Taglio dell'erba per gli animali del podere

Taglio dell'erba per gli animali del podere

giovedì 14 dicembre 2023

Un tuffo nel Buio bianco: una storia sognata col cuore. Buon Natale

L'inverno era arrivato già da qualche giorno, ed in quel frangente della montagna il sole al mattino presto pareva aver ancora voglia di scaldare la terra cotta dal vento di tramontana.
L'erba aveva un colore spento, e se ne stava come pettinata lungo tutto il campo di fronte alla casa.
Fatta di grandi pietre chiare e tavole scure, quella piccola abitazione si ergeva isolata e dominante sulla vallata sottostante.
Le vette le facevano da corona, tutto attorno, ed i pascoli scoscesi ne amplificavano la solitudine.
Un mucchio di pietre, e poche assi, le travi ed il tetto di lastre piatte: tanto c'era voluto a costruirla decenni prima, quando una famiglia di esuli vi si era arrampicata per edificarci il proprio futuro.
Si raccontava che al tempo in cui quella famiglia silente salì sin lassù, lo fece per scappare da chissà quale angheria: i loro volti parevano scavati da sabbie lontane, e gli occhi erano vividi e timorosi; ampi mantelli coprivano i loro corpi, e raramente scendevano al paese per comprare poche cose. 
Di loro non si sapeva nulla,così diversi e distanti da quel luogo e da quelle tradizioni, eppure avevano un atteggiamento rispettoso e schivo; ma nel paese la popolazione non avanzava alcuna curiosità e tollerava quella convivenza fatta di attimi trascorsi all'emporio, e nulla di più.
Infatti poche volte  all'anno li vedevano, mentre percorrevano il lungo sentiero che scendeva dalla parte alta delle montagne. Li guardavano procedere in fila indiana, con le vesti dalla tinta unita e dai colori scuri. 
Nessuno riusciva a capire quanti fossero, e c'era chi supponeva che si trattasse di tre o più famiglie mentre altri sostenevano che ogni volta aumentassero di numero, quasi come a diventare una colonia nascosta chissà dove lassù.
Parlavano una lingua diversa, strana, non certo minacciosa, ma incomprensibile perfino al maestro della scuolina.
Avevano sorrisi sinceri, mani lucide e rugose, e strane cicatrici sul volto appena scoperto oltre quei tessuti che odoravano di essenze sconosciute ed esotiche.
Scendevano subito dopo il disgelo: magri, in quel poco che poteva esser dato a vedere, oltre quei bracciali colorati che accompagnavano i polsi scavati, ed il loro arrivo portava la primavera nel paese.
Durante l'estate poi scendevano per il grande mercato che si teneva nel paese di sotto, ancora più a valle: pellame di capra, carne essiccata, formaggi e pietre intarsiate e colorate, tutto barattato per qualche sacco di farina, utensili per cucire, qualche attrezzo per lavorare, e della frutta.
Con l'arrivo dell'autunno era l'ultima occasione per incontrarli, ed i bambini più curiosi si accostavano per toccarne le vesti o per rubare loro qualche sorriso: parevano felici di quella fanciullesca curiosità, e mai accennavano ad un disagio in quel contatto.
Ma una volta ritornati verso la montagna, i mormorii cessavano e le domande si placavano.
E così, anno dopo anno, senza che nessuno fosse curioso abbastanza da presentarsi, e senza che quelle genti che venivano di lontano sapessero chiedere oltre al titolare dell'emporio.
Nel paese tutti sapevano che lassù, tra le pietre e le capre, vivevano quelle strane persone, e guai a salire per conquistare qualche notizia.
L'equilibrio andò avanti, e passarono i decenni.
Nel paese la fontana continuava a buttare acqua fresca e sana, ed i vecchi erano morti, lasciando spazio ad altri vecchi, mentre i somari ed i muli sostavano sotto ai portoni delle case, in attesa del loro trasportare.
Ed anche quell'anno, appunto, l'inverno era arrivato già da qualche giorno.
Per le viuzze del paese predominava l'odore di camino e di stufa a legna, mentre dalle stalle le vacche erano al riparo ormai da tempo, il fieno ben stivato veniva consumato e le pannocchie arancioni davano sostentamento a quel paese così solo, da lì a poco: e iniziò a nevicare.
La neve cadeva copiosa, e quando iniziava non la smetteva per giorni.
Nevicava, quasi come a seppellire ogni traccia di vita, e solo quei cento e più comignoli fumanti dimostravano che le persone erano ancora lì.
La resilienza di un popolo di montagna la si vede proprio nell'inverno, e quel paese rimaneva così solo rispetto al resto del mondo, affidato alla sapienza autarchica di chi ce l'aveva sempre fatta, inverno dopo inverno, sapendo che quello era il prezzo per vivere in un pezzo di paradiso.
Le famiglie si stringevano attorno ai focolari, e settimana dopo settimana, era la polenta, il latte caldo e quel poco pane cotto nel forno a legna accanto ai lavatoi a dare energia per non soccombere.
E quell'inverno la neve cadde, ma cadde veramente, come neanche i più vecchi del paese ricordavano: gli uomini spalavano giorno dopo giorno, spingendo quanta più neve fosse possibile nella piazza della chiesa dove per l'occasione era stato scoperchiato il "tappo del cisternone", una grotta antica come il tempo, che da sempre veniva usata per fare scorta di neve, e quindi acqua, nei giorni in cui questa abbondava.
I bambini uscivano, senza avventurarsi troppo oltre gli usci delle case, e il chiacchiericcio si faceva più florido nei rari momenti di tregua dalla neve.
Tutti erano concentrati nel proprio vivere, e tutti sapevano esattamente cosa fare.
E la vita scorreva, come cullata da quei silenzi ripetuti, dal soffiare forte del vento oltre il campanile o per le vie più strette.
E col buio tornava sempre il silenzio.
Nessun cane che latrava, nessun ragliare o muggire dalle stalle, niente di niente, solo vento e silenzio, freddo, continuo.
E fu proprio in una di quelle notti fatte di silenzio, e vento, e freddo, che accadde qualcosa di inaspettato: la voce del parroco, quasi strozzata, che gridava all'aiuto degli uomini affinchè uscissero dalle loro case calde per prestargli aiuto.
Il parroco, la figura forse più importante in quella comunità; colui che conosceva tutti, e che da tutti era conosciuto, quella notte stava gridando con disperazione.
Qualche scuro si apri, a fatica trattenuto contro la furia del vento che pareva essersi impegnato più del solito, proprio per coprire quella richiesta di soccorso.
Scesero, tre uomini, coperti come meglio potevano e sapevano, tra i più forti e giovani, dotati di muscoli ed audacia, e corsero, anzi galleggiarono quasi in quella neve alta, lottando sin dai primi passi.
Il parroco continuava a gridare, senza tregua, quasi come a voler vincere contro la furia della natura, e non seppe placarsi neanche quando si trovò quegli uomini di fronte.
Lo afferrarono, e con grande fatica rientrarono nella chiesa, chiudendosi alle spalle il portone, e scrollandosi di dosso quel pesante manto di neve che tutti avevano portato come carico.
Il parroco sedeva sul bordo di una panca, con gli occhi fuori dalle orbite, tentando di riprendere fiato, mentre qualcuno gli scuoteva la neve dalla mantella e gli porgeva una fiaschetta con un qualche spirito corroborante.
Bevve, quasi come a dover respirare quel cordiale, e subito indicò la porta della sagrestia e lì si fece accompagnare.
Gli uomini scortarono il sacerdote, ed assieme scoprirono quell'immagine.
Una figura umana, di spalle, seduta a terra di fronte al caldo fiammante del camino, mentre teneva tra le braccia un altra figura umana, distesa quasi, entrambi ricoperti di pesanti mantelli scuri.
Gli uomini si discostarono dal parroco, e procedettero verso quelle due persone che tremanti lasciavano una pozza di neve sciolta tutta a loro attorno.
Era uno di quegli uomini esuli che vivevano su vicino alle montagne.
Non lo avevano mai visto così bene, e da così vicino, e con i suoi capelli scuri come la pece ed increspati catturò subito l'attenzione dei paesani che lì, impietriti, vivevano un misto di sconforto, curiosità e gioia.
Il prete si avvicinò e con voce forte, quasi come fosse ancora fuori nella tormenta, disse agli uomini che c'era bisogno del dottore, indicando la figura distesa.
Se il primo era un uomo, quella che aveva tra le sue braccia era una donna, bella come nessun uomo aveva mai visto, con lacrime che le rigavano il viso scuro, una profonda smorfia nelle labbra, e quegli occhi, diretti, che bucavano l'anima di chi la osservava.
Il prete si abbassò, abbassando anche il suo tono, e sfiorandole la pancia, scostando la prima delle tante vesti che cingevano il corpo della donna: una pancia, grande, che portava vita, mentre il parroco la sfiorava appena, quasi in lacrime, supplicando gli uomini giovani e forti di andare a chiedere aiuto al medico.
Gli uomini erano doppiamente increduli, assumendo un'espressione bambinesca: come era possibile che quell'uomo e quella donna fossero riusciti a scender già dalle montagne?
La via era certamente bloccata dalla neve, e la tormenta non poteva permettere la visione, lasciando perdere i punti di riferimento, e chissà dovendo affrontare quale inferno di freddo e pericoli per essere giunti sin lì.
Impossibile, anche al più temerario degli uomini di montagna; un suicidio a cui non si poteva scampare; un incubo anche solo pensare di affrontare tutto quello...e per giunta con una donna in quello stato, magari trasportata sulle spalle, o con qualche slitta improvvisata chissà come.
Le domande occupavano quegli uomini, mentre il calore riportava il colore sulle loro guance, e mentre l'uomo seduto stringeva la donna, quasi come a volerla proteggere anche da tutta quella curiosità.
Fu il più giovane del gruppo a farsi avanti, tenendo ancora lo sguardo incollato su quella pietà di coppia, e avanzando la proposta di esser lui da solo ad andare a chiamare il medico al paese di sotto, più a valle.
Un percorso pericoloso, a margine del burrone, oltre il bosco dei faggi, sino alla cascata, oltre il ponte: lì avrebbe trovato le prime case, ed avrebbe chiesto aiuto a qualcuno, magari al mugnaio, ed assieme sarebbero andati dal medico.
Gli altri uomini si fecero avanti, quasi come a non voler rimanere indietro, e spiegando al prete che ci sarebbero volute molte ore prima di ritornare con il medico.
Il prete si alzò, quasi come a benedire quel coraggio, e raccomandandosi che tornassero assieme tutti interi.
Una corda lunga e robusta, presa dal baule del sottoscala.
Lanterne a petrolio, cariche sino all'orlo.
Il parroco porse loro una preghiera, mentre gli uomini impavidi si passavano la fiaschetta per trovare ancora più energia prima di tuffarsi in quel buio bianco.
E questo li inghiottì,
Il buio bianco inghiottì i tre uomini.
Già oltre il portone della chiesa le lanterne assicuravano forse due spanne di flebile luce oltre la faccia, ma la memoria li avrebbe guidati: conoscevano la via, la percorrevano ogni sabato d'estate, quando scendevano al paese a valle per ballare al sabato sera.
Tutti, figli di madri ignare di tutto questo, magari fidanzati o forse già ammogliati, erano per la via, legati tra loro con la corda, passata attorno alla vita: tre lanterne percosse dal vento, il volto coperto da pesanti sciarpe di lana, ed i cappelli legati anch'essi con le medesime.
Procedevano a passi piccoli, dove a tratti la neve arrivava alle ginocchia, e dove a tratti ben oltre la vita.
Il freddo mordeva loro, membra ed ossa, ma la forza di volontà li spingeva come nessun vapore avrebbe saputo fare.
In fila indiana, col capo chino tentando di tagliare quella bufera, mentre la neve sembrava a tratti essere calda, se non addirittura bollente.
Procedevano a passi piccoli, sino a fermarsi di fronte all'aumentare del rimbombo del vento: erano vicini al burrone, e dovevano stare sulla sinistra, costeggiando, anzi sfiorando con le spalle le rocce che di li scendevano.
Il primo pensò che sarebbe stato meglio sbattere la testa nella parete rocciosa, che scivolare giù in quella voragine infinita.
Ebbero paura, è certo, ma ancor più lentamente, procedettero lungo la strada che tra il costone di pietra ed il salto, scivolava via.
Ebbero paura, è certo, ma non si dettero per vinti, neanche quando era la fronte a sbattere, o la spalla a graffiarsi per le rocce più appuntite che spuntavano dalla parete.
Ebbero paura, è certo, e quella strada non fu mai così lunga per loro, temerari, infreddoliti, con una corda e il ricordo di una via a tenerli in vita.
Ed ecco che la sagoma di un albero si palesò di fronte a loro, e poi un altro, ed un altro: erano oramai nella faggeta, e lì il vento pareva aver remore di quelle anime erranti, mentre la neve però aumentava, facendoli procedere tra balzi rallentati, ed un continuo affogare nel buio bianco.
Nessuno di loro si domandava più se ce l'avrebbero fatta, senza pentimento in quella decisione presa dentro alla chiesa, ma con la voglia di arrivare prima, per poter ritornare ancora prima che mai.
Il bosco ululava nelle orecchie, e le lanterne erano congelate, offrendo ancor meno lume rispetto a prima.
Un'ora, forse due erano passate, e non se ne rendevano conto, mentre le cinture di cuoio erano dure più della pietra, e segavano quasi in due la vita dei giovani.
Le dita dei piedi poi, di quelle non avevano più ricordo sin dai primi passi.
Il rumore adesso si faceva quasi insopportabile, ed i sibili aprivano ad un frastuono, come se mille grancasse stessero rotolando di fronte a loro.
La neve si fece dura, tagliente, e negli occhi portava dolore, mentre anche le lacrime congelavano, appesantendo il carico.
Era la cascata, impazzita, congelata e distrutta ad ogni folata di vento.
Ci passarono di fronte, pensando di dover attraversare un turbine di scaglie di drago, sentendo dolori nuovi, ma senza mai emetter un lamento o una imprecazione: quell'energia serviva loro, sino all'ultima goccia, e non la sprecavano neanche per dischiudere le loro bocche, serrate, quasi incollate.
Il capo basso, vicini, in fila, passo dopo passo, in quella notte infinita, e poi una pietra squadrata, un'altra, un muro: erano alle prime case del paese.
Bussarono con vigoria al portone del mugnaio.
Bussarono sino a far sanguinare le nocche, fasciate strette nella lana dura e tagliente.
Una luce che si accese, una finestra che si aprì, e la testa del grasso mugnaio che chiedeva chi fosse.
Fu loro aperto, e dato calore: una bevanda calda, una panca di fronte alla stufa di ferro rovente, mentre la moglie del mugnaio andava a svegliare i due figlioli.
A loro sarebbe toccato il testimone, e sarebbero loro andati a chiamare il medico: due perticoni, forti e robusti, abituati a muover balle di farina come se fossero mazzetti di mughetto.
Uscirono vestiti con pelli, ed il benessere di quella famiglia la si vedeva anche in questo: uscirono, nel buio bianco, inghiottiti mentre la madre si piazzava alla finestra, e di lì non si sarebbe mai più mossa sino al loro ritorno.
E mentre il tempo scorreva, tra il crepitio del fuoco in quella stufa grigia, ed il passeggiare nervoso del mugnaio, i giovani paesani svennero quasi per la stanchezza, sciogliendosi a poco a poco, e lasciando che Morfeo desse loro conforto prima della via del ritorno.
E passò almeno un'ora, mentre la notte ancora non voleva tacere.
Fu la madre dei due ragazzi a dare un sussulto, ed a correre verso l'uscio: lì entrarono i due, che come alfieri scortarono il medico infreddolito in quella su mantella verde.
I tre paesani si alzarono all'unisono, e raccontarono l'accaduto mentre il dottore si riscaldava con una tazza colma di tisana bollente.
I due perticoni si offrirono volontari di scortarli al paese di sopra, ma le implorazioni della madre intenerirono il cuore dei paesani, che non accettarono quell'aiuto, sicuri che all'indomani i due giovani figli del mugnaio avrebbero comunque ricevuto la loro dose di fama e gloria per quanto avessero già fatto.
Uscirono, legando il medico e tenendolo al centro della fila, facendo molte raccomandazioni, e legandogli al petto quella sua borsa tanto preziosa quanto fragile.
Si guardarono diritti negli occhi, senza aggiungere altro, e tutti si tuffarono nuovamente in quel percorso angusto, che questa volta sarebbe stato in salita.
Teste basse, ancora, col pensiero di non fare in tempo per aiutare quella madre e quel bambino.
teste basse, ancora, col pensiero di non aver fatto abbastanza.
E le loro gambe trovarono un vigore che non poteva essere raccontato: il cuore pareva scoppiargli nel petto, e quasi trascinavano il medico, stremato sin da subito, come a sollevarlo sulla neve, un pò trascinandolo, un pò spingendolo.
Un racconto che deve esser raccontato, senza sapere quanto tempo fosse trascorso, ma affrontando le scaglie taglienti rigettare dalla cascata, o nuotando come forsennati nella faggeta, sino a tenersi sulla destra lungo il burrone.
Passo dopo passo, lenti, senza dolore alcuno che potesse loro impedire il ritorno, assicurandosi che il medico non fosse svenuto e che la sua borsa fosse ancora legata al petto.
Il parroco era seduto di fronte al fuoco, osservando la danza delle fiamme, e sentendo il sonno che si voleva impadronire delle sue palpebre.
Lottava, tenendo il capo basso, quasi anch'egli dovesse alleggerire il vento freddo; le sue mani erano però calde, e le dita scorrevano su quel rosario.
Un colpo al portone della chiesa, un salto su quella sedia, e via la corsa ad aprire: e mentre il portone si muoveva, entrava vento e neve, e...luce.
Albeggiava, o forse era già passata quell'ora, e lui non ne aveva avuto consapevolezza, impegnato in quelle preghiere.
Le figure ricurve di uomini sfiniti entravano nella chiesa, e si scostarono tra di loro lasciando vedere che c'era anche il medico, protetto sino all'ultimo come la più preziosa delle cose.
Il prete afferrò il dottore per la mantella, scuotendo un cumulo di neve, e tirandolo a se per baciarlo in fronte: questi, paonazzo e rigido, aveva gli occhiali congelati, ma chiese subito di esser portato dalla donna, sperando che non fosse troppo tardi.
Entrando nella sacrestia lo sconforto assalì i paesani, vedendo che la donna giaceva quasi morente, e che il suo uomo fissava il vuoto, quasi come fosse altrove, stringendola al suo petto.
Il medico le si accosto, chiedendo all'uomo il permesso con lo guardo, e disse al parroco di far uscire quegli uomini e di riconsegnarli alle proprie famiglie.
Non volevano, certo che non volevano farlo, ma con rispetto eseguirono quella richiesta, intristiti, forse arrabbiati, per non aver fatto in tempo.
Uscirono dalla chiesa, ognuno dirigendosi verso il proprio uscio di casa, senza dire una parola, senza offrirsi a vicenda uno sguardo.
E venne il giorno, mentre la tregua dalla neve si presentò.
Si udirono nella piazza le voci di donne e uomini, ed il paese di sopra riprese vita.
Il ragliare di un asino, le grida di un bambino, e il rumore di tante pale che spostavano ancora la neve verso il cisternone di fronte alla chiesa.
Le persone parlarono dell'accaduto, ma nessuno voleva scoprire l'amara sorte di quella madre e del suo bambino.
Tutti guardavano a quel portone chiuso, mentre tra di loro si abbracciavano ed i bambini si riversavano nelle stradine per giocare felici.
Il sorriso di quel sole scaldò il cuore di tutti, come fossero mille giorni che il cielo non era così azzurro.
Il freddo pareva svanito quasi, e la gente parlava da finestra a finestra, con sorrisi e auguri.
Quando si aprì il portone scuro, tutti si fermarono trattenendo il respiro.
Si affacciò il parroco, stremato, sudato, coperto della sua mantella nera, e chiamando a gran voce il sagrestano.
E questo emerse da una qualche via, con una mantellina rossa tutta rattoppata, entrando a passo svelto nella chiesa.
Il parroco aprì quindi tutta l'anta del portone, facendo cenno di entrare alle persone che se ne stavano volutamente a distanza, quasi come a non volerlo disturbare.
E mentre faceva questo, dal campanine giunse il suono della campana, a segno che la chiamata dei fedeli era oramai ufficializzata.
Donne, uomini e bambini si fiondarono nelle proprie case, a mettersi mantelle e coprime, per poi uscire e recarsi nella chiesa.
Entravano, in silenzio, tutti in fila indiana, e si sedevano sulle panche mentre il prete aveva indossato l'abito talare e stava preparando l'altare.
Gli occhi di tutti lo seguivano, in quel suo muoversi come in una danza lenta, e nessuno avrebbe voluto sapere quel che invece di li a poco sarebbe stato costretto ad udire dalle parole del prete.
Questo incominciò, tenendo le dita incrociate, lo sguardo rivolto in alto, e dopo un colpo di tosse comunicò ai fedeli che quella madre era sopravvissuta, e che aveva dato alla luce un bambino.
Il silenzio fu rotto da mormorii, risate, qualche grido di gioia, mentre i giovani audaci che la notte precedente avevano rischiato le loro vite, iniziarono a piangere.
Piangevano, si, forti e robusti, piangevano, chi tra le braccia dell'anziana madre, chi sotto la carezza della moglie.
Un pianto liberatorio, condiviso da molti altri che di quell'avventura ne avevano solo sentito parlare poco prima di entrare in chiesa.
Un paese intero, con le sue generazioni, che si stringeva in quella notizia così gioiosa, mentre il medico si affacciava dalla porta della sagrestia, stanco ma soddisfatto.
Il parroco disse che quello era un giorno di doppia festa, e che i due genitori avevano deciso di chiamare il loro figlio con un nome che avrebbe per sempre ricordato a tutti, ed a lui per primo, il giorno in cui era venuto al mondo: Natale.
Natale, così venne chiamato quel bimbo bello come la vita stessa, con la pelle scura e le radici che affondavano già in quelle montagne.
Natale, il primo della sua famiglia ad esser nato e conosciuto sotto gli occhi di un paese intero, nell'abbraccio di un paese intero, con l'aiuto di chi un domani non lo avrebbe più guardato a distanza, ma lo avrebbe accolto dentro le proprie case e dentro i propri cuori.
E mentre quei due giovani genitori riposavano con loro primo figliolo, il Natale veniva festeggiato in quel paese, oltre quella cerimonia.
E molti altri natali sarebbero arrivati, anno dopo anno, lasciando che la carovana silente che scendeva dal sentiero dei monti facesse visita non solo all'emporio, ma alle famiglie che impararono ad aprire loro l'uscio di casa.
Ed i primi a salire in quella casina fatta di grandi pietre chiare e tavole scure furono proprio quegli uomini che si tuffarono nel buio bianco la notte della vigilia di Natale, per salvare quelle vite, senza far troppe domande.
La fratellanza può esser frutto di curiosità, di rispetto, di bisogno, di aiuto.
In quel paese di sopra, affacciato sulla valle, ci volle una vita nata tra le braccia di tutti per rendere questo possibile.


Questa è una piccola storia, sognata la notte scorsa, e qui scritta di getto per rimanere in qualche modo, a disposizione di quanti qui hanno avuto, hanno, ed avranno voglia di prendersi del tempo nella lettura.
Io la leggerò alla mia bimba...

A tutti voi Auguro un Buon Natale 

A.A.