Taglio dell'erba per gli animali del podere

Taglio dell'erba per gli animali del podere

domenica 14 maggio 2023

Maggio: trentun giorni non bastano a fare un mese

Quando si dice che trentun giorni non bastano per fare un mese..
E difatti, quando è il turno di Maggio, questa frase mi torna sempre alla mente.
Siamo soltanto a metà mese, ma complice il maltempo, c'è sempre da fare, c'è sempre da correre, si arranca, ci si rimette in pari.
Qui in montagna è nel mese di maggio che la natura esplode e Rivendica tutti i colori e gli spazi ceduti nei mesi precedenti.
Poco importa se i giorni grigi e piovosi abbondano, ancora di più i prati rigogliono di erbami e fiori, ed ancora di più le foglie abbondano sui rami marroni.
Basta una settimana di tregua dalla pioggia e nell'apiario le api salgono a melario, le ceraiole lavorano alacremente e le bottinatrici portano nettare buono in abbondanza.
Diminuiscono lr macchie bianche delle fioriture del ciliegio, abbondanti e brevi, mentre intorno la casa  vince il rosso del Trifoglio incarnato, seminato lo scorso settembre a ragion veduta: si incastra tra la fioritura del Ciliegio e quella dell'acero e della acacia.
Le api corrono avanti e indietro, schivando persone ed ostacoli, e puntando dirette alle proprie arnie con zampette piene di polline. 
L'alveare ronza che è un piacere, e la battaglia contro le sciamature è oramai in alto.
Ma per quanto miele riescano a stivare, i giorni di pioggia che poi seguono le portano a consumarlo tutto.
Nel campo la biada si allunga di giorno in giorno, e a vista d'occhio va a diventar fieno.
Ritornano le fioriture di vecchie semine degli anni passati, spesso ai margini del campo o all'inizio del bosco.
E l'orto per adesso è soltanto un grande pezzo di terra con erba tagliata di fresco, e nulla di più.
La notte ci si avvicina ai sei gradi centigradi, ed ancora non me la sento di seminare e trapiantare: l'orto fatto d'inizio Maggio mai è riuscito a vedere un futuro qui da me.
Ma le patate stanno spuntando abbondanti, e gli immancabili istrice e  tasso ripeton le visite con formule diverse ogni notte: col beneficio del buio provano a sfondare il recinto elettrico, ed ogni mattina devo andare a sistemare tutto ancora ed ancora, tra un'imprecazione ed una risata.
...ed io che pensavo che i cinghiali fossero testardi, ancora non avevo avuto a che fare seriamente con quest'altro tipo di animali.
Poi c'è tutto il lavoro nel castagneto, rimasto così indietro che quasi me ne vergogno a scriverne.
Cataste di pali e di colonne attendono di esser caricati e trasportati nei vari" cantieri di turno" all'interno dell'azienda, e le potature ammassano in terra occupando spazi importanti, ed attendendo di esser ripulite e poi accatastate per diventar legna da ardere.
Ma le pendenze nel castagneto non mi permettono di lavorare quando è bagnato: sia il trattore che il sottoscritto rischiano sempre troppo e quindi c'è bisogno di aspettare un po' di asciutto.
Ma ogni giorno la stufa a legna e la caldaia continuano a darci calore ed acqua calda, quindi c'è la legna da ardere da stivare ed accostare alla casa.
Ci sono i campi da coltivare, quei piccoli fazzoletti di terra così importanti, strappati al bosco e all'incuria di chi qui abitava prima di noi.
Ma se non asciuga , rischiano di rimanere i sodi...
E poi l'erba, che di verde dipinge perfino la strada sterrata, che cresce a dismisura anche dove non è assolutamente gradita, e deve esser tagliata perché serpenti e zecche non aspettano altro per potersi accostare al podere. 
A giorni alterni mi dedico anche al taglio dell'erba, con decespugliatore e tanta pazienza, perché tagliare erba bagnata è sempre una fatica ed un lavoro non fatto bene. 
Ma il mese continua ad andare avanti, con o senza pioggia, e la natura continua a conquistare spazi e a lasciarmi tanto lavoro da fare. 
Alla sera il capo diventa pesante, e subito dopo la cena, ancora con lo spicchio di mela in mano, gli occhi già iniziano a chiudersi. 
Maggio è bello, un mese in cui il cuculo canta dalla mattina alla sera, il mese in cui le stelle si fanno ancora più grandi, il mese in cui si sentono profumi che riempiono lo spirito. 
Mentre la chioccia inizia la sua cova, un branco di colombacci si abitua alla casa e sorvola sempre più basso.
I grilli già cantano a squarciagola durante la giornata,  mentre le calze di lana iniziano ad essere uggiose dentro agli scarponi. 
Entro la fine del mese dovrò avere rivoluzionato Orti e Campi, aver tagliato l'erba, e magari aver raccolto il primo miele. 
Ci riuscirò? 
So già la risposta: trentun giorni non bastano a fare un mese.

giovedì 20 aprile 2023

Citazione n°4

 "Sai bimbo?! 
Ci son piantine che nascono sotto ai sassi grossi, e spingono e forzano parecchio tempo per cercare di venir fuori, ma nulla. 
Poi un giorno il sasso rotola poco più là perchè qualcuno lo urta, ed allora la piantina pole crescere come tutte le altre accanto, ma non sarà mai come tutte le altre seppur anonima alla vista... 
La forza accumulata nel tempo quando era all'ombra e schiacciata, e la voglia di vivere, la renderanno sempre pronta a resistere alla siccità, al gelo ed alle avversità in generale.
Io te lo auguro, bimbo."



Zìbruno

domenica 26 marzo 2023

Orto Anacronistico: l'approccio

Da una parte dovrò pur iniziare a radunare le tante idee, e quale migliore inizio se non quello dove spiego l'approccio all'Orto, secondo me.

La tiritera dovrebbe iniziare con la frase "...perchè è da quando son bimbo che faccio l'orto...", ma questo non ci porterebbe nel focus dei questo post, per cui vado diretto al punto: FARE L'ORTO PER BISOGNO.

Non è mai stato nulla di diverso, se non quella necessità di tenere le mani nella terra, di veder crescere la vita vegetale e di potermi cibare "del mio".
Analizzo la cosa.

Necessità di tener le mani nella terra
Sin da bambino ho sempre sentito che le mie mani non erano abbastanza sporche ed abbastanza vissute per star di pari passo alle mie idee. 
Ed era proprio quel bisogno forse atavico di avere le mani che odorassero di terra.
Era così che diventavano più vissute, ed era così che mi permettevano di tenermi addosso l'orto anche quando ero sui libri di scuola.
Quasi come fosse un feticismo, sfoggiavo quelle unghie marcate di terra, o quelle piccole chiazze o taglietti che il lavorare mi aveva consegnato.
E quando poi guardavo le mani dei miei nonni, non mi sentivo così distante da loro.
Ho sempre amato fare l'orto, e nelle mie mani ho sempre mantenuto l'eco e l'evidenza di questo amore.
Avete mai sfemminellato un centinaio di piante di pomodoro, oppure avete mai cavato a mano panieri e panieri di cipolle rosse, oppure avete mai sgranato sul posto qualche secchio di fagioli?
Non era necessario affondare le dita nella terra per mantenermi addosso una veste arlecchino che raccontasse a gran voce della mia passione, ma aver le mani terrore era come indossare una fede matrimoniale: era sancita l'unione in modo inequivocabile. 

Vedere crescere la vita vegetale
Glielo chiedevo costantemente (ai miei genitori) di permettermi di allevare un cane. Avevo quel bisogno comune a tanti bambini di poter avere un cucciolo da poter crescere con me. 
Figlio unico, ero alla continua ricerca di una Simbiosi con un essere vivente, ma oltre i tanti uccellini caduti dal nido (raccolti salvati e poi liberati) , o una coppia di canarini che tanto amavo, non mi era permesso di allevare altro. 
Già allora sapevo che non era una crudeltà, ma un'esigenza di due genitori che stavano tanto tempo fuori casa, e che non potevano permettersi "il piacere" di allevare un animale in casa. 
Ed allora iniziai a vedere l'orto come una creatura, come un essere vivente da far crescere di stagione in stagione, di anno in anno, divenendo sempre più consapevole di quanto quella vita dipendesse dalle mie decisioni, dalla mia costanza e dalla mia dedizione. 
La vita vegetale cresceva grazie al mio impegno. 

Potermi cibare "del mio" 
I racconti dei nonni e delle bisnonni parlavano chiaro: bisognava essere in grado di cavarsela da soli, e dovevo comprendere che grazie al mio impegno qualcosa di sano e pulito sarebbe potuto arrivare nella mia tavola. 
E subito capiì che non c'era maggior soddisfazione di quei pomodori così saporiti, di quel basilico così profumato, e soprattutto di quelle insalata che aveva un sapore come le tante insalate mangiate prima non avevano mai avuto. 
Il terriccio preso con cura dal Boschetto sopra casa, la selezione dei semi che erano più adatti a quell'orto, la parsimonia con cui dosavo la poca acqua, le ore serali passate nei profumi più belli, nel pre cena e nel post cena estivo. 
E quando la nonna chiedeva se fossi stato io l'artefice di tanto lavoro, la soddisfazione si raddoppiava nel mio petto. 
Ed oggi che mia figlia viene nell'orto con me e che mi aiuta, imparando e producendo , la soddisfazione è indecifrabile. 
Non ce n'è di roba buona come quella fatta da noi stessi, giusto? 


Fare l'orto per bisogno, e qui ho riportato quali siano stati i bisogni che in origine mi hanno portato a vivere un innamoramento che pare non aver fine. 
La fatica si sente sempre meno quando c'è la passione e la soddisfazione in quello che si fa. 
Per la maggior parte della mia vita non ho tratto guadagno economico da questo mio lavorare, eppure sentivo che quel lavoro riempiva il mio stomaco ed ha anche la mia anima. 
E credo che questo lo possa confermare solo chi mette così tanta passione in un orto. 
Non ci sono arrivato quindi per ribellione, e non ci sono arrivato neanche per tradizione, ma ci sono arrivato per questi tre motivi, e d
Quindi con un approccio di Bisogno. 


mercoledì 8 marzo 2023

Vento di Libeccio

E' oramai l'alba quando comprendo che il sonno non è stato abbastanza.

Il vento sbatte nella cantonata della casa dal lato del pollaio, ed il tacere del cane al sicuro banchettare dei daini intorno al pozzo mi fa capire che è vento di Libeccio.
Accade quattro volte all'anno, con una regolarità anacronistica ed impressionante: tutte le stagioni si ribaltano, ma ancora il vento di libeccio viene a scuoterci sancendo rigorosamente il cambio della stagione.
L'ultima volta pochi giorni dopo natale, a spazzar via l'umido e la pioggia durati due mesi, e a consegnarci il freddo vero, la neve, ed il gelo.
E prima ancora lo aveva fatto a fine ottobre, a termine di quell' Agosto dai cento giorni, quando con prepotenza interruppe la lunga coda dell'estate calda.
E prima ancora in aprile, iniziando una stagione delle piogge e spezzando le redini a quella tremenda siccità che anche lo scorso anno aveva accompagnato la fine dell'inverno.
Il Vento di libeccio, per molti popoli tirrenici "in vento di mare", che quassù spira raramente, e che quando arriva ama torturarci a dovere, sradicando alberi, troncando rami, spostando tegole sul tetto e rendendo pericolose anche le semplici operazioni intorno al podere.
Mi piace, lo confesso: mi piace quando la natura ci ricorda che è la sua Potenza a poter (e dover) darci una regola, a noi omuncoli affaccendati, coi capi chini sopra i nostri impegni, e con memorie troppo corte per ricordarci le cose "ancor più importanti".
Le nuvole grigie scorrono e s'intrecciano, in un'orgia di sfumature che porta al delirio delle proporzioni e delle distanza: un attimo par di poter toccare questo, e l'istante successivo ci si sente infinitamente minuscoli.
Rombano i rami, fischiano le reti di recinzione, e dondola il bosco tutto, ancor grigio e marrone per la veste invernale, risvegliato a forza dopo il lungo torpore della tanta neve caduta.
L'odor di erba secca si mescola a quello del mare, lontano, ma che sa allungar pe proprie dita sin quassù, quattro volte all'anno, come un gigante che rivendita territori a lui mai attribuiti.
Sulle labbra si sente il sale, mentre accompagna ogni pensiero l'idea che tra poco il rigoglio primaverile urlerà e pretenderà tutta la mia attenzione.
Mentre l'ultima Luna calante d'inverno compie il suo cammino.

martedì 14 febbraio 2023

Isolamento

Per tutta l'adolescenza una radiosveglia mi ha fatto alzare dal letto, per poi lasciare il posto alla vecchia sveglia a carica della bisnonna, tanto odiata dal mio compagno di stanza all'università prima, e da mia moglie poi.
Oggi è il telefono che dispensa la melodia del risveglio, mentre i muscoli già si distendono e il corpo si allunga quasi a toccare i confini del letto: è buio fuori, e l'aria fresca entra a forza, solo scoprendomi un poco dal pesante coltrone.
Fa Eco uno sbadiglio, il rumore delle molle del materasso, il tonfo sordo dei piedi che si posano sulle tavole del pavimento, le ciabatte che scivolano nel buio allontanandosi dal letto.
Non ho bisogno di un lume per trovare gli scuri della finestra, ed aprirli per vedere quale giornata mi attenderà.
Col massimo riguardo rubo ogni istante di quella prima affacciata sul giorno, aprendo appena la finestra e rubandone subito odori e rumori.
E a volte, solo in quel momento, penso che l'anima più vicina a noi sta dormendo ad almeno 2 km di boschi e castagneti.
lontani dall'asfalto e dai lampioni arancioni, è quello il momento più bello della giornata.

Negli oltre tre anni vissuti qui in montagna tante, praticamente tutte sono le persone che continuano a chiedermi come io, noi, si possa vivere così isolati.
Ogni volta che qualcuno di nuovo mi viene a trovare, o che qualcuno di vecchio torna a ritrovarmi, sempre la stessa domanda: " come fate a vivere quassù?".
E molto spesso questa domanda è accompagnata da una affermazione: "... Io non riuscirei mai a vivrtr qui, come fate voi".
Un loop, continuo, che sin dal primo giorno mi fa sorridere, e sin dal primo giorno sfrutto con tanti aneddoti che possano ancora di più far pensare a quanto sia difficile vivere in montagna (così isolati).
Io stesso mi sono chiesto più volte che cosa fosse l'isolamento. 
Negli ultimi tre anni tutti siamo stati forzati nel co0mprendere un (nuovo) concetto di isolamento, valido tanto da un punto di vista sociale quanto prettamente materiale.
Quel virus ha creato il pretesto per allontanarci, credendo che invece sarebbe accaduto il contrario, e per renderci più individualisti e asociali...o perlomeno questo è il mio punto di vista.
Mentre nel palazzone dalle trenta famiglie veniva fatta la gincana per non sfiorarsi uscendo dall'ascensore, autoinfliggendoci apnee al sapor di disinfettante, a me...ed a chi vive come me, poco è cambiato.
Oggi, come negli ultimi tre anni, la mia giornata iniziava aprendo la finestra, scaldando la casa, e andando a lavorare fuori all'aperto.
Fortune queste che sempre ho riconosciuto, e che mai ho ostentato, per rispetto e per intelligenza.
Ma mentre le settimane bianche, o le ferie d'estate consegnavano il "liberi tutti" ad orde di mascherati in cerca di riscatto, io continuavo a svegliarmi sempre alla stessa maniera, in quel rituale che avvia da anni la mia giornata: senza sabati o domeniche, regolato solo dalle nuvole ed dal sole, io non sentivo differenze, come non ne sento oggi.
Ma conosco l'isolamento, credetemi.
Conosco bene cosa rappresenti l'essere da solo, l'essere lontano dai più, e chi segue questo Blog credo possa essersene reso conto negli anni trascorsi.
Isolato, con i propri ideali, in un atteggiamento critico verso tutti, e per primo verso me stesso, sempre e comunque, pronto a riconoscere l'errore, analizzarlo e trarne l'insegnamento.
Isolato, per una burocrazia che mal individua il piccolo...minuscolo agricoltore svincolato dalle graduatorie e dall'agricoltura dei contributi.
Isolato, da una società che non capisce quello che faccio, e sopra a tutto non capisce..perchè lo faccia.
Isolato, in un tempo che tento di fare mio, nonostante questi continu8i a volermi costringere verso altri ritmi e direzioni.
...e tutto questo non certo da un giorno.
La scorza, quella dura, si forma, per forza: non mi sento pecora nera in questo gregge, ma semplicemente non mi sento pecora...e nessuno dovrebbe mai farmene una colpa.
Mentre i treni corrono, vago altrove, senza il bisogno di "scendere appena posso", senza il bisogno di urlare una ragione, senza il bisogno di sentirmi migliore.

Ma come mai se io non mi sento migliore, altri vorrebbero farmi sentire peggiore?

Non rubo, non danneggio nessuno, lavoro a capo basso, amo la mia famiglia, e mi adoperò al massimo per essere un buon padre, un buon marito, un buon figlio, un buon amico.
Non ho mai speculato su nulla, mai.
Non ho mai baciato le terga di qualcuno per ottenere qualcosa.
Non ho mai voluto una corsia speciale, e quando la vita me l'ha data...mi è pesato percorrerci piccoli o medi tratti di cammino, cercando di svincolarmi appena possibile.
Non so vendere me stesso.
Non voglio vendere me stesso, cercando di essere Personaggio, prima che Uomo.
Non recito una parte, ma sento di vivere un ruolo in questa Vita.
Morirò povero, ma spero di aver arricchito le vite di chi amo.
E dei quattrini sinceramente mi importa una sega: non voglio essere schiavo, o se proprio devo esserlo ho bisogno di catene molto lunghe.
Credo negli ideali che per me, per insegnamento della mia Famiglia, sono i veri pilastri del Vivere.
Credo nell'Amore verso gli attimi, verso le parole giuste, verso quei ponti invisibili ma solidi, verso la lealtà, le piccole cose quotidiane, la Bellezza tutta.
Son pronto a sbagliare, sbagliare e sbagliare ancora, e questo non mi farà mai sentire un uomo peggiore di altri, ma solo un uomo che non si illude di essere migliore di altri.
Credo nelle diversità. e le accolgo come opportunità di confronto, di crescita, di insegnamento.

Eppure...
Eppure io conosco l'isolamento, forse da una intera vita, e conosco la soddisfazione ampia e profonda di sentirmi bene, a mio agio, convinto, nei miei ideali.
Stoico, cocciuto, stacanovista, perseverante...m lo dicono sempre quelli che mi voglion bene, e per me sono abbracci e non ceffoni.
E mi sta bene essere diverso, e mi sta bene essere semplice nel mio modo di essere complicato.
E quindi, si..mi sta bene questo Isolamento, che mai mi abbandona, quasi fosse un gran compagno di Vita.
Alla fin fine, se si sta bene cons e stessi, non servono le Corti del Re per sentirsi forti nelle proprie decisioni.
Io sbatacchio il muso, quotidianamente, faccio errori, cerco di migliorare, recuperare, aggiustare, sempre, senza paggetti o pacche sulle spalle, senza groupie o canapi di sostegno.
Ed in tutto questo, mai è pesato l'Isolamento.

E' mattina fatta, l'odore della legna di castagno accompagna la casa.
Il bollitore fischia sulla stufa a legna.
I daini banchettano nel prato dietro al pozzo, il cane latra per svegliare tutta la Natura.
Il sapore del caffè da sostegno, mentre le mani son già sporche.
Tre messaggi nel telefonino mi raccontano di meteo, fatiche e giornate altrui.
Scaldo il motore del trattore, la brina sul cofano par ballare per le vibrazioni.
Mi giro a guardare le finestre di casa che come occhi paion vegliare sul mio operato.
E' freddo, evviva l'inverno quando è freddo.


giovedì 22 dicembre 2022

L'Albero di Natale: la tradizione di famiglia

 In ogni Famiglia abita una propria tradizione, piccola o grande che sia.
Le sue radici affondano nella regione, o provincia, o zona in cui la Famiglia vive (o ha le proprie origini).
Ma molto dipende anche dalle "contaminazioni" inevitabili che oggi più che mai sollecitano le nostre abitudini deviandole sul nuovo e talvolta diverso.
Ed ecco che le tradizioni, anche quelle della Famiglia, spesso si perdono senza neanche accorgersene.
"Sembra ieri che..."  E qualcosa è andato perso, senza che ce ne fossimo accorti.
In molti credono che dobbiamo lasciare il vecchio per far posto al nuovo: io non la penso in questo momento, poichè non credo che noi siamo dei contenitori che non possono tenere "dentro" oltre un certo limite.
Vecchio e nuovo possono e devono convivere, mutandoci magari, ma sempre un comune denominatore rappresentato da noi stessi.
La mia stessa esperienza in questo blog credo l'abbia più volte confermato: io credo nelle tradizioni, e le reputo necessarie per affrontare il progresso, non solo in Agricoltura.
Tradizioni, appunto, ed in questo periodo dell'anno è ancor più facile farle riaffiorare, rispolverare, dedicando sorrisi e lacrime a quanto " il nostro sempre" ci ha affidato.
Sono stato un bambino molto fortunato, cresciuto nell'amore di una famiglia dove genitori, nonni e bisnonni mi hanno dato tanto, senza viziarmi, sempre spronandomi a mantenere le loro tradizioni, tante, diverse, ma tutte collegate.
Su tutte ricordo la tradizione della mia amata bisnonna, nata nel 1908 ed ultima di cinque fratelli.
Viveva nella montagna tosco-emiliana, e per la sua famiglia il Natale veniva chiamato anche "il Ceppo".
La tradizione voleva che il giorno di natale venisse messo un pezzo di tronco (il ceppo appunto) di abete nel camino, a margine, e che questo venisse bagnato con (poco) vino e lasciato ad ardere a fuoco morto, a far fumo e profumo, ed a benedire la casa.
La sua famiglia era molto povera, ed il giorno di Natale il suo babbo consegnava ai cinque figlioli un arancia.
Il più grande dei fratelli, col suo coltellino affilato, lo sbucciava, senza sciupare la buccia, e consegnava uno spicchio per uno, e poi ancora un altro, dividendo in parti uguali quelli che sarebbero rimasti fuori dall'assegnazione.
La mia bisnonna si commuoveva annusando, e poi mangiando, quella delizia così esotica e lontana dagli odori e sapori della sua montagna.
Le bucce poi venivano lasciate essiccare, ed ognuno dei fratelli ne teneva un pezzettino nel canterano, tra i pochi vestiti che avevano, a profumare e ricordare.
La tradizione de "il ceppo" era diffusa anche in altre origini della mia famiglia, e mio nonno paterno ha sempre chiamato così il Natale, dove l'albero era rigorosamente il ginepro, e gli addobbi erano poche palline di cartapesta o di vetro, nastrini e qualche caramella.
Alla mia bimba io ho raccontato almeno cento volte il racconto del mio Natale di bimbo.
Leggetelo se vi fa piacere: http://agricoltoreanacronistico.blogspot.com/2020/12/natale-2020-la-storia-di-un-bimbo-e-di.html
Nella mia tradizione diretta, c'era il Pino come albero di Natale, che solo durante la mia adolescenza divenne Abete Rosso, questi rigorosamente in vaso.
La solennità, il calore, l'importanza tutta di quei gesti, di quegli odori, dello scartare le palline di vetro dai vecchi fogli di giornale, tutti quei ricordi...
io ho sempre amato il Natale, non molto in modo prettamente Cristiano, ma con un approccio pagano e sopra a tutto familiare.
Quest'oggi che son babbo, sento tutte quelle voci che mi accompagnano, e sento la responsabilità e la necessità di trasmetterle a mia figlia, con piccoli gesti, ogni anno ripetuti, con aneddoti sempre raccontati allo stesso modo, con oggetti carichi di storia familiare, con un atteggiamento di protezione ma anche di apertura.
Ecco, in una pausa della pioggia, sono uscito con il segaccio a mano ed i guanti, e nella scarpata sopra al torrente l'ho visto, dopo averlo cercato giorni e giorni prima: lì c'era il nostro albero di Natale, pronto per il suo penultimo passaggio.
Un pino, con la base decimata dai cinghiali che da anni lo usavano per grattarsi le groppe.
Lui aveva retto, spurgando kili di resina, ma alla fine aveva dovuto cedere, iniziando a seccare.
Non sono bravo in molte cose, ma so vedere quando una pianta è morente, e questa non sarebbe arrivata alla prossima calura estiva.
Allora, come faccio oramai da tanti anni, l'ho ringraziata a modo mio, l'ho segata, e con tanto sforzo me la sono trascinata sino alla casa.
In ogni passo di fatica, in ogni sforzo, i trovavo un giusto tributo da parte mia a quella scelta.
La resina nelle mani mi ricordava la vita, la resilienza ed il pianto di quell'albero, e quasi come potesse sentirmi lo ringraziavo.
A casa gli occhi della bimba sono stati il regalo più grande a ripagare tanto sforzo: era così felice...
Posizionato nella casa, e stato poi adornato da tutta la famiglia, tra ricordi e sorrisi, nell'euforia fanciullesca che correva a destra e manca, portando le palline e gli addobbi a chi stava sullo scaleo.
E quando io ho messo il puntale, allora ci siamo abbracciati, ripensando all'arancia della sua trisnonna, o al ginepro del suo bisnonno, e a tutti gli altri suoi avi che mai ha conosciuto, ma che mai come in quel momento erano vivi l', con lei, a mantenere intatta la nostra...tradizione di famiglia.


Vi auguro un Sereno Natale, nella speranza che anche voi possiate ritrovare quelle carezze e quei ricordi, e che li possiate trasmettere ai più giovani.
Grazie per aver letto tutto questo.



venerdì 18 novembre 2022

L'Agosto dai cento giorni

In tempo meno sospetto, e nello specifico nel mese de marzo di questo anno, qui venivo con le "solite lamentele da Agricoltore", parlando di una siccità di fine inverno che faceva presagire a scenari assai ardui.
Raccontavo della crisi idrica di talune parti d'Italia, con razionamenti alle irrigazioni, e colture che non potevano essere seminare.
E si parlava già di prezzi sui cereali e orticole che sarebbero lievitati mostruosamente
Il covid  e poi la guerra ci avrebbero messo del loro per rendere la vita di noi "stipendiati dal sole" di molto (troppo) in crisi.
La primavera si è ripresa non prima di aprile inoltrato, ma la Natura... ancora una volta ha sviluppato resilienza e si è adattata, regalando fioriture fantastiche, e dando spinta per l'estate.
Ma la stagione estiva è entrata a gamba tesa, senza il minimo scrupolo, e mentre il popolo italico riempiva i social di tramonti meravigliosi, aperitivi all'aperto e giornate al mare, si consumava lo stillicidio di chi dipendeva dall'acqua non solo per riempire piscine o innaffiare prato e giardini.
Le falde acquifere, povere di una primavera asciutta, hanno dato il possibile calando tutte drasticamente sin dai primissimi di luglio.
Il caldo mordeva pelle e spirito anche quassù in montagna, e la frescura era affidata soltanto alle verdi fronde ed alla notte.
Gli ortaggi faticavano, e proprio  nel momento della massima produzione estiva, le piante si sono collassate.
Il giallume ha invaso il castagneto, bloccando di fatto lo sviluppo dei ricci, e nel frutteto  la frutta sugli alberi è rimasta piccola, iniziando a cadere non ancora matura.
Camminare nel castagneto era un grande dolore, poi che laddove le felci verdi e i fiori sarebbero dovuti abbondare, veniva lasciato spazio soltanto ai rovi, unici vincitori di questa stagione.
Camminando c'era un silenzio non proprio di quel luogo, c'era una vera e propria sensazione di abbandono, quasi come che gli uccelli ed i selvatici tutti si fossero allontanati chissà dove per lasciare la desolazione a vincere in quel posto.
Scendendo poi sino al torrente, sempre ricco in ogni estate, questi si presentava asciutto, dove neanche un rigo d'acqua collegava i pochi bozzi rimasti a fare da rifugio a pesci, insetti e ad abbeverare i pochissimi animali rimasti a vivere nella sua prossimità.
Il prato di fronte casa era oramai seccato, ed era così tragico vedere che le api vagavano senza una meta, accostandosi alle finestre di casa ad elemosinare ai profumi del cucinato.
Ormai patate e cipolle erano compromesse ,e persino il grano saraceno non riusciva a fiorire. 
Poi Ferragosto, con quel temporale furioso che pareva attendere da chissà quanto tempo la voglia di scaricare la propria furia sulla montagna. 
Il vento di Libeccio fortissimo, alberi sradicati. 
Mai vista una cosa del genere, pareva una tempesta tropicale, eppure eravamo lì a mille metri in quello che doveva essere un posto assai protetto da tali fenomeni.
La pioggia ha iniziato a cadere, le temperature erano sempre più alte. 
Questo ha permesso ai funghi di ritornare ad abitare boschi e congelatori, e nelle pause di pioggia la finestra doveva essere lasciata aperta anche dopo il tramonto. assurdità che solo nella Bassa collina e nelle pianure potevano essere comprese.
La siccità è terminata, tutto da un giorno ad un altro, e senza tregua ha piovuto per oltre un mese.
Tutti i giorni un acquazzone, tutti i giorni un temporale, quasi tutti i giorni una grandinata.
Povero l'orto e povero l'Agricoltore che non capivano più che cosa stesse accadendo.
I momenti di pioggia si intervallavano a momenti di sole torrido, assurdo, incomprensibile, doloroso, che come un cane furioso continuava a sbranare la pelle ancora bagnata dalla pioggia di pochi minuti prima.
Il cappello di paglia si alternava al cappuccio dell'impermeabile, e tutto era così instabile, avanti e avanti sino a che a fine settembre le temperature sono addirittura aumentate vertiginosamente.
L'ottobre violento, una manata data in piena faccia ogni mattina ed ogni sera, un caldo incomprensibile: stare a maniche corte in un mese in cui il fuoco nel camino doveva già essere acceso. 
Tutti quanti giorni le temperature erano di tanto e tanto sopra la media del periodo. 
Tutti quanti giorni era un continuo sudare, e la natura è letteralmente impazzita, ancora.
Nuove gemme hanno iniziato a svilupparsi nelle piante, gli aceri si son colorati di un verde brillante piuttosto che iniziare a far cedere le prime foglie.
E' scoppiato un tempo di fioritura fatto di tarassaco, trifogli, grano saraceno, e tantissime altre essenze che non si erano mai viste.
Stranamente nessuna malattia ha vinto nell'orto, reduce con quel poco che ne rimaneva, e rigoglioso come mai nella storia di un orto Montano.
Ottobre, dove le poche patate cavate alternavano una strana quantità di castagne, scadenzata troppo lentamente, quasi come se gli alberi non volessero più cedere quello che con fatica erano riusciti a produrre.
La camicia sempre aperta, Il fiasco dell'acqua sempre a portata di mano, gli occhi sempre increduli a vedere quello che si proponeva tutto intorno. 
Fioriture di ciclamini ovunque, viole mammole riscoppiavano ovunque, e le api che producevano miele in un modo inaspettato.
Come agricoltore c’è sempre una necessità di guardare l'aspetto positivo, e di fatto l'orto ha prodotto quello che nei mesi estivi non poteva produrre.
Purtroppo hanno sofferto i pomodori, tanti, che sono marciti sulla pianta, come anche le cipolle che sono nuovamente germinate, ma le verdure a foglia sono state meravigliose, fragole grandi come mandarini, zucchini sino a far scoppiare il frigorifero.
E gli animali selvatici continuavano a non presentarsi all'uscio di casa, non c'era la classica processione autunnale, niente di tutto questo, e neanche sotto i castagni a pascolare. 
Arrivare alla fine di ottobre e guardarsi indietro, sentendo che il Primo di Novembre arrivava Finalmente il freddo. o meglio, arrivava finalmente l'autunno dopo quei 100 giorni di un agosto folle, così bastardo, così violento, così... impaurito.

Io non mi sono mai sentito solo come in questo periodo, abbandonato da quelle poche e solide certezze, nuovo di fronte a tutto e a tutti, contro tutto e tutti.

sabato 13 agosto 2022

La lunga estate torrida, ed un Caro Saluto a Piero Angela

Il tempo passa.
E talvolta corre a lunghe falcate.
Eccomi qui, di mezzo Agosto, a scrivere dopo un lungo silenzio.
Quante ne avrei da raccontare...

Ma vi evito le ennesime filippiche su quanto sia complicata la vita per l'Agricoltore e sulla fatica.
Vi rimando a QUESTO POST scritto a fine marzo.
Ebbene, seppur di aprile sia piovuto, la lunga estate torrida si è spalancata su Maggio, e si sta trascinando avanti da tre mesi.
Come detto altre volte, non bisogna essere agricoltori per tentare di capire che cosa questo stia significando per la Natura e per l'Agricoltura.
Dico solo che nel castagneto stanno seccando alberi di cinquant'anni, e che ho il pozzo secco (unica fonte di sostentamento per abitazione ed azienda agricola) da fine giugno, e non aggiungo altro, guai ad annoiarvi.

La vita procede, e ci son state soddisfazioni, e son certo che altre arriveranno.
La notte è tornato il fresco, mancato solo per un paio di settimane in luglio), e di giorno tramontana e grecale fanno respirare bene anche sotto al sole.
L'assillo degli incendi c'è sempre, e si fa tanta attenzione per tutto.
Si lavora.
I ricci stanno crescendo sui castagni, la legna da ardere per l'inverno viene stivata.
Stranamente le galline continuano a fare uova agostane.
Le regine delle api non vogliono smetterla di covare, ed arnie numerosissime si stanno rimangiando il tanto miele che hanno prodotto.


Ho un pensiero oggi sabato 13 AGOSTO 2022, per Alberto Angela, famoso divulgatore scientifico presente nelle televisioni di noi italiano.
A lui, alla sua famiglia tutta, mi piacerebbe lasciare un pensiero, dispiaciuto solo che mai lui possa leggerlo.

Ero bimbo, un bimbo che guardava la televisione con la bisnonna. Ho tanti ricordi di quei momenti condivisi, ricordi che vanno da Bim Bum Bam a L'ispettore Derrik, da La casa nella prateria sino a Supercar, da Il pranzo è servito all'Almanacco del giorno dopo...
Ma su tutti c'è quel signore, sempre elegante e gentile, con la voce vagamente afona, e quel modo unico di spiegare  semplicemente le cos più difficili.
Quark, anzi "Quarchee" come si chiamava in casa, e l'immancabile "Aria su quarta corda di Johann Sebastian Bach" che appena iniziava c'era la corsa per accomodarsi di fronte al televisore, impazienti di scoprire dove quel signore ci avrebbe portato quel giorno.
Io bimbo, come milioni di altri bimbi, adolescenti, adulti ed anziani, ero innamorato di quella voce e di quel balletto che facevano quelle mani mentre accompagnavano le parole.
Chissà in quanti avranno sentito come "di famiglia" quella voce, quei momenti.
Io son cresciuto con Piero Angela...ci son cresciuto davvero, tanto da sentirlo come un nonno che mi insegnata tante cose.
E l'ho seguito quando da adolescente creò Super Quark, facendo i salti mortali per non perdermi una puntata.
A lui, a Piero Angela, io devo certamente una parte della mia passione per le scienze e per la conoscenza in genere, e non mi vergogno a dire che oggi il cuore mi s'è intristito profondamente sapendo che ha concluso il suo viaggio tra noi.
Ad Alberto, bravo ben oltre il cognome che porta, un semplice abbraccio commosso, qui dalla montagna, in questa fresca estate di mezzo agosto.

lunedì 23 maggio 2022

Agricoltura di Montagna, parte 4: il confronto con il clima

In Montagna è sempre duro il confronto con il clima.
In Montagna tutto può essere improvviso, dove l'uomo si fa ancora più piccolo di fronte alla roboante necessità espressiva di un clima che raramente avvisa.

Durante una passeggiata in montagna sarà capitato ai più di imbattersi in un acquazzone improvviso, in quella nuvola scura che scarica senza troppi convenevoli sulla testa dei "malcapitati" escursionisti.
In Montagna il maglione ed il k-way ci vogliono sempre, anche quando il sole splende.
In Montagna è bene essere previdenti e premunirsi dell'occorrente per non incappare in spiacevoli situazioni.

Immaginate adesso che cosa voglia dire essere Agricoltore in Montagna.
La prima considerazione è che maglione e k-way non si possono mettere in mille situazioni, e che il lavoro svolto può subire repentini cambi di programma, interruzioni, e spesso veri e propri abbandoni.
Si guarda il calendario lunare, si consultano i vari meteo, e la sera avanti si tiene il naso all'insù per tentare di capire quali bizze farà la stagione all'indomani.
I dolori alle ossa sono universale avvisaglia.
Ma spesso non basta.
La banderuola rumorosa ci avvisa che il vento cambia, e dal letto il latrare del cane sembra più lontano: vento da nord, e nessuno lo aveva previsto.
Se in estate il vento da nord porta fresco a cielo terso, in inverno porta freddo e bufere.
Lo stesso vento, in momenti diversi dell'annata, può essere un buon aiuto al lavoro, o piuttosto può rappresentare una lunga interruzione al lavoro da svolgere.
Il vento forte, quello che ti prende a ceffoni, e che fa davvero male, arriva in quei due o tre giorni di fila, e si scaglia contro la casa come a volerne testare ogni genere di resistenza.
Il vento, quello forte...ma forte davvero, quassù fa danni, si sbatacchia contro il fianco di un colle, e se ci si mette d'impegno lo spoglia di alberi e boschi.
Il vento in Montagna non manca mai.
La pioggia poi, quella arriva all'improvviso, talvolta con l'unico preavviso di un tuono, sordo e minaccioso, che lascia spazio ad un acquazzone.
Oppure la pioggia portata dalle nuvole basse, fine e bagnatissima, che s'appiccica addosso e pare volerti trapassare lo sterno: pioggia che non fa rumore questa, ma che bagna anche l'anima del povero Agricoltore.
La Neve, forse l'espressione più caratteristica del clima Montano.
Cornice ed attrice della vita di quota, che sia agricola o non.
La Neve spesso la si sente arrivare nell'odore dell'aria.
La Neve quasi sempre è annunciata da previsioni veritiere.
La Neve sempre arriva quando le pare, e rimane quanto le pare.
Tutto si deve fermare, almeno all'inizio, giusto il tempo di capire come procedere: potrebbe bastare ben poco per continuare la propria vita (in Montagna la Gente è attrezzata), oppure ci sarà da lavorare non poco per riuscire a combinare qualcosa (la Neve è faticosa da spostare), oppure di casa non si esce e...ed il tempo si può anche fermare (ci si adatta in montagna).

Delle decine di nevicate che ho vissuto in questi ultimi anni, ce ne sono state alcune che mi hanno permesso di continuare a lavorare, altre che mi hanno fatto faticare molto prima di riuscire ad arrivare al paese, ed alcune che...che mi hanno imposto do adattarmi, togliendomi la corrente elettrica (anche per lunghi periodi...giorni), bloccando la via di casa (e lasciandomi quindi isolato...ancora di più), e facendomi usare la neve stessa come unica risorsa idrica (anche per lunghi giorni).
Ma ci si deve far pace con questo: fa parte di questo luogo, è imprevedibile, e comanda sempre lui.
Il clima in Montagna, comanda sempre lui.
Ma come Agricoltore ci sono animali da accudire, lavori da terminare, scadenze che passano in secondo piano, e...fatica, fatica, ed enorme fatica.
Ci vorrebbe l'inchiostro di un'intera penna per scrivere quanto sia faticoso dover contrastare il clima.
E solo la bandiera bianca impugnata da ultimo può far capire all'Agricoltore che non si deve contrastare, ma ci si deve confrontare con il clima, consapevoli che sia Lui a vincere sempre e comunque.
Ed allora come si fa?
intanto ci si da pace, perchè se si sta bene nel petto, s'affronta meglio il tutto, perfino le avversità.
Oggi con un semplice telefono di possono consultare almeno dieci app di meteorologia, e quindi è bene tenersi aggiornati non soltanto dalla sera precedente, ma anche nel corso della giornata stessa, più e più volte.  Saper leggere barometro ed anemometro, conoscere venti e nuvole diverse, dar spazio all'olfatto che tanto ha da dirti anche sul clima, fermarsi ad osservare il comportamento degli animali selvatici (loro non hanno gli smartphone..eppure anticipano sempre).
Ma non sarà mai abbastanza, e l'incognita accompagnerà la vita anche dell'Agricoltore di Montagna.



mercoledì 4 maggio 2022

Agricoltura di Montagna, parte 3: la gente di montagna

Non importa quanto sia alta la Montagna, o quale che sia la regione.
Custodi.
La gente di montagna prima di tutto è fatta di Custodi.
Custodi di un territorio, Custodi di una tradizione, Custodi della Natura.
La gente di montagna ha la pelle dura, il volto scolpito, l'animo sincero, le mani laboriose, e spesso dosa le parole.
La gente di montagna ti osserva senza farti pensare che lo stia facendo, è cordiale, ha buon cuore, è rispettosa, ma non si concede mai tutto assieme.
La gente di montagna, temprata nell'animo e nel fisico, non si perde in chiacchiere superficiali, ma mira all'essenza delle cose.


Arrivare in montagna è stato un percorso lungo, tortuoso, spesso doloroso, ma liberatorio.
Quando si arriva in montagna, se per prima è l'aria fina e fresca ad accoglierci, è poi la bellezza a sovrastarci.
In montagna il bello lo si sente nel petto, diretto come un pugno, quasi a far male, salvo poi lasciare quell'indelebile sensazione di grandezza, apertura, ed innamoramento.
Le case, i villaggi, le vette, i pascoli, i boschi: tutto è diverso, in una unicità che solo in quota la si può ritrovare, quasi come incastonata e protetta dal resto del mondo.
L'accoglienza spesso inganna chi arriva: se è vero che nei centri turistici la gente è assai più avvezza al dialogo, e all'accoglienza, è nei piccoli borghi lontani dal traffico  e dalle consuete villeggiature che si può ancora ritrovare quella "resistenza" al forestiero dichiarata spesso in modo palese.
A volte ti danno la mano, ponendotela lentamente, quasi come a volerti studiare sino all'ultima frazione  di secondo prima di concedere quel contatto, e nei loro occhi passa la curiosità al pari della titubanza.
Alcune frasi che potrete sentirvi dire sono:
"Passa tanta gente qui d'estate, ma d'inverno siam rimasti in pochi, e tutti vecchi", oppure "non ci sono comodità qui, ed i giovani sono partiti tutti, da decenni" ed ancora "morti noi morirà il borgo".
Poche parole, dirette, a ribadire quei concetti che son cari a loro, e che è importante che chi arriva possa conoscere da subito.
L'inverno è duro, i rimasti sono i vecchi, le tradizioni rischiano di svanire.
Veniamo accolti da un monito che da subito deve metterci in guardia: in montagna le cose sono difficili, ed oggi le cose difficili non piacciono alle nuove generazioni.
L'isolamento, vissuto come un'abitudine, non è una drastica eventualità, ma un compagno di vita da sempre per la Gente di Montagna.
Non si sgomentano certo se c'è da spalare neve, o da rimanere serrati dentro l'uscio di casa: legna e vettovaglie non mancano mai.
Persone pronte, che sanno prevenire, seppur negli ultimi anni stiano subendo profondamente tutti i cambiamenti del clima.
Camminando per un villaggio e spesso possibile scorgere numerose case chiuse, talvolta anche in preda all'abbandono.
Le seconde case si popolano in estate, nelle vacanze natalizie e quelle pasquali, ma l'anno in montagna dura assai più giorni. di quelli delle vacanze.
Nel resto del tempo tanti sono i luoghi dove il latrare di un cane, piuttosto che il campano di una mucca, sono gli unici rumori che accompagnano quelli del vento, degli uccelli, della pioggia.
Oltre le mete sciistiche, oltre le perle annoverate nelle guide turistiche, oltre i luoghi di passaggio, o gli affacci sui siti da visitare ...oltre tutto questo c'è una montagna da scoprire, sempre con Rispetto.
Il Rispetto guida anche lo scambio sociale che il nuovo arrivato deve imparare: entrare in punta di piedi, senza eclatanze, e con la voglia di ascoltare nel tempo e nei dialetti del luogo.


L'approvvigionamento delle bottiglie d'acqua alla fonte, un sorriso e l'augurio di un buon giorno, la carezza data ad un cane, i complimenti per il balcone fiorito, un sorriso sincero: per quanto mi riguarda questi sono stati i miei primi passi quando ci trasferimmo.
La richiesta d'informazioni, e quella curiosità gentile e mai invadente, hanno poi fatto da motore a tutto il resto.
Io, che vivo lontano da tutto, non ho avuto fretta e smania nel presentarmi alla gente di qui, ed ogni volta che scendo al paese, o che passo nel borgo, trovo persone che mi salutano, mi appellano con nomignoli divertenti, e che mi chiedono del mio lavoro e della mia famiglia.
Come in un abbraccio lungo, a volte m'illudo di essere uno di loro.
"Ma rimarrai sempre un forestiero", prima detto in modo serio, oggi ribadito scherzando: ma a me la Montagna mi è entrata nel cuore, proprio come la sua Gente.