre.
Dei tanti che conosceva ce n'era uno in cui non saliva da molto tempo.
Le capre, radunate di prima mattina, venivano abbeverate e governate con fieno buono, e prima che il sole fosse alto l'Agricoltore s'avviava con il cane fedele, seguito dagli animali, che ordinati ed in fila, lo salivanoo lungo la strada, che poi si faceva sentiero, e da ultimo era un semplice attraversamento del castagneto alto.
A testa alta, le capre rubavano il fogliame lungo strada, senza però attardarsi nel seguire l'uomo, mentre il cane dava un abbaio a sollecitare la camminata.
Nei castagni il fresco rincuorava l'Agricoltore, e poi l'ultimo stradello s'apriva in un pascolo verde, verdissimo, incastonato tra i castagni, che svettava sulla cima della collina alta, come una chierica.
Alla vista delle erbe fresche e profumate, le capre si spagliavano disordinate, salvo poi radunarsi sotto l'abbaio del cane.
L'Agricoltore, dopo la faticata, si sdraiava sotto all'unico albero posto alla sommità della collina: un vecchio melo, che proprio in quei giorni offriva sempre delle buone mele mature e succose.
Si guardava intorno l'uomo, e sotto ai suoi occhi quei capi chini intenti a mangiare erba profumata ed alta, il cane che si accoccolava tra loro e l'uomo, il prato verde tutto attorno, ed un unico grande sasso, alto come un'uomo, su cui solitamente si appoggiavano gli uccelli in cerca di insetti tra le erbe.
C'era silenzio lassù, ed un fresco che al Podere l'uomo sognava ogni notte.
Da qualche anno non saliva così in alto per il pascolo, ma ogni volta che vi ritornava era sempre un piacere per lui e per i suoi amati animali.
Allungando una mano per rubare una mela ne prese una tra le più grandi: ancora verde, s'avviava a brunire, ed al tatto iniziava a cedere di un poco: era matura.
Il gesto di sempre, quel sdrusciarla sul bordo della manica della camicia, prima del primo morso, e...
...e la mela era bacata, se ne accorse un attimo prima di addentarla.
"Peccato" pensò l'Agricoltore, "una mela così bella e bacata...mica stolto il bachino."
La guardò un'ultima volta, mentre gli riempiva quasi l'intera mano, e poi la lanciò via, proprio verso quel sasso alto che pareva lo stesse ascoltando.
Il tonfo sordo del frutto che sbatteva a terra, un merlo che da dietro il sasso spiccava il volo, e poi ancora il silenzio, rotto dai campani delle capre che continuavano a mangiare.
Con la seconda mela l'Agricoltore fu più fortunato, e questa volta nessun baco gli privò il piacere di azzannarla.
Il tempo di una pennichella, le capre che ruminavano, il vento che si alzava, ed era l'ora del rientro.
Quel campo, tanto prezioso, era però assai piccolo, e non poteva sfamare il suo gregge se non per una sola giornata.
Rimesso il cappello di paglia sulla testa mantenuta fresca dall'ombra del melo, riprese in mano il suo bastone, camminò vicino al cane che si destava, e passò tra le capre che sembrarono ignorarlo, salvo poi prepararsi a seguirlo con l'arrivo del cane.
Un fischio, lanciato verso il podere, tutti gli animali in fila a seguirlo, e via verso casa, lungo i castagni, lo stradello, e la strada sterrata.
Quasi riusciva a ricordarsi ogni sua singola salita a quel piccolo campo, scovato quasi per caso durante una passeggiata per cercare i funghi, molti anni prima.
Chissà quando sarebbe di nuovo salito sin lassù?
E quella giornata si concluse così, e si concluse anche quella estate, e come sempre successe, altre ne passarono.
A quel punto l'agricoltore non aveva di certo perso le proprie abitudini, ed a fronte di una delle estati tremende che tanto non gli piacevano, aveva deciso di salire ancora una volta proprio a quel piccolo campo.
Le estati, che si erano alternate, gli avevano portato qualche acciacco, ma i bimbi che giocavano nell'aia gli facevano passare ogni male.
Quindi decise di arrampicarsi sin lassù, in quel campo tra i più alti, prendendosi tutto il tempo del piacere di salire.
Il cane nero oramai era vecchio, ma a mordergli la coda adesso c'era un cucciolo, che tanta energia aveva, e che avrebbe affrontato per la prima volta quella salita.
Radunate le capre, s'aggiunse il cavallo da tiro, sul quale mise due ceste, una per ogni bambino.
Non era di certo l'alba, ne l'ora migliore per salire, ma approfittando di un pò di nuvolaglia, s'avventurò su per la strada, col solito passo a gamba lunga, dondolante quanto quelle due ceste piene di bimbi che ridevano.
L'agricoltore, il cavallo retto per una corda fissata alla capezza, i bimbi contenti che facevano chiasso, ed il branco delle tante capre, tra campani sonanti, e corna strusciate sulle ramaglie basse.
Salivano, in una processione condita dagli abbai del giovane cane che, aitante e spavaldo, sentiva tutta la responsabilità di quel suo primo salire, mentre il vecchio cane nero dosava energia e voce, laddove servisse.
Lo stradello che si stringeva, il castagneto, mentre qualche tafano sbatacchiava sulla pelle, e costringeva l'agricoltore ad affrettare il passo.
Nei rami si notavano i primi ricci, ed a terra le felci scrocchiavano sotto il passo pesante del cavallo.
La frescura presto s'aprì a quel pascolo, così in alto, così sempre brillante nonostante quell'ennesima estate torrida.
Le capre abbassarono il capo, per poi subito rialzarlo alla volta delle foglie di rovo e delle prime more che stavano maturando.
L'agricoltore legò il cavallo al ramo basso di un melo, per permettergli di poter brucare e godere di quel ben di Dio.
I bimbi, una volta a terra, si misero all'ombra a giocare con dei legnetti.
C'era silenzio, mentre il cane giovane strusciava la lingua a terra, tanto s'era stancato, ed il vecchio dormiva con un occhio aperto a vegliare le sue capre.
L'uomo si prese un momento per se, e si sedette sotto al melo, allungando la mano per cogliere una mela, e guardare poi quel paesaggio avvolto da quell'aria fine e piacevole.
Le capre, i cani, il sassone, l'alberino, i bimbi che giocavano...l'alberino?
E che ci faceva quell'albero piccolo proprio messo tra lui e la grande pietra?
I rami aperti, il tronco diritto, bello e schietto: l'uomo si alzo, mela alla mano, per guardarlo da vicino.
Ma chi poteva mai averci piantato un melo lassù?
Proprio non capiva, e gli ci volle qualche minuto prima di ricordare quel giorno, di tanti anni prima: quel gesto, quella mela buttata via contro a quel sasso, quella mela bacata.
L'agricoltore conosceva le regole dell'agricoltura, e sapeva che tutto ha un senso...anche una mela bacata.
Ecco, ci pensò e ci ripensò, ed alla fine ne fu certo: stesso punto, nessun innesto, stessa varietà...quel melino era nato proprio da quella mela scartata.
Ci si commosse l'agricoltore, ci si commosse per davvero, e chiamò subito i bimbi a raccolta, raccontando loro quella storia.
Promise loro che, quando lui sarebbe stato troppo stanco per salire sin lassù, loro avrebbero trovato ristoro anche sotto a quel bel melino, che negli anni avrebbe fatto tante e tante mele buone.
Spiegò loro che, una delle regole più importanti della natura è che tutto serve, tutto + utile, alla natura stessa, ed alla sua conservazione.
Talvolta la mano dell'uomo può e deve aiutare, e proprio questa è la responsabilità più grande degli agricoltori.
Anche quando una cosa sembra non essere utile, poi compie il suo ciclo.
E così i bimbi ascoltarono, e vollero che l'agricoltore raccontasse loro quella storia ancora, scendendo verso il podere, ed ancora la sera prima di addormentarli, ed ancora nei giorni a venire."

sabato 1 agosto 2020

Il rientro al podere prima di pranzo.

C'è silenzio.
C'è davvero silenzio.
Lo rompe solo una folata di vento, e le foglie di castagne cantano per poi chetarsi subito.
La luce filtra più in basso, e per scorgere il sole c'è da buttare la testa all'indietro: i castagni si scagliano altissimi in questo punto.
Le felci inondano il terreno, e ci cammino tra mezzo, come in una giungla di montagna.
Rotola un sasso a valle, devo stare attento qui: non vedo dove metto i piedi, e se sbaglio rotolo giù anche io.
Vedo il trattore, laggiù, lasciato a riposare sino al pomeriggio.
E' fresco, di un fresco vero, asciutto, sano, ma dove il sole buca il fogliame sento la scossa del calore sulla pelle.
Un bastone mi sorregge e si lancia in avanti ad aprirmi il cammino lungo il sentiero inventato per l'occasione.
Lamponi, tanti: ne colgo un pochi per la bimba, e me li metto in una tasca.
Funghi secchi mi raccontano di quello che avrebbe potuto essere: la fungata aveva mosso, ma senza la pioggia s'è fermata subito.
Il fiume a valle s'è placato di molto, ed anche questo mi racconta della mancanza di pioggia.
C'è un buon profumo di terra, di erba, di castagno.
Vola un merlo radente al felciame, e sotto ad un melo selvatico mi fermo ad assaggiare.
Sono agre, ancora non si tengono in bocca, ma non son bacate, e ce ne saranno almeno un quintale.
Eccone un'altro, poco più avanti, ed un altro ancora, ed un altro...e quest'ultimo le ha più mature.
Scrocchia nella bocca, e cola: come mi piacciono le mele, e quante ce ne sono in questo punto di castagneto.
Sento latrare il cane al podere, affretto il passo per rientrare.
Le api ronzano sopra la testa: è la volta degli aceri per la melata, e paiono impazzite nell'abbondanza di alcune piante.
Penso alla grandine di inizio giugno, penso alla pioggia continua, penso all'istrice che devasta le patate, alle api che si son rimangiate il miele, ai mille problemi, ma...mi sento leggero, il cuore sorride.
Mi accosto al campo lavorato, sento l'odore della terra smossa, sento le ghiandaie che fan festa sopra al susino.
Non ho fiatone, ma ora inizio a passare tra i rami più radi, e qui fa più caldo.
La camminata qui si fa più pesante, ecco che sono a margine del campo sotto casa.
Fischio, il cane arriva subito: nelle sue feste trovo il piacere d'esser ritornato.
La bimba che gioca nel prato, la mamma che la chiama, il vento che si alza e mi asciuga il sudore sulle braccia.
Rientro in casa, c'è fresco.



domenica 21 giugno 2020

Eufemismi e Numerologia di questo Solstizio d'Estate vagamente Cinico

Ieri, sabato 20 Giugno, pochi minuti prima della mezzanotte, c'è stato il SOLSTIZIO D'ESTATE.
Quest'anno anticipato di un giorno (infatti generalmente è il 21 Giugno) per effetto del "recupero" che l'anno bisesto ci fa fare sulla perdita annuale di circa 6 ore.
Infatti, secondo mille discorsi noiosi che non mi competono, ogni anno, per effetto della rotazione terrestre, l'anno solare "perde" alcune ore (circa sei per appunto), ed ogni quattro anni le recuperiamo con la formula dell'Anno Bisesto, o Anno Bisestile, ed il suo 29 Febbraio.
Il calcolo è assai semplice: 6 (ore perse) x 4 (anni in cui si ripresenta il Bisesto)= 24 (ore che compiono un giorno...il 29 febbraio, appunto).
Ma bada te in che ginepraio mi sto cacciando...
...insomma, secondo il peso specifico della farina, del dire e del fare, dei malditesta di qualcuno, e di non so quanta astronomia, il Solstizio quest'anno è stato anticipato a ieri sera.
C'era un gran silenzio nel pratone davanti casa, e la mia tenuta "troppo estiva" per l'altitudine, mi ha fatto ritornare in cucina per recuperare un giacchetto pesante, e per poter ascoltare l'indomabile cuculo che alle 21:35 ancora cantava (aveva iniziato alle 4:50 del mattino).
Il giorno più lungo dell'anno, fatto di erba falciata, forcone, trattore, api, orto, castagneto...ed una bella passeggiata con la bimba, a cercare funghi.
Alle 21:35, seduto su di un ceppo utilizzato per spaccare la legna della caldaia, mi grattavo la testa pensando che dal giorno dopo (oggi che vi scrivo) le giornate sarebbero sembrate più "in discesa".
L'estate porta cose belle, certo, ma come ho detto milioni di volte (qui e non solo), a noi agricoltori porta tanta fatica, e se il pomeriggio non si può recuperare con un sonnellino, spesso tali giornate sono muri da scalare.
Da oggi accorceranno, e quindi da oggi diminuiranno le occasioni per poter (e dover) rimanere fuori a lavorare.
Quando faccio questo discorso ad alcuni profani dell'agricoltura questi mi fanno spesso notare che appare come se io non amassi fare l'agricoltore: oh vaglielo a spiegare che dormo poco per mia Natura, e che il pomeriggio spessissimo non recupero affatto tale sonno che mi manca...farlo tutti i giorni stancherebbe anche il più degli stoici, instancabili, stacanovisti della zappa e della vanga.
Mi piace questo lavoro, e ancor di più mi piace questa Vita...ma mi piace anche riposare, ogni tanto almeno.
Ri-detto questo, svelo il motivo di questo mio tono apparentemente sarcastico (ma profondamente cinico): oggi è arrivata l'estate, e con lei una meravigliosa grandinata di un'ora, che ha funestato la fioritura del castagno, tartassato tutte le orticole, e disturbato il lavoro delle api.
Ma questo sarebbe poco, se si trattasse di un episodio, ma invece...
...ma invece questa è la sesta grandinata in 19 giorni.
Facciamo il conto?
Una grandinata ogni 3 giorni...a inizio giugno...lo sapete cosa vuol dire?
Vuol dire, cari lettori pazienti, che perfino il Mahatma Gandhi starebbe prendendo a craniate il muro portante di casa!
SEI, e dico SEI grandinate in 19 giorni, dei quali per 13 è comunque piovuto, con minime al disotto della media del periodo, con picchi di 6°C, ed un'escursione termica (nelle pochissime giornate di tregua) anche di 17°C.
Tutto questo appare sempre più noioso da leggere, lo so, ma oggi proprio non ce la faccio a parlarvi della poesia del silenzio, visto che è costantemente interrotto dal roboante mio giramento di palle.
Ammetto di essere un tantino scocciato...
In compenso, 5 nuclei di api mi sono morti per scarsità di scorte, ed impossibilità a bottinare.
Io sto nutrendo artificialmente con del candito fatto in casa a base di Miele Bio di Castagno, Zucchero di Canna Bio, Fruttosio e Zucchero Semolato (una specie di caramellona che mi tiene in vita buona parte dei Nuclei).
In compenso le Famiglie a Melario (quindi le arnie di più di un anno di vita che stavano producendo il miele che poi avrei smielato) si stanno allegramente disopercolando (togliendo la cera di chiusura delle celle) i telai a miele, e si stanno rimangiano quanto avrei dovuto prendere per me.
E devo anche essere contento perchè almeno loro le scorte ce le avevano, altrimenti avrei dovuto nutrire anche loro.
Proprio come avviene nei più classici e rigidi degli inverni...
...peccato che siamo al primo giorno d'Estate.
Che faccio continuo?
Ma si, dai, continuo.
Quando io vi dico, e vi ridico, e vi riridico che tutti noi dobbiamo fare qualcosa per impegnare noi stessi ed il prossimo ad essere Maggiormente Attenti e Sensibili nei confronti dell'Ambiente, è vero che lo dico ANCHE PER UN TORNACONTO PERSONALE, come è ovvio, visto che io ci campo con l'Ambiente, ma tutti voi, anche se fate il più distante dei lavori dall'ambito Agricolo, tutti voi, come il sottoscritto, dovrete pur mangiare.
Anche se appare strano, quelle cose colorate che trovate nelle bustone, nei barattoli, nelle cassettine sotto al cellofan...quelle cose che scaldate sulle vostre padelle, nelle vostre cucine, in casa vostra, ecco...quelle cose si chiamano Alimenti.
E che vengano da una montagnola anonima, o che arrivino dall'altra parte del Mondo, comunque sempre da una qualche Agricoltura saranno pur derivate, giusto?
L'Agricoltura Intensiva, Industriale, quella sfamerà il mondo, per carità, guai a pensare il contrario (già che rischio di essere bruciato al rogo per le mie idee sovversive, eretiche ed Anacronistiche di come campare di Agricoltura), ma per resistere ai cambiamenti dell'Ambiente, anche quella super Macchina dell'Agricoltura Intensiva ed Industriale dovrà aumentare i già tanti interventi chimici e meccanici, per assicurarci la pappa a tutti.
Sapete cosa vuol dire, vero?
Vuol dire che è proprio ANCHE da quale lampadina noi teniamo accesa in casa, o da quali indumenti scegliamo di indossare che dipenderà la pappa del nostro domani, e del dopodomanid dei nostri figlioli.
Ecco che SEI maledettissime grandinate di Giugno apparentemente non c'entrano niente, apparte il vaneggiare di un quarantenne palesemente incazzato per i proprio problemi, ma se ci pensate, e ci ripensate, e ci riripensate, alla fin fine tutto è collegato.
Io perderò una parte del raccolto, un'altra parte sarà attaccato da malattie, ed una minima parte sarà sano e dovrò venderlo a peso d'oro.
Ma la stragrandissima maggioranza delle super Aziende Agricole che porteranno alimenti nelle vostre tavole, quelle tratteranno con coadiuvnti chimici grossi come bisonti, troveranno escamotage per riuscire a propinarvi il prodotto che hanno a disposizione comunque a prezzi più alti, e naturalmente per fare tutto questo daranno l'ennesimo contributo ad inquinare l'Ambiente che anche e sopratutto loro avrebbero interesse ad avere sano e pulito.
Questo è un cane che si morde la coda e che di autobastona pure.
E credo sia tutto per oggi.
Anzi no.
Per quanti abbiano voglia di scrivermi che questa fissa del cambiamento climatico è una Moda, e che le stagioni da sempre sono state instabili, ecco prego lor signori di andarsi a rileggere le registrazioni dei dati meteorologici dell'ultimo secolo, indipendentemente dalla parte di Italia o di mondo che abitino, e di vedere quanto, negli ultimi 13  anni, si siano accumulate le Eccezionalità Meteorologiche, con conseguenti riflessioni che vi lascio liberi di fare.
Confido nella vostra intelligenza, nel vostro spirito critico, e nella vostra pazienza per comprendere quanto l'Ennesima Eccezionalità Meteorologica, sommata a tutte quelle altre di cui porto i segni sulla pelle, nell'anima, ed altrove,  mi faccia tremendamente, spudoratamente, razionalmente incazzare.
Ma comunque vada, l'Agricoltore Anacronistico domani mattina si alzerà presto, ed avrà una meravigliosa giornata lassù sui monti, da qualche parte, a vivere bene e sano...lo so, lo so, e vi ringrazio quando mi immaginate in questa maniera.
Oggi almeno concedetemi, dopo tanti mesi che non lo facevo, di apparirvi come l'Incredibile Hulk.
Buona Estate.
A.A.

domenica 31 maggio 2020

Bilancio di un Maggio infinito e troppo corto

Far bilanci è un pò una "regola" in questo Blog.
Ed ecco che far un bilancio del mese di Maggio nel suo ultimo giorno, mi pare d'obbligo.
Maggio è passato così, tra tramontana tesa e caldo euforico, tra mascherina che appanna gli occhiali e odor di cera sulle mani.
Maggio è passato, consegnandomi quasi due settimane di maltempo, spalmate a gruppetti di giorni, come costante settimanale dell'hully gully che han fatto le api: facciamo il miele...rimangiamo il mieie...rifacciamo il miele...rimangiamo il miele...ririfacciamo il miele...ririmangiamo il miele.
Un passo avanti ed uno indietro, con melari posizionati, ed in un paio di casi raddoppiati, ed api che come Penelope con la sua tela, stivavano miele per poi doverselo rimangiare visto il brutto tempo e l'impossibilità di bottinare nettare.
Api che, alla prima avvisaglia di quiete dal vento forte e dalla pioggia, tentavano di beffarmi sciamando: quando andava bene a 10 metri di fronte alla propria arnia, su un biancospino a mezzo metri di altezza dal terreno; quando andava meno bene, mi volavano sulla testa mentre zappavo nell'orto, per poi andarsi ad agglomerare in un acero alto quanto un palazzo di 3 piani.
Api che, nella migliore delle ipotesi, puntavano a crescere e produrre miele, mentre in tutte le altre occasioni non mancavano di sottolinearmi quanto questa stagione le stesse confondendo ed incasinando l'alveare.
ostinato, sono andato a far loro visita anche durante il maltempo, e di conseguenza le ho irritate ancor di più del vento che scuoteva le loro case, e ci ho rimediato selve di punture.
Api che ronzavano letteralmente intorno la casa, e che sin dall'alba erano sottofondo di ogni rumore casalingo.
Ma non solo di Api mi son dovuto occupare.
Legna da tagliare, ancora, forse l'ultima della stagione.
Terreni da recuperare, sassi da spostare, sterpaglie da regimare, e quel caldo che come mattoni sulle tempie mi faceva stramaledire la mia abitudine mattutina di indossare maglietta di lana sotto ad ogni camicia o t-shirt del giorno.
Bosco, castagni, e ciliegi: sempre sotto ad una pianta a filosofeggiare, sempre sotto ad una pianta a rompermi le terga.
Ed ancora l'orto: protagonista indiscusso delle passati stagioni estive della mia vita, quest'anno quasi completamente delegato alla moglie, la quale con abnegazione e sprezzante senso del dovere ha sposato la causa (persa?) di fare un'orto in montagna, con un'escursione termica da far rabbrividire anche il più audace agricoltore pioneristico, con uno "stellone" che asciuga tutto e vento forte che blocca ogni crescita.
Proprio oggi la considerazione: radicchi seminati con luna calante di marzo, spuntano adesso....e non aggiungo altro sull'argomento, evitando di parlare dei fagioli che son nati con rapporto di 1:20.
Sperimentare, senza sgomentarsi, mentre le patate crescono, quelle si che crescono belle e schiette.
Maggio che scivola via, senza mai pause troppo lunghe, con poche ore di sonno, calli duri nelle mani.
Le scese a valle si fanno più frequenti, ed il ripopolarsi di gente mascherata dona al paese un senso di dinamismo che tanto mi era mancato: quel caffè preso al bar, dopo quasi tre mesi, è stato il più buono di tutta la mia vita.
Maggio, che ormai è finito, infinito come sempre, colorato e profumato, impegnato e troppo corto.

mercoledì 22 aprile 2020

Parole di quarantena

Scrivere in questo periodo è complicato.
Scrivere di questo periodo, lo è ancor di più.
Accendo la radio, ed attraverso quell'apparecchio mi arrivano le notizie.
Nel tardo pomeriggio mi connetto in internet, e leggo un pò di notizie online.
Niente televisione, niente social media, niente tam tam di news Vs. fake news.
Scendo in paese una, due volte a settimana, poche parole scambiate a distanza, tra mascherine e occhiali appannati.
Guanti monouso indossati al cancello di casa, e tolti al medesimo, al rientro dal giro per approvvigionamento alimentare, lavanderia a gettoni, negozio di articoli agricoli, a volte la posta.
Al mio ritorno, prima scarico la roba in cantina, poi mi cambio i vestiti (sempre in cantina), e poi mi lavo a dovere.
Relazionare chi e cosa ho visto, quello non è mai piacevole: c'è sempre quel senso di protezione che mi frena dal raccontare "proprio tutto" di quello che realmente sento e vedo, e magari mi soffermo su qualche particolare che possa strappare un sorriso o piuttosto aprire un confronto.
"Ma il lievito di birra non lo hai trovato neanche questa volta?"  Mi chiede mia madre, che nonostante in casa sia presente una continua provvigione di lievito madre, ambirebbe anche a questo articolo oramai introvabile.
"L'alcol non c'era nemmeno questa volta?"
"C'era tanta gente in fila all'ufficio postale?"
"Chi hai visto di visi conosciuti?"
Visi conosciuti...
Non ho fatto neanche in tempo a conoscerle le persone, figuriamoci se riconosco il loro viso sotto queste mascherine. Appena trasferiti, e già isolati.
"Ho visto il muratore, davanti alla farmacia. Vi manda i saluti, chiedeva della bimba"
Ecco che si ferma la casa, e sorridenti mi fissano occhi avidi di sapere di più.
"Mentre salivo a casa ho anche visto due daini in mezzo alla strada, erano femmine, e..."
Ma vengo interrotto per avere più notizie sul muratore "E che t'ha detto poi?"
Son come bimbi al luna park: io rientro con lo stomaco girato, e la preoccupazione d'essermi tirato dietro chissà quale diavoleria invisibile che possa far danno nei polmoni e negli animi dei miei cari, e loro...mi chiedono del muratore, o della cassiera del supermercato, o dell'omone che vende le piantine da orto.
Mi fanno tenerezza, e questi momenti sono la sintesi di questa quarantena: loro in casa, oramai da...non so, ho perso il conto, ma sono quasi sette settimane, ed io che patisco ogni immersione in questa nuova società di distanziati, tra odore di alcole e glicerina, mani che puzzano di piede lesso per quei guantacci da due soldi che son riuscito a rimediare, e quelle mascherine tenute come oro.
Loro si danno da fare, tanto in casa che con la bimba, e cercano di pensare al quotidiano, tra manicaretti ai fornelli e camino, stufa e caldaia da accendere e alimentare.
Forse viviamo in una nuvola, e siamo tra i più fortunati noi, che se s'apre l'uscio abbiamo prati, alberi, vento e silenzio, senza vicini molesti e maldestri, senza ficcanaso spioni pronti a condannarci per chissà cosa, senza opinionisti del tutto, e obblighi da rispettare.
S'esce, e c'è solo Natura, per almeno due kilometri in ogni direzione, senza strade trafficate, visite inopportune, rischio alcuno.
"T'invidio sai..." mi dice l'amico che deve vivere tutto questo distante dagli affetti familiari, e nel paese dove vige "la caccia al mostro di turno".
"Quanto vorrei avere la tua libertà" mi dice la quasi sorella che è costretta nel ristretto, tra finestre e sguardi.
"Ci han sempre preso in giro e visti come sfigati per il nostro vivere in campagna, ed oggi forse sian quelli che viviamo meglio" mi ha scritto un amica prossima alla famigerata zona rossa del sul Lombardia.
"Penso a quei bimbi saldati in quei loculi di città, e io posso far giocare il mio tutto il giorno nell'erba davanti casa" le fa eco un amico agricoltore della toscana.
...pensieri diversi, ma certamente il vivere in campagna è in questo momento una risorsa immensa per chi può usufruirne.
Ancor di più, come un elefante in vetreria, mi sento goffo ed impacciato nelle nuove (in)convenzioni sociali, dove non si da più la mano, dove si parla dell'immediato, dove la rabbia pare accompagnare le persone come un cane al guinzaglio, e dove tutti avremmo un milione di buoni motivi personali per infrangere questi limiti imposti,
Sospiro, ma non troppo...perchè se mi scappa un colpo di tosse il giorno seguente mi daranno già per spacciato.
Cerco di avere pazienza, parlo poco, meno di poco, anzi...non parlo per niente.
Penso solo a sbrigarmi, a fare le cose a dovere, a mantenere la distanza, ed ancora...a sbrigarmi.
Ma non devo sudare, sennò qualcuno mi vorrà misurare la temperatura, io che ce l'ho sempre alta come vado a spiegarglielo che son di sangue caldo e che mal sopporto i maglioni caldi al supermercato?
Ci vuole pazienza, tanta, troppa, per capire l'impiegato delle poste che è scocciato e che si comporta in modo scocciato e maleducato.
Ci vuol pazienza se in fila c'è sempre chi ti passa aventi, facendo finta di non comprendere che c'è una fila per tutto.
Ci vuole pazienza se ti si affianca una persona che ha una mascherina improbabile ed improvvisata, e vuole solo fare due parole, usando il più assurdo dei pretesti.
Ma queste son sciocchezze.
Mentre io scrivo queste bischerate, dal divano comodo della casa nella montagna, c'è chi patisce, chi lotta, chi crolla, e chi non si rialza.
Vorrei poter parlare di rispetto, e vorrei farlo usando parole giuste, rispettose appunto: parole rispettose, sul rispetto.
Non credo di esserne capace, almeno non ora.
Io un balcone dal quale affacciarmi e cantare, non ce l'ho.
Io le catene di sant'antonio sull'Andrà tutto bene, proprio non le seguo, e sinceramente mal le sopporto, ed assolutamente non le condivido.
Io l'aperitivo in videoconferenza, non riesco a farlo.
Proverò a continuare quello che ho fatto sino ad adesso: profilo basso, attenzione per le regole, senso civico al massimo, scendere al paese lo stretto indispensabile, e sopratutto provare a dare alla mia famiglia un poca di protezione e sicurezza.
Non sarà molto, ma sento che in qualche modo anche io sto dando così il mio piccolo, minuscolo, contributo, e sopratutto lo faccio seguendo il mio modo di essere.
Le preoccupazioni ce le ho, tante, ma non lascio che siano troppe: se son tante, le gestisco...se son troppe, vincono loro, e non va bene.
Oggi più che mai ci vuole Razionalità ed Intelligenza, lo dico sempre, sempre, sempre: Razionalità ed Intelligenza, lasciando che le paure abbiano un nome, un inizio, ed anche...una fine.
Tutti, seppur in modo diverso (spesso drammaticamente diverso) stiamo pagando il proprio piccolo o enorme prezzo.
Tutti ne stiamo uscendo vittime.
Tutti dobbiamo tentare, almeno tentare, di uscirne anche vincitori.
Non andrà tutto bene, manco per il caxxo: non credo a questa cosa se penso a quelle migliaia di famiglie che vivono lutti su lutti, se penso a tutte quelle persone che stanno perdendo lavoro e magari anche le proprie case, se penso a chi sta peggio di me. Non andrà tutto bene, ma...dovrà pur cambiare qualcosa, e questo cambiamento, io voglio sperare, potrà anche portare qualcosa di buono.
Che sia nell'Ambiente, che sia nelle nostre abitudini, che sia nei nostri cuori, che sia nelle nostre Coscienze,  forse tutti dobbiamo lasciar spazio anche a qualche seme buono che questa immensa valanga di merda che ci investe da settimane potrà lasciarci.
Forza e coraggio, che di tempo di fronte credo ne avremo ancora molto prima di uscire da tutto questo.
Forza e coraggio.

lunedì 23 marzo 2020

Cronache di inizio primavera

E' primavera.
Ed anche se il merlo canta a buio da almeno un mese, è Primavera "soltanto adesso".
Negli ultimi venti giorni soltanto uno è stato di pioggia leggera, e poi sempre sole.
Il caldo ha vinto su tutto il resto, e pure qui in montagna abbiamo toccato i 17°C, una storia di fantascienza per questi luoghi.
I daini maschi hanno iniziato ad accompagnare l'imbrunire con il loro bramito già a metà febbraio, ed adesso i concerti si fanno decisamente intensi.
Durante il giorno, dalla prateria, arriva un lontano frinire di grilli.
Le violette mammole, viola o gialle che siano, spuntano ovunque, a migliaia e migliaia, mentre le primule chiare esplodono nel sottobosco.
Le gemme dei castagni, gonfie, paiono voler occhiellare, mentre i ciliegi selvatici si apprestano a colorare il bosco delle loro maestose fioriture.
C'è odor d'Aprile nell'aria, e nessun pettirosso è più apparso intorno casa.
La vecchia lepre che vive nell'aia di casa pare aver voglia di addomesticarsi, mentre le galline piumeggiano a primavera.
L'orto, vangato poco alla volta, si appresta alle semine di Bietole, radicchi e qualche patata.
Il semensaio di mia moglie invece accoglierà qualche esperimento con zucche e cicorie.
La legna, che non è mai abbastanza, s'accatasta nell'aia, pronta per essere spaccata.
Nel bosco i biancospini sono oramai in fiore.
Le giornate, oramai lunghe, si fanno sentire nella loro pesantezza, e presto si cenerà con la luce del sole.
Ma, stamani eravamo sotto zero, ed una perturbazione arriva sull'Italia: mercoledì o giovedì potrebbe perfino nevicare.
La tramontana spicchia dietro il poggio, e taglia le gote e blocca le dita.
La casa è calda, e ci abbraccia ad ogni nostro rientro.
C'è tanto da fare,,,
Buona Primavera

mercoledì 18 marzo 2020

Adesso s'aspetta, che torni l'Aurora

C'è un tempo per correre.
Ed un tempo per tacere.
Un tempo per sbattere i pugni e gridare.
Ed un tempo per fermare.
Mi guardo negli occhi che furono,
e sento il lamento, di quanto sarà.
Mi appoggio per non cadere,
e trattengo il respiro, sin quando potrò.
Aspetto, con animo urlante, e mano silente.
Mi accosto alla pianta, e sogno al futuro.
Mi stringo, col cuore gonfio, ed occhi asciutti.
E tutto è sospeso.
E tutto pare franare.
C'è un tempo per correre,
ma adesso l'uscio s'accosta.
Il cerchio di stringe.
Stiam cheti, supini, con occhi al vento.
Adesso s'aspetta, che torni l'aurora.

giovedì 5 marzo 2020

Suggestioni marittime pensando a Domani

C'è vento forte.
Lo sento nella canna fumaria del camino, che colpisce fuori la casa, e che fa compagnia stando di fronte al fuoco.
C'è vento forte, mentre l'ennesima nuvola s'inghiottisce casa e castagni.
Piove: da sabato sera solo una breve tregua questa mattina, giusto il tempo di fare un carico di legna, e di segarne e spaccarne soltanto la metà.
Nei castagni il terreno è fradicio, e visto le pendenze è quasi impossibile camminare senza scivoloni.
Il taglio dei pali e delle colonne è sospeso; i lavori nella casa hanno vinto a mani basse su tutto il resto, e "luna o non luna" tutto il calendario dei lavori all'aperto è saltato.
Mia moglie legge un libro davanti al camino, sul suo amato dondolo.
Io, accanto a lei, siedo al tavolo cercando parole "buone" per rompere questo silenzio.
Vi parlo della stagione, di una bambina che corre sul prato, dei castagni che gemmano, delle galline che razzolano, della legna che non è mai abbastanza, e di qualche sporadica "infarinata" di neve.
Tutto il resto lo affido agli "esperti di turno", ai leoni da tastiera (e coglioni nella vita), ai tuttologi, ai millantatori da social, a quanti abbiano livore da riversare o ansie da ricevere.
Tutto il resto, passerà...come sempre è passato, lasciando dietro di se un'eco che almeno spero smuova le coscienze dei più, e che ci faccia avere un pò più di memoria nel tempo che verrà.
In fin dei conti sono solo un Agricoltore, e questo angolino deve poter parlare di altro:nei tanti che passano di qua son certo che ci saranno inevitabili silenzi, ma so anche che la cerchia ristretta (e affettuosa) di penne virtuali che "oramai abitano questo non luogo" non mancherà di lasciare il proprio commento.
Ma...badate bene, questo non deve dare pretesto, a nessuno, di essere offensivo, catastrofico e categorico.
Io, dal basso dei miei quarant'anni, dico che tutto passerà, ed ascoltando il respiro del sonno della mia bimba so che tutto passerà, per forza.
Guardo al domani con sorriso, ascolto tutto e tutti, ma ascolto sopratutto il mio buon senso.
Ecco, il buon senso...qualcosa che sovente siamo (o saremmo) tentati di minare lasciandoci cannibalizzare da pensieri inculcati a forza tra martellanti proclami di "nessuno di professione", o di "sentito dire" di moda del momento.
Il buon senso deve vincere, ed il miglior antidoto alla paura è la Razionalità.
Giorno per giorno, un passo alla volta, con prevenzione, ma sempre con lucidità, senza mai dimenticarci di dispensare gentilezza e sorrisi: due cose queste ultime che rendono sempre animo e mondo migliori.
L'acero montano dietro casa sbatacchia forte, questo libeccio si arrampica sui poggi per poi venire ad urlare in montagna, portando suggestioni di marittimo in un contesto assai impervio.
Domani spioverà, e ci sarà ancora legna da fare, ancora, ed ancora.
Domani arriva alla svelta, sempre.
Quindi, a Domani...

mercoledì 5 febbraio 2020

Una Vita che va, un albero da piantare

"Nonno, te sei parecchio più grande di me, vero?"
Glielo chiedevo, in svariate circostanze.
"Nonno, te sei parecchio...Parecchio più grande di me, io lo so."
Lui sorrideva, sornione, e si aspettava la domanda che di lì a poco sarebbe rotolata sotto le sue orecchie.
"Nonno, quando uno è parecchio... Parecchio più grande, le sa dare le risposte, giusto?"
E mi aspettava, in quel mio girovagare di domande, al varco.
Mi aspettava sul punto, immobile quasi fosse bloccato in un fermo immagine.
"Bene, allora te me lo sai dire dove si va quando si muore..."
Nonno era ateo, convinto in quel suo forte non credere, a tal punto di essere per me il più grande credente che io avessi mai conosciuto: lontano dalle dottrine, dai dogmi e dalla retorica, lui sapeva darmi risposte così semplici e potenti, che animavano il mio giovane cuore e saziavano la mia innata curiosità.
"Si, insomma...in che posto si va a finire quando non ci siamo più?"
Un uomo che aveva Rispetto, di quello vero, verso qualcosa che non conosceva e che forse non aveva mai scelto di conoscere. Mai un imprecazione, giammai una bestemmia, semplicemente decideva di ignorare quello che secondo lui era troppo grande per appartenergli.
Un uomo semplice, dalla mente grande, d
istante, da quell'oltre che non riusciva proprio a stargli nelle tasche.
"Sai cosa penso, bimbo?"
Un esordio classico quando voleva darmi una risposta che sapeva in qualche modo potesse rimanere indelebile nella mia giovane mente.
"Penso che quando si muore il cuore smette di battere, l'ultimo respiro lo si consegna al vento, e la carne finisce in qualche posto che possa dar conforto a chi rimane.
Ma c'è una cosa, una legge della Natura, che in quel momento si deve tener conto: una Vita che va, una Vita che deve arrivare.
Quando muoio, bimbo, vai alla macchia, e cercami in una piantina che sta appena nascendo.

Cercala bene, e bada che sia proprio...appena nata.
Prendila con le mani, senza rovinarne barbe e pane, mettila in un fazzoletto, e portala in un posto dove siamo stati assieme.
Un posto che possa ricordarti di me, di te con me, che possa ricordarti il timbro della mia voce, l'odore delle mie mani, il senso dei miei pensieri.
Prendi questa piantina, che sia piccola..mi raccomando, e mettila in terra.
Assicurati che sia ben interrata, e lasciala al vento, al sole, alle stagioni, senza annaffiarla mai.
Che sia la Natura a cullarla, come la Natura cullò me.
Quando ti mancherò, quando vorrai sentirmi vicino, quando sarà troppo tempo che non mi sogni...allora vai da quella piantina, solo allora: in quel posto nostro, e siediti, e cercami, e trovami, e parlami.
Sarò lì, te lo prometto.
Sarò lì, solo per te, solo con te.
E se la malinconia prevarrà, lascia che si sfoghi, e poi cerca il sorriso tra quelle foglioline che crescono.  Misura quella piantina con le spanne, e e mentre la guardi cresciuta, guarda la tua mano crescere con lei, e senti il tuo respiro maturare, la barba che avrai sarà lì a condirti la faccia di uomo che già avrai.
Sarai grande, sarai marito, sarai padre, e sarai lì a raccontarmi, e sarai lì a raccontarti.
Passeranno le stagioni, imbiancherai anche te sai? Magari piglierai da me e babbo, e ti cadranno i capelli, inizierai ad inciampare, e chiacchiererai tanto, sempre di più, per il piacere di farlo. 

Appoggiati a quell'albero, lascia che possa sorreggerti ancora, ed affida a lui i tuoi desideri.
Riparati dal sole d'estate, guarda la vita continuare tra le sue trame, e senti il soffio del tempo, il merlo che canta, la luce che filtra.
Passerà il tempo, eh si... caro mio, te lo auguro che ti tocchi di sentirlo passare il tempo.
Siediti, se sei stanco, e lì troverai sempre il tuo nonno, che ti vuole bene, anche quando tu sarai nonno.
Vieni, trovami, e raccontami di questo momento, di quello in cui sarai tu a lasciare che i tuoi nipoti siano pronti a trovare una pianta per quando..."

Me la ricordo ancora quella faccia.
Me lo ricordo ancora quel suo lume negli occhi, lustri di emozione, per quel pensiero.  

Mentre mi guardava fisso, sereno, e concludeva
"...una pianta per quando sarà il momento in cui li saluterai  con codesta veste, per l'ultima volta.
E tranquillo, al resto provvederà la Natura".



Il giorno che nonno è morto, quasi diciott'anni dopo da quelle sue parole indelebili, proprio quel giorno sono andato alla macchia, in una fungaia che con lui frequentavamo nei suoi ultimi anni di Vita.
Avevo un ricordo forte di noi due, di parole grandi, dette con leggerezza apparente, di un "ti voglio bene" non detto, ma sempre dato.
Il giorno che nonno è morto, proprio quel giorno, la piantina l'ho trovata già lì, dove l'avrei messa, senza il bisogno di doverla spostare.
Lì, di fronte ad un sasso buono per sedersi, lì rivolta ad est, come sapevo sarebbe piaciuto a lui, a pigliare l'Alba del giorno, la nascita, tutti i giorni di lì in poi.
Quello è un posto nostro, e quando ci vado il cuore mi si gonfia ogni volta.
Pare che gli altri alberi siano lì a farci da anfiteatro, mentre guardo e ritrovo quanto mi aveva assicurato.


giovedì 23 gennaio 2020

Di Fatica e Soddisfazioni

Ultimo giorno di luna calante, la luna calante di Gennaio: la migliore per tagliare polloni di castagno da destinare a pali, colonne e filagne.
Siamo nel bosco, io e mio babbo, nel silenzio sbattuto dal canto della poiana e dai fruscii di daini che ci osservano da vicino.
Siamo nel bosco, e facciamo del nostro meglio per portare avanti un buon lavoro.
Le attrezzature son quelle che sono, e l'autarchia ancora una volta è regina nel mio lavorare.
C'è fatica, Dio mio se ce n'è: si lavora in piaggia, e le ginocchia non si possono mai rilassare sennò su rotola a valle.
La forza di gravità sembra sin troppo potente, e l'equilibrio ci rende ancor più nani di fronte ai giganti da abbattere.
Dispiace tagliare un albero, dispiace sempre, ma farlo con cognizione di causa e prospettiva ha certamente un sapore di giustizia e riconoscenza verso quel castagneto abbandonato per troppi...troppi anni.
Polloni, che svettano verso il cielo, potenti, maestosi, alti, altissimi...
Polloni, troppo fitti per divenire alberi, troppo scoscesi per reggere alle piogge sempre più potenti.
Ci vuole rinnovo: piante giovani, da innestare a marroni, che possano crescere senza essere oppresse, e continuare a fare il lavoro dei loro fratelli.
Sorreggere la montagna, scoscesa, sarà un compito che solo le loro radici potranno svolgere: noi, con motosega e braccia (tante braccia...) diamo loro lo spazio per sviluppare.
Gli altri, abbattuti in fragorosi boati che squarciano il suono della montagna, saranno sostegni per le recinzioni a venire, spalle per tettoie e stalla, ed infine anche legna da ardere.
Io e babbo ci proviamo a far bene, sentiamo la responsabilità si un lavoro che dovrà durare tanto, e che la Natura dovrà accogliere e far suo.
Piano piano, si vede salire la catasta dei pali, le colonne s'accostano ad un castagno a valle, ci fa legna per stufa e camino.
La luna calante di gennaio, asciutta, assicura il legno nel tempo, quando la linfa ancora "non tira", e la tramontana assolata mette la giubba al legno.
Si scivola, ogni tanto si cade a terra, ci si rialza, c'è sudore salato negli occhi, si sta bene.
Un tempo io bimbo, lui babbo giovane, i suoi insegnamenti nel bosco.
Oggi io grande, che orchestro, lui che mi aiuta.
Di Fatica e Soddisfazioni ne parlerò tanto.