Taglio dell'erba per gli animali del podere

Taglio dell'erba per gli animali del podere

domenica 14 maggio 2023

Maggio: trentun giorni non bastano a fare un mese

Quando si dice che trentun giorni non bastano per fare un mese..
E difatti, quando è il turno di Maggio, questa frase mi torna sempre alla mente.
Siamo soltanto a metà mese, ma complice il maltempo, c'è sempre da fare, c'è sempre da correre, si arranca, ci si rimette in pari.
Qui in montagna è nel mese di maggio che la natura esplode e Rivendica tutti i colori e gli spazi ceduti nei mesi precedenti.
Poco importa se i giorni grigi e piovosi abbondano, ancora di più i prati rigogliono di erbami e fiori, ed ancora di più le foglie abbondano sui rami marroni.
Basta una settimana di tregua dalla pioggia e nell'apiario le api salgono a melario, le ceraiole lavorano alacremente e le bottinatrici portano nettare buono in abbondanza.
Diminuiscono lr macchie bianche delle fioriture del ciliegio, abbondanti e brevi, mentre intorno la casa  vince il rosso del Trifoglio incarnato, seminato lo scorso settembre a ragion veduta: si incastra tra la fioritura del Ciliegio e quella dell'acero e della acacia.
Le api corrono avanti e indietro, schivando persone ed ostacoli, e puntando dirette alle proprie arnie con zampette piene di polline. 
L'alveare ronza che è un piacere, e la battaglia contro le sciamature è oramai in alto.
Ma per quanto miele riescano a stivare, i giorni di pioggia che poi seguono le portano a consumarlo tutto.
Nel campo la biada si allunga di giorno in giorno, e a vista d'occhio va a diventar fieno.
Ritornano le fioriture di vecchie semine degli anni passati, spesso ai margini del campo o all'inizio del bosco.
E l'orto per adesso è soltanto un grande pezzo di terra con erba tagliata di fresco, e nulla di più.
La notte ci si avvicina ai sei gradi centigradi, ed ancora non me la sento di seminare e trapiantare: l'orto fatto d'inizio Maggio mai è riuscito a vedere un futuro qui da me.
Ma le patate stanno spuntando abbondanti, e gli immancabili istrice e  tasso ripeton le visite con formule diverse ogni notte: col beneficio del buio provano a sfondare il recinto elettrico, ed ogni mattina devo andare a sistemare tutto ancora ed ancora, tra un'imprecazione ed una risata.
...ed io che pensavo che i cinghiali fossero testardi, ancora non avevo avuto a che fare seriamente con quest'altro tipo di animali.
Poi c'è tutto il lavoro nel castagneto, rimasto così indietro che quasi me ne vergogno a scriverne.
Cataste di pali e di colonne attendono di esser caricati e trasportati nei vari" cantieri di turno" all'interno dell'azienda, e le potature ammassano in terra occupando spazi importanti, ed attendendo di esser ripulite e poi accatastate per diventar legna da ardere.
Ma le pendenze nel castagneto non mi permettono di lavorare quando è bagnato: sia il trattore che il sottoscritto rischiano sempre troppo e quindi c'è bisogno di aspettare un po' di asciutto.
Ma ogni giorno la stufa a legna e la caldaia continuano a darci calore ed acqua calda, quindi c'è la legna da ardere da stivare ed accostare alla casa.
Ci sono i campi da coltivare, quei piccoli fazzoletti di terra così importanti, strappati al bosco e all'incuria di chi qui abitava prima di noi.
Ma se non asciuga , rischiano di rimanere i sodi...
E poi l'erba, che di verde dipinge perfino la strada sterrata, che cresce a dismisura anche dove non è assolutamente gradita, e deve esser tagliata perché serpenti e zecche non aspettano altro per potersi accostare al podere. 
A giorni alterni mi dedico anche al taglio dell'erba, con decespugliatore e tanta pazienza, perché tagliare erba bagnata è sempre una fatica ed un lavoro non fatto bene. 
Ma il mese continua ad andare avanti, con o senza pioggia, e la natura continua a conquistare spazi e a lasciarmi tanto lavoro da fare. 
Alla sera il capo diventa pesante, e subito dopo la cena, ancora con lo spicchio di mela in mano, gli occhi già iniziano a chiudersi. 
Maggio è bello, un mese in cui il cuculo canta dalla mattina alla sera, il mese in cui le stelle si fanno ancora più grandi, il mese in cui si sentono profumi che riempiono lo spirito. 
Mentre la chioccia inizia la sua cova, un branco di colombacci si abitua alla casa e sorvola sempre più basso.
I grilli già cantano a squarciagola durante la giornata,  mentre le calze di lana iniziano ad essere uggiose dentro agli scarponi. 
Entro la fine del mese dovrò avere rivoluzionato Orti e Campi, aver tagliato l'erba, e magari aver raccolto il primo miele. 
Ci riuscirò? 
So già la risposta: trentun giorni non bastano a fare un mese.

giovedì 20 aprile 2023

Citazione n°4

 "Sai bimbo?! 
Ci son piantine che nascono sotto ai sassi grossi, e spingono e forzano parecchio tempo per cercare di venir fuori, ma nulla. 
Poi un giorno il sasso rotola poco più là perchè qualcuno lo urta, ed allora la piantina pole crescere come tutte le altre accanto, ma non sarà mai come tutte le altre seppur anonima alla vista... 
La forza accumulata nel tempo quando era all'ombra e schiacciata, e la voglia di vivere, la renderanno sempre pronta a resistere alla siccità, al gelo ed alle avversità in generale.
Io te lo auguro, bimbo."



Zìbruno

domenica 26 marzo 2023

Orto Anacronistico: l'approccio

Da una parte dovrò pur iniziare a radunare le tante idee, e quale migliore inizio se non quello dove spiego l'approccio all'Orto, secondo me.

La tiritera dovrebbe iniziare con la frase "...perchè è da quando son bimbo che faccio l'orto...", ma questo non ci porterebbe nel focus dei questo post, per cui vado diretto al punto: FARE L'ORTO PER BISOGNO.

Non è mai stato nulla di diverso, se non quella necessità di tenere le mani nella terra, di veder crescere la vita vegetale e di potermi cibare "del mio".
Analizzo la cosa.

Necessità di tener le mani nella terra
Sin da bambino ho sempre sentito che le mie mani non erano abbastanza sporche ed abbastanza vissute per star di pari passo alle mie idee. 
Ed era proprio quel bisogno forse atavico di avere le mani che odorassero di terra.
Era così che diventavano più vissute, ed era così che mi permettevano di tenermi addosso l'orto anche quando ero sui libri di scuola.
Quasi come fosse un feticismo, sfoggiavo quelle unghie marcate di terra, o quelle piccole chiazze o taglietti che il lavorare mi aveva consegnato.
E quando poi guardavo le mani dei miei nonni, non mi sentivo così distante da loro.
Ho sempre amato fare l'orto, e nelle mie mani ho sempre mantenuto l'eco e l'evidenza di questo amore.
Avete mai sfemminellato un centinaio di piante di pomodoro, oppure avete mai cavato a mano panieri e panieri di cipolle rosse, oppure avete mai sgranato sul posto qualche secchio di fagioli?
Non era necessario affondare le dita nella terra per mantenermi addosso una veste arlecchino che raccontasse a gran voce della mia passione, ma aver le mani terrore era come indossare una fede matrimoniale: era sancita l'unione in modo inequivocabile. 

Vedere crescere la vita vegetale
Glielo chiedevo costantemente (ai miei genitori) di permettermi di allevare un cane. Avevo quel bisogno comune a tanti bambini di poter avere un cucciolo da poter crescere con me. 
Figlio unico, ero alla continua ricerca di una Simbiosi con un essere vivente, ma oltre i tanti uccellini caduti dal nido (raccolti salvati e poi liberati) , o una coppia di canarini che tanto amavo, non mi era permesso di allevare altro. 
Già allora sapevo che non era una crudeltà, ma un'esigenza di due genitori che stavano tanto tempo fuori casa, e che non potevano permettersi "il piacere" di allevare un animale in casa. 
Ed allora iniziai a vedere l'orto come una creatura, come un essere vivente da far crescere di stagione in stagione, di anno in anno, divenendo sempre più consapevole di quanto quella vita dipendesse dalle mie decisioni, dalla mia costanza e dalla mia dedizione. 
La vita vegetale cresceva grazie al mio impegno. 

Potermi cibare "del mio" 
I racconti dei nonni e delle bisnonni parlavano chiaro: bisognava essere in grado di cavarsela da soli, e dovevo comprendere che grazie al mio impegno qualcosa di sano e pulito sarebbe potuto arrivare nella mia tavola. 
E subito capiì che non c'era maggior soddisfazione di quei pomodori così saporiti, di quel basilico così profumato, e soprattutto di quelle insalata che aveva un sapore come le tante insalate mangiate prima non avevano mai avuto. 
Il terriccio preso con cura dal Boschetto sopra casa, la selezione dei semi che erano più adatti a quell'orto, la parsimonia con cui dosavo la poca acqua, le ore serali passate nei profumi più belli, nel pre cena e nel post cena estivo. 
E quando la nonna chiedeva se fossi stato io l'artefice di tanto lavoro, la soddisfazione si raddoppiava nel mio petto. 
Ed oggi che mia figlia viene nell'orto con me e che mi aiuta, imparando e producendo , la soddisfazione è indecifrabile. 
Non ce n'è di roba buona come quella fatta da noi stessi, giusto? 


Fare l'orto per bisogno, e qui ho riportato quali siano stati i bisogni che in origine mi hanno portato a vivere un innamoramento che pare non aver fine. 
La fatica si sente sempre meno quando c'è la passione e la soddisfazione in quello che si fa. 
Per la maggior parte della mia vita non ho tratto guadagno economico da questo mio lavorare, eppure sentivo che quel lavoro riempiva il mio stomaco ed ha anche la mia anima. 
E credo che questo lo possa confermare solo chi mette così tanta passione in un orto. 
Non ci sono arrivato quindi per ribellione, e non ci sono arrivato neanche per tradizione, ma ci sono arrivato per questi tre motivi, e d
Quindi con un approccio di Bisogno. 


mercoledì 8 marzo 2023

Vento di Libeccio

E' oramai l'alba quando comprendo che il sonno non è stato abbastanza.

Il vento sbatte nella cantonata della casa dal lato del pollaio, ed il tacere del cane al sicuro banchettare dei daini intorno al pozzo mi fa capire che è vento di Libeccio.
Accade quattro volte all'anno, con una regolarità anacronistica ed impressionante: tutte le stagioni si ribaltano, ma ancora il vento di libeccio viene a scuoterci sancendo rigorosamente il cambio della stagione.
L'ultima volta pochi giorni dopo natale, a spazzar via l'umido e la pioggia durati due mesi, e a consegnarci il freddo vero, la neve, ed il gelo.
E prima ancora lo aveva fatto a fine ottobre, a termine di quell' Agosto dai cento giorni, quando con prepotenza interruppe la lunga coda dell'estate calda.
E prima ancora in aprile, iniziando una stagione delle piogge e spezzando le redini a quella tremenda siccità che anche lo scorso anno aveva accompagnato la fine dell'inverno.
Il Vento di libeccio, per molti popoli tirrenici "in vento di mare", che quassù spira raramente, e che quando arriva ama torturarci a dovere, sradicando alberi, troncando rami, spostando tegole sul tetto e rendendo pericolose anche le semplici operazioni intorno al podere.
Mi piace, lo confesso: mi piace quando la natura ci ricorda che è la sua Potenza a poter (e dover) darci una regola, a noi omuncoli affaccendati, coi capi chini sopra i nostri impegni, e con memorie troppo corte per ricordarci le cose "ancor più importanti".
Le nuvole grigie scorrono e s'intrecciano, in un'orgia di sfumature che porta al delirio delle proporzioni e delle distanza: un attimo par di poter toccare questo, e l'istante successivo ci si sente infinitamente minuscoli.
Rombano i rami, fischiano le reti di recinzione, e dondola il bosco tutto, ancor grigio e marrone per la veste invernale, risvegliato a forza dopo il lungo torpore della tanta neve caduta.
L'odor di erba secca si mescola a quello del mare, lontano, ma che sa allungar pe proprie dita sin quassù, quattro volte all'anno, come un gigante che rivendita territori a lui mai attribuiti.
Sulle labbra si sente il sale, mentre accompagna ogni pensiero l'idea che tra poco il rigoglio primaverile urlerà e pretenderà tutta la mia attenzione.
Mentre l'ultima Luna calante d'inverno compie il suo cammino.

martedì 14 febbraio 2023

Isolamento

Per tutta l'adolescenza una radiosveglia mi ha fatto alzare dal letto, per poi lasciare il posto alla vecchia sveglia a carica della bisnonna, tanto odiata dal mio compagno di stanza all'università prima, e da mia moglie poi.
Oggi è il telefono che dispensa la melodia del risveglio, mentre i muscoli già si distendono e il corpo si allunga quasi a toccare i confini del letto: è buio fuori, e l'aria fresca entra a forza, solo scoprendomi un poco dal pesante coltrone.
Fa Eco uno sbadiglio, il rumore delle molle del materasso, il tonfo sordo dei piedi che si posano sulle tavole del pavimento, le ciabatte che scivolano nel buio allontanandosi dal letto.
Non ho bisogno di un lume per trovare gli scuri della finestra, ed aprirli per vedere quale giornata mi attenderà.
Col massimo riguardo rubo ogni istante di quella prima affacciata sul giorno, aprendo appena la finestra e rubandone subito odori e rumori.
E a volte, solo in quel momento, penso che l'anima più vicina a noi sta dormendo ad almeno 2 km di boschi e castagneti.
lontani dall'asfalto e dai lampioni arancioni, è quello il momento più bello della giornata.

Negli oltre tre anni vissuti qui in montagna tante, praticamente tutte sono le persone che continuano a chiedermi come io, noi, si possa vivere così isolati.
Ogni volta che qualcuno di nuovo mi viene a trovare, o che qualcuno di vecchio torna a ritrovarmi, sempre la stessa domanda: " come fate a vivere quassù?".
E molto spesso questa domanda è accompagnata da una affermazione: "... Io non riuscirei mai a vivrtr qui, come fate voi".
Un loop, continuo, che sin dal primo giorno mi fa sorridere, e sin dal primo giorno sfrutto con tanti aneddoti che possano ancora di più far pensare a quanto sia difficile vivere in montagna (così isolati).
Io stesso mi sono chiesto più volte che cosa fosse l'isolamento. 
Negli ultimi tre anni tutti siamo stati forzati nel co0mprendere un (nuovo) concetto di isolamento, valido tanto da un punto di vista sociale quanto prettamente materiale.
Quel virus ha creato il pretesto per allontanarci, credendo che invece sarebbe accaduto il contrario, e per renderci più individualisti e asociali...o perlomeno questo è il mio punto di vista.
Mentre nel palazzone dalle trenta famiglie veniva fatta la gincana per non sfiorarsi uscendo dall'ascensore, autoinfliggendoci apnee al sapor di disinfettante, a me...ed a chi vive come me, poco è cambiato.
Oggi, come negli ultimi tre anni, la mia giornata iniziava aprendo la finestra, scaldando la casa, e andando a lavorare fuori all'aperto.
Fortune queste che sempre ho riconosciuto, e che mai ho ostentato, per rispetto e per intelligenza.
Ma mentre le settimane bianche, o le ferie d'estate consegnavano il "liberi tutti" ad orde di mascherati in cerca di riscatto, io continuavo a svegliarmi sempre alla stessa maniera, in quel rituale che avvia da anni la mia giornata: senza sabati o domeniche, regolato solo dalle nuvole ed dal sole, io non sentivo differenze, come non ne sento oggi.
Ma conosco l'isolamento, credetemi.
Conosco bene cosa rappresenti l'essere da solo, l'essere lontano dai più, e chi segue questo Blog credo possa essersene reso conto negli anni trascorsi.
Isolato, con i propri ideali, in un atteggiamento critico verso tutti, e per primo verso me stesso, sempre e comunque, pronto a riconoscere l'errore, analizzarlo e trarne l'insegnamento.
Isolato, per una burocrazia che mal individua il piccolo...minuscolo agricoltore svincolato dalle graduatorie e dall'agricoltura dei contributi.
Isolato, da una società che non capisce quello che faccio, e sopra a tutto non capisce..perchè lo faccia.
Isolato, in un tempo che tento di fare mio, nonostante questi continu8i a volermi costringere verso altri ritmi e direzioni.
...e tutto questo non certo da un giorno.
La scorza, quella dura, si forma, per forza: non mi sento pecora nera in questo gregge, ma semplicemente non mi sento pecora...e nessuno dovrebbe mai farmene una colpa.
Mentre i treni corrono, vago altrove, senza il bisogno di "scendere appena posso", senza il bisogno di urlare una ragione, senza il bisogno di sentirmi migliore.

Ma come mai se io non mi sento migliore, altri vorrebbero farmi sentire peggiore?

Non rubo, non danneggio nessuno, lavoro a capo basso, amo la mia famiglia, e mi adoperò al massimo per essere un buon padre, un buon marito, un buon figlio, un buon amico.
Non ho mai speculato su nulla, mai.
Non ho mai baciato le terga di qualcuno per ottenere qualcosa.
Non ho mai voluto una corsia speciale, e quando la vita me l'ha data...mi è pesato percorrerci piccoli o medi tratti di cammino, cercando di svincolarmi appena possibile.
Non so vendere me stesso.
Non voglio vendere me stesso, cercando di essere Personaggio, prima che Uomo.
Non recito una parte, ma sento di vivere un ruolo in questa Vita.
Morirò povero, ma spero di aver arricchito le vite di chi amo.
E dei quattrini sinceramente mi importa una sega: non voglio essere schiavo, o se proprio devo esserlo ho bisogno di catene molto lunghe.
Credo negli ideali che per me, per insegnamento della mia Famiglia, sono i veri pilastri del Vivere.
Credo nell'Amore verso gli attimi, verso le parole giuste, verso quei ponti invisibili ma solidi, verso la lealtà, le piccole cose quotidiane, la Bellezza tutta.
Son pronto a sbagliare, sbagliare e sbagliare ancora, e questo non mi farà mai sentire un uomo peggiore di altri, ma solo un uomo che non si illude di essere migliore di altri.
Credo nelle diversità. e le accolgo come opportunità di confronto, di crescita, di insegnamento.

Eppure...
Eppure io conosco l'isolamento, forse da una intera vita, e conosco la soddisfazione ampia e profonda di sentirmi bene, a mio agio, convinto, nei miei ideali.
Stoico, cocciuto, stacanovista, perseverante...m lo dicono sempre quelli che mi voglion bene, e per me sono abbracci e non ceffoni.
E mi sta bene essere diverso, e mi sta bene essere semplice nel mio modo di essere complicato.
E quindi, si..mi sta bene questo Isolamento, che mai mi abbandona, quasi fosse un gran compagno di Vita.
Alla fin fine, se si sta bene cons e stessi, non servono le Corti del Re per sentirsi forti nelle proprie decisioni.
Io sbatacchio il muso, quotidianamente, faccio errori, cerco di migliorare, recuperare, aggiustare, sempre, senza paggetti o pacche sulle spalle, senza groupie o canapi di sostegno.
Ed in tutto questo, mai è pesato l'Isolamento.

E' mattina fatta, l'odore della legna di castagno accompagna la casa.
Il bollitore fischia sulla stufa a legna.
I daini banchettano nel prato dietro al pozzo, il cane latra per svegliare tutta la Natura.
Il sapore del caffè da sostegno, mentre le mani son già sporche.
Tre messaggi nel telefonino mi raccontano di meteo, fatiche e giornate altrui.
Scaldo il motore del trattore, la brina sul cofano par ballare per le vibrazioni.
Mi giro a guardare le finestre di casa che come occhi paion vegliare sul mio operato.
E' freddo, evviva l'inverno quando è freddo.