Taglio dell'erba per gli animali del podere

Taglio dell'erba per gli animali del podere

sabato 23 dicembre 2017

Natale 2017

E' l'Antivigilia di Natale, un giorno così colmo di calore, aspettativa, irrequietudine e divertimento.
Il giorno in cui da bambino facevamo l'albero in casa con babbo e mamma.
Il giorno in cui, un pò come un venerdì sera, sapevo che mancava veramente poco a "quel momento" e già era aria di Festa, quella vera.
Il giorno in cui scrivevo la mia lettera a Babbo Natale, per poi affidarla (e dimenticarla) a quel cassetto della scrivania che tanto custodì dei miei sogni o pensieri più nascosti.
A trentotto anni suonati mi accingo a scriverla di nuovo, certo che questo accadrà ancora per molti anni (io spero).

Caro Babbo Natale,
trentotto ne son passati, e mentre il tempo pare disegnarsi sempre di più sulla mia faccia, io son ancora qui a scriverti parole di bimbo.
Il mio cuore è indubbiamente colmo della gioia più grande che potessi mai provare, ed è nel sorriso di mia figlia, ed in quello di sua madre, dei suoi nonni e dei suoi tanti zii, che io trovo alba e serenità.
Tutti i miei desideri sono per lei.

Tutto il mio tempo è per lei.
Tutta la mia forza è per lei.
Come potrei mai chiederti qualcosa per questo Natale?
Io ho ricevuto il Regalo più grande che la vita potesse darmi: l'ho aspettato tanto, è vero, ed anche per questo  ha il sapore più dolce ed i colori più caldi che mai.
Ricordo quando a sei anni, in quella mia prima letterina, ti chiesi un fratello: quel bisogno di Vita intorno a me era crescente, e negli anni ho rinnovato tale richiesta.

Un fratello non è mai arrivato, ma non mi è mancato niente dalla Vita: amore incondizionato, tempo, attenzioni, insegnamento, protezione, sprono, stimolo datomi da quella cerchia di affetti che tutt'intorno mi stavano facendo crescere.
A quindici anni quel "fratello" venuto dall'Est, e quella voglia di estate per poterci condividere almeno un mese della mia Vita.
La gioia di quel Natale assieme a lui fu uno dei regali più grandi che tu sapesti consegnarmi.
Qualche anno dopo la piccola T., e quel suo sorriso che tanto mi aprì il cuore, e tu sai quanti desideri ho avuto (e sempre avrò) per lei: ieri bimba sdentata che cantava le canzoni di Natale saltandomi sulle ginocchia; oggi giovane donna alle prese con le tribolazioni del cuore e la sua voglia di stare bene nel Mondo, e che anche dopodomani trascorrerà il Natale seduta di fronte a me tra sorrisi e pernacchie.
E qualche anno fa l'arrivo di quella Rospotta, sempre col broncio e mai in un gesto d'affetto, ed oggi esplosiva adolescente a cui so di mancare e con la quale trascorro i pochi momenti di stacco dal lavoro.
Affetti che in qualche modo anche tu hai contribuito a darmi, fondamentali per la mia vita, e così simili all'essermi fratelli, sorelle, o figlie.
Ma quest'anno tutto è cambiato, e quel senso di Crescita è stato definitivo.
Quest'anno ti scrivo come padre, desideroso di ogni bene per la propria figlia: oggi dorme nella sua culla, protetta e tranquilla, ma domani sarà ragazza pronta ad affrontare la Vita con le proprie passioni, le prime grandi delusioni e la determinazione che sò già che la contraddistingueranno.
Ogni mio pensiero, ogni mio desiderio è per lei, e son certo che anche questo Natale tu saprai ascoltarmi comprendendo quanto io desideri.
Che sia un Natale gioioso e sereno, per lei, e per tutti noi.
Che sia un Natale gioioso e sereno per te, che tanto avrai da fare.

Come sempre io ti aspetterò, nel silenzio della camera, con un orecchio rivolto a quella culla, ed uno a te che ti farai riconoscere quando sarai di fronte al camino.
Buon Natale,

tuo, nel tempo,
A.A.



Semmai vi prendesse voglia di leggere i miei desideri e pensieri per i Natali passati, qui troverete qualcosa che potrà farvi sorridere, riflettere, o magari anche solo annoiare.
Natale 2011
Natale 2012
Natale 2013
Natale 2014
Natale 2015
Natale 2016
Per questo Natale 2017 credo sia tutto: la giornata di festa trascorrerà, la cintola cederà un buco, la mia bimba sarà al centro di ogni attenzione, ed il calore sarà più alto e profondo che mai prima d'ora.
A tutti voi, che mi seguite fedeli da anni, a voi che mi seguite da poco, a quelli che lo fanno stando in silenzio, ed a quelli capitati qui per caso, ebbene a tutti voi faccio tre auguri: il primo, che possiate godere di tanti Natali durante l'arco di un singolo 'Anno; il secondo, che sappiate godere di ogni attimo con i vostri Cari; il terzo, che non perdiate mai la voglia di dare voce a quel bambino/a che sempre ha abitato e sempre abiterà dentro di voi, indipendentemente da quello che dichiarerà la vostra carta d'identità.
Che sia gioia e serenità.

BUON NATALE

sabato 16 dicembre 2017

Agrifoglio: albero protettore della vita per mia figlia

La Vita al Podere corre a più non posso.
E tra la stagione che è stata assai avversa, le complicazioni per raggiungere minime produzioni, la mancanza di manodopera per portare avanti i tanti lavori da fare, e l'impegno costante di mia moglie a fare la mamma di una splendida ed impegnativa lattante...tutto questo (e molto altro) mi hanno portato a rimanere indietro con molte cose.
Tra queste ce n'era una che mi pesava molto non aver fatto: scegliere una pianta per mia figlia.

E' tradizione per me dedicare una pianta a chi nasce e chi muore.
Tutto iniziò con ma morte di mio nonno paterno: lui è stato uno dei miei cari che mi ha sempre spinto verso la Natura, e spesso faceva dei gran discorsi sulla Vita, sulla morte, e sugli alberi custodi del ricordo o gli alberi protettori della vita.
"Quando muoio" mi diceva durante le nostre lunghe chiacchierate "vai alla macchia, in un posto dove siamo stati assieme, e prendi una piantina giovane, toglila dal terreno senza sciuparla, e rimettila in un posto che sappia ricordarti di me.  Ogni volta che avrai voglia di cercarmi, potrai trovarmi proprio lì."
Ero letteralmente innamorato di quelle parole, e fantasticavo sempre su quel momento tanto triste quanto solenne.
E come Natura insegna, quel momento arrivò, anni dopo, e proprio mentre avevo il desiderio di fermarmi per piangerlo, mi assentai dalla stanza mortuaria e mi diressi verso l'ultimo posto nella macchia dove l'anno precedente avevamo cercato funghi assieme.
Un piccolo leccio di circa mezza spanna, era proprio al centro di una piazzola che un tempo fu carbonaia.
Con zappino e mani tolsi la pianta dal terreno avendo cura di non sciuparne le radici, la riposi in un vecchio cappello di stoffa, e mi diressi in un luogo in cui so che l'avrei trovato spesso.
Mentre trapiantavo quella pianticella le parlavo, quasi come fosse un citofono con l'aldilà, e mi raccomandavo a mio nonno di non dimenticarsi di quella promessa.
Lui era ateo convinto, ma a suo malgrado era dotato di una spiritualità assai alta, e negli anni seppi ritrovarlo sempre sotto a quel leccio, oggi pianticella alta e fronduta.
Toccò poi a mio nonno materno, e l'iter fu il medesimo.
Poi mio suocero, e stesa cosa feci.
Tre alberi custodi del ricordo, messi in tre luoghi differenti, ai quali rivolgersi per lacrime e sorrisi, e nei quali ritrovare molto di coloro che furono (e rimarranno) indelebili nel cuore, ma talvolta rischiano di svanire nella mente.
Sempre senza spiegare niente a nessuno, sempre sapendo solo io dove poter trovare queste persone a me così care.
Sedersi di fronte a questi alberi riporta automaticamente alla mente quello che si pensava svanito, quasi come a rileggere poche righe di un vecchio libro, e ricordarlo poi tutto come se non fosse mai stato dimenticato.
Ma la Vita ha voluto che, per la prima volta, avessi l'opportunità di scegliere (e poi trapiantare) una pianta per qualcuno che era appena nato: mia figlia.
In questo caso l'albero ha un'importanza diversa: "Quando sarai babbo, allora dovrai scegliere molto bene la pianta per i tuoi figli. Una pianta che possa avere un forte significato, e che possa rappresentarli sempre."
Questa volta si trattava di un albero protettore della Vita.
Ma in quei giorni la mia testa andava a mille, ed il mio cuore ben più veloce...e lasciai trascorrere i primi giorni, e poi altri, e poi altri.
Pensavo e ripensavo alle parole di mio nonno.
Pensavo e ripensavo a quale pianta scegliere.
Doveva essere una pianta che le fungesse da augurio, da ricordo, e sopratutto da protezione.
Protezione...
In campagna la Magia è fusa nelle tradizioni, da sempre, e da sempre molte gesta sono dei veri e propri rituali.
Ecco che quella pianta doveva essere una "pianta magica", ma quale?
C'ho messo quasi quattro mesi, ed un pò me ne vergogno, ma poi ho scelto.
Conosco molte piante, e di queste spesso ne conosco significato ed potere magico.
Non sono un pazzo, ma sono solo un quasiquarantenne che ha ereditato parole e tradizioni, e che continua a tenere ben presente quanto abbia ereditato.
Ebbene, ragiona che ti ragiona, la mia scelta definitiva è poi stata la prima intuizione avuta in ospedale con mia figlia in braccio.
L'Agrifoglio.

L'agrifoglio è un arbusto tipico delle zone fresche, interne, spesso pedomontane o altocollinari.
E' una pianta che può crescere anche qualche metro in altezza, o allargarsi molto, ma comunque preferisce rimanere all'ombra, magari sotto le alte chiome di altri alberi, e svilupparsi (lentamente) in ampiezza.
E' una pianta che molte persone associano al Natale, e non a caso è per molti popoli europei la pianta associabile a Santa Claus, San Nicola, Papà Inverno e Babbo natale.
Una pianta che proprio nel periodo di fine dicembre, e quindi nel periodo natalizio, è generalmente accompagnata dalle sue caratteristiche bacche rosse, che tanto risaltano sul verde (o verde/bianco) delle sue foglie.
Le foglie poi, tanto arrotondate quanto appuntite, sono inconfondibili.
Una pianta che tutti conosciamo, ma che magari non tutti abbiamo la fortuna di poter vedere nascere spontanea nei boschi di fronte casa.
Io ho questa fortuna, ed anche se nel tempo gli agrifoglio sono sempre più rari, ne ho qualche pianta nel mio bosco, a tre minuti a piedi dall'uscio di casa mia.
Nonostante questo, ho deciso di comprarne una pianta in vivaio, proprio per non disturbare questa pianta che tanto amo ma che tanto pare essere sempre più introvabile in cattività.
Badate bene, ogni pianta che ho strappato al terreno, l'ho poi accuratamente trapiantata e debitamente curata, ed oggi è forte e sana: ma di lecci e querce qui ne ho a milioni, mentre di agrifoglio oramai solo 5 o 6 piante.
La decisione di acquistarla è stata semplice, mentre la riuscita di tale intento lo è stato meno.
Ho girato 6 vivai, in tre luoghi diversi (tra cui il capoluogo di provincia), e solo quando stavo iniziando ad arrendermi all'idea di non riuscire in questo, ne ho trovata una, bella, grande, robusta, con tante radici e tanto pane per lei.
Campeggia di fianco all'uscio di casa, ancora nel suo grande vaso, e lì resterà sin quando non deciderò dove metterla intorno alla casa.

Ma ecco perchè ho scelto l'Agrifoglio per mia figlia.
E' una pianta sempreverde, e questo le conferisce significato di LONGEVITA'.
...E da qui l'augurio che lei abbia una Vita Lunga.
E' una pianta che SCACCIA IL MALIGNO, proprio per la conformazione delle sue foglie con il margine spinoso.
...E da qui l'augurio che possa vivere una Vita nel bene, sempre.
E' una pianta che richiama all'AGGRESSIVITA', proprio perchè le sue foglie possono offendere, e non solo difendere.
...E da qui l'augurio che lei possa essere pronta, da brava leoncina quale è, a mordere la Vita nei momenti opportuni, senza aspettare di doversi difendere dopo aver ricevuto il colpo.
E' una pianta che richiama alla FORZA, proprio perchè come la maggior parte degli arbusti, concentra tutto il suo sviluppo aereo in spazi ristretti, e talvolta è intricata e resistente alle intemperie. ...E da qui l'augurio che lei sappia avere forza fisica, ma sopratutto forza morale, e che la possa accompagnare sempre nel Mondo che sarà.
E poi, è una pianta del territorio, AUTOCTONA, e quindi che ha tradizione nel tempo passato. 
...E da qui l'augurio che lei possa sempre ricordarsi da dove viene e che possa avere un senso di appartenenza verso la terra che l'ha accolta.
Ed infine, è appunto una PIANTA DEL NATALE, se non "LA" pianta del Natale (assieme al ginepro), che nella mia zona è, da secoli, simbolo delle festività pagane che seguono il solstizio d'inverno. Chi poteva, negli anni addietro, tagliava un ginepro e lo addobbava con fiocchi, candele, nastrini penzolanti. E così veniva festeggiato Il Ceppo (appunto la festa pagana associabile al Natale).
Ma i più poveri usavano mettere in casa un ramoscello di Agrifoglio, che col suo rosso benaugurale, portava comunque sorrisi e fortuna nelle case.
...E da qui l'augurio che lei possa sempre godere del Natale come Punto di passaggio tra il vecchio ed il nuovo, e che possa festeggiarlo con gioia proprio come il suo babbo le insegnerà a fare negli anni a venire.
L'Agrifoglio quindi, pianta magica che le ricorderà chi è, da dove viene, e che saprà proteggerla e riportala alla Festa ogni volta che lei vorrà.
Devo solo decidere dove trapiantarla, ma per adesso rimarrà proprio lì, ben accanto all'uscio del podere, a fungere da scudo, e ad annunciare il Natale.













martedì 5 dicembre 2017

Quel bisogno che ha anche l'Agricoltore Anacronistico

Parlare.
Parlare per poter stare in silenzio, per tacere tra le troppe parole.
Parlare per sentito dire, cavalcando un'eco senza tappe né meta.
Parlare senza sentire, sfuggendo il suono che fu proprio, già svanente nell'aria.
Parlare, convintamente ed ostinatamente, contro un muro che non ti sa ascoltare.
Parlare alla Terra, per poi sedersi senza risposta, e trovarne mille di lì a poco.
Parlare al vento, che ti schiaffeggia solo per poterti scansare, carico delle chissà quante parole altrui.
Parlare al camino, che fa luce tra la ragione ed il sonno, mentre la bocca rallenta.
Parlare nel pozzo, sfiorando il buio ovattato per ritrovarsi sul fondo più piccini, come a voler tornare indietro.
Parlare, per continuare a parlare a quell'albero che m'ascolta senza muover fronda.
Parlare a quel cane che, silente, non ha bisogno di voce per parlare a me.

Son tante le parole da dire.
Son tanti i modi di farlo.

lunedì 13 novembre 2017

La Vita al Podere raccontata durante una notte piovosa

Mentre me ne sto qui ad aspettare la "Sciabolata Artica", al termine di una domenica uggiosa, e prima di un Lunedì frenetico, ho deciso di scrivere due righe nel mio angolino.
Il camino tira, e tengo il vetro frontale abbassato perchè la ginestra ed il castagno schizzano lapilli, e bruciare le tutine dell'Erede non mi parrebbe la cosa più appropriata.
Lo stendino infatti è stracolmo di pezzetti e pezzettini colorati, parrebbe a prima vista un gran bambolame, ed invece sono i panni di Lei che ha più cambi d'abito che una presentatrice al festival di San Remo.
Il vecchio cane, oramai convinto della sua felicità nell'essere sordo, che ogni sera mi guarda scodinzlando mentre l'Erede emette acuti non di questa terra (e mentre io e la sua mamma facciamo smorfie di dolore tentando di consolarla), e che pare ridermi in faccia, felice...il vecchio cane, appunto, se la dorme sotto al camino, sotto allo stendino, e magari vorrebbe anche una copertina: che vitaccia la sua.
Fuori piove, ed è piacevole sentire la pioggia che bussa sul tetto: per me una ninnananna naturale tra le più belle e romantiche.
Tre coperte di lana su di un lettino improvvisato, ed una notte da passare lontano da loro: quest'influenza non voglio proprio attaccargliela, e quindi mi sono ritirato nello studiolo, con tanto di radiolina accesa per sentire la bimba e la mamma.
Appurato che un pò di magone possa starci, penso al Podere, ed alle cose che stanno accadendo.
Nella stalla oramai il becco dovrebbe aver terminato "il suo lavoro", che a quanto pare porta avanti da luglio, rendendoci sempre tutti tanto partecipi delle sue gioie...(vi lascio immaginare cosa voglia dire avere la stalla sotto casa e visibile da tutti quelli che vengono a trovare l'Erede).
I polli, che non depongono da almeno un mese e mezzo, stanno pensando solo ad ingrassare e nulla più, scordandosi di essere della razza Livorno, e quindi soltanto delle Ovaiole...
Nell'orto le piante di peperone sono state sradicate, e presto la stessa soste toccherà alle melanzane che ancora azzardano con assurde fioriture.
L'ultima colta dell'orto, di stampo estivo, è stata fatta la scorsa settimana, con gli ultimissimi (e durissimi) pomodori rossastri, un paio di zucchini fiorentini e qualche melanzana: ma adesso inizierà il periodo di magra, a base di radicchio, bietola, cavolo e finocchio.  E via così sino alla prossima estate.
La vigna sta finalmente perdendo le foglie, e la lavorazione che le ho fatto la scorsa settimana l'ha salvata da sicuri allagamenti: si beve la pioggia che scende, e bene così.
Gli olivi invece, croce e delizia del sottoscritto, hanno avuto un'annata nettamente scarsa, con olive appassite o comunque raggrinzite: la scelta di non cogliere è stata assai logorata.
Ma, delle 180 piante circa che ci sono, forse solamente 35 avevano olive, ma le quantità di frutto sulla pianta oscillavano dai 5 kili (su qualche vecchio ed altissimo Moraiolo) sino ai pochi ettogrammi in alcuni Leccino.
Mi ci son messo, e c'ho ragionato tanto, ed alla fine ho deciso di non vendere l'olio che mi è avanzato dello scorso anno, e di usarlo nel prossimo venturo.
Per cogliere quelle poche olive, ed arrivare alla franta minima di 5 quintali di frutto, mi ci sarebbero voluti 10 giorni: tempo in cui l'oliva, oltre a rinsecchire, si sarebbe deteriorata, facendo partire fermentazioni indesiderate nelle cassette.  E quello che senza dubbio sarebbe stato un olio grasso e non certo delle migliori annate, avrebbe presentato anche difetti.
Le rese al frantoio sono state delle più disparate: dalla resa del 20% sino alla resa del 5%, e l'azzardo mi sarebbe pesato ancora di più, rischiando di beccare una resa assai bassa.
E poi...non ce la facevo, inutile girarci intorno: tra la cantina, il trattore, gli animali, la legna, la burocrazia, proprio non ce l'avrei fatta a cogliere.
Le castagne poi, evitiamo di parlarne: nemmeno una ne ho assaggiata... (e son 4 anni che va così).
Il Cinipide, bastardissimo sin dentro l'anima sua e di chi ce lo ha portato in italia, mi ha decimato circa il 70% delle piante, e la spesa per lanciare l'antagonista che lo debelli nel giro di qualche anno, è per me molto MOLTO alta.
Ergo: mi mangio il fegato, chiudo gli occhi, ed aspetto che grazie ai lanci di antagonista fatti da altri produttori possa calare l'attacco di questo schifosissimo insetto della malora.
Ho seminato un campo di trifoglio, a mano, e questo ha finalmente bevuto la sua prima acqua...dopo quasi un mese: mi chiedo semmai nascerà qualcosa, e me la rido pensando ai soldi spesi per quel seme tanto costoso.
Soldi, soldi, soldi...
Non sono tanto Anacronistico a parlare di soldi, vero?
Ma vi assicuro che questo 2017 è stata la peggior annata agricola della mia vita, tosta e stronza sino all'ultimo.
Le api, mitiche, hanno fatto un pò di miele, e di cinque alveari (e quindi 5 relativi melari), siamo riusciti udite udite a fare forse 7 kilogrammi di miele.
Guai a lamentarsi!
Considerando che una buona parte è rimasto cristallizzato nelle celle (quello di edera), quello che ne abbiamo tirato fuori (comunque con fatica) è quello che rimane del miele tardo estivo.
Lo ripeto: guai a lamentarsi, visto che avremo forse giusto il miele per il nostro sostentamento.
E mentre i cavalli sono nei box, ed il pascolo è da terminare di recintare, penso al frutteto, o piuttosto a quello che ne rimane, e mi auguro di avere tempo e forza per rimpiazzare una parte delle fallanze proprio entro la fine di questo mese. Pioggia e freddo permettendo.
Altrimenti andrò a Marzo, con un nuovo azzardo.
La legna presto sarà nuovamente da segare, e questa volta mi farò aiutare da babbo e da mio cugino: vediamo se fra tutti, con la ricompensa di un bel pranzo calorico, riuscirò a mantenermi le stive cariche di legna pronta per essere arsa.
Magari questo inverno sarà pure freddo, chissa...
...magari!
Fuori continua a piovere, e si son fatte quasi le tre, e tra tre ore e mezzo sarò in piedi, quindi meglio chiudo qui questo aggiornamento della vita al Podere.
Nella camerona da letto madre e figlia dormono beate, ed i caloriferi mandano un gradevole tempore frutto della legna di cui sopra.
Il cane e la gatta russano, l'uno nella medesima posizione, e l'altra sul divano appallottolata quasi come fosse un riccio.
Il vento sta aumentando, ed in casa c'è odore di mela cotta.
Oggi mia moglie ne ha fatte una cassetta, di quelle dell'albero di fronte alla cucina, cotte a vapore, frullate, ed invasettate.  Io ho concluso l'opera stringendo i barattoli, fasciandoli, e sterilizzandoli nel pentolone.
Mi sa proprio che tra non molto l'Erede inizierà lo svezzamento, ed allora è bene portarsi avanti: mela cotta frullata stivata in cantina e pronta.
Quanto mi piace tutto questo...


venerdì 13 ottobre 2017

Il Grande Caldo

Ha mani dalle dita lunghe, lunghissime.
Ricordo l'ultimo febbraio, piovoso, senza gelo e neve, con temperature di molto sopra la media del periodo.
Un marzo dove, durante l'impianto del frutteto, stavamo in manica di camicia, ed il sole era piacevole ed anche uggioso.
Ricordo nitidamente un aprile, caldo dapprima, bastardo poi con quella gelata A SORPRESA, che mi bruciò così tanto, salvo poi tornare subito al calore.
Maggio, fatto di continue annaffiature, col fieno asciutto, poco, misero, l'erba già ingiallita, le piante sofferenti, e gli ulivi che bruciavano la mignola.
E poi un giugno micidiale, dove pareva che il solleone si fosse veramente incaxxato contro tutto e tutti.
Un luglio desolante, con le querce che ingiallivano, le viti che lasciavano appassire l'uva non ancora invaiata, l'orto che arrancava, la testa che faceva sempre male.
Agosto, mattoni che piombavano dal cielo, la campagna impraticabile, la morte sotto gli occhi, infinito, maledetto.
Settembre, falso, che prima c'ha dato l'abbocco facendoci sperare nella stagione "buona e giusta", addirittura con nottate fresche, ed il camino acceso nella goduria generale, ma che poi è concluso in un caldo schifoso, assurdo, e tanto stupido.
E adesso...
E adesso queste dita maledettamente lunghe hanno toccato anche il mese di Ottobre, con un'"ottobrata" come non la si sentiva e vedeva da anni.
A maniche corte, alle 9 di sera, in casa con il camino spento, e 18 gradi tra i muri: una follia.
La macchia è asciutta, arida, neanche mezzo fungo, le castagne sono piccolissime, indietro, le ghiande manco a trovarne una.
Non piove, e se piove lo fa per pochissimo tempo, salvo poi essere più caldo di prima.
Accendo il fuoco, a sere alterne, ma giusto per volermi sentire in autunno, non certo per la necessità.
E' caldo, un Grande Caldo, che continua.

sabato 30 settembre 2017

Il Cavallone invenduto

Quando ero bimbo non mi immaginavo mai con un cavallo.
Pensavo ad altri animali, asino e capre su tutti, ma mai ad un cavallo.
Non so perchè, ma associavo il cavallo come ad un animale snob, da ricconi che andavano al maneggio a trascorrere domeniche all'aria aperta.
L'equitazione in generale la vedevo come qualcosa di "lontano" dall'Agricoltura, e quei caschetti e stivaletti neri proprio nulla c'entravano con la stalla delle vacche, o il castro dei maiali.
Ero un bimbo, con tanta immaginazione ma anche con tanti limiti.
Crescendo ho comunque avuto sempre una discreta "distanza" tra me ed il cavallo: MAI per paura, ma semplicemente perchè non ne ero interessato.
Piuttosto che cavalcare un Maremmano, da ragazzo avrei preferito una bella moto Husqvarna... magari a quattro tempi, e continuavo a non sentirmi vicino a chi trascorreva interi pomeriggi a perimetrare staccionate di legno, o a strigliare quegli animali tanto grandi.
Poi, quando si diventa uomo, molto cambia, ed ho accostato il cavallo al tiro: all'epoca non c'erano schiere di animalisti che demonizzavano questa cosa, ma piuttosto schiere di ambientalisti che auspicavano un ritorno al lavoro pulito (e quindi privo di trattori e macchinari agricoli).
Ecco che il cavallo entrò nei miei pensieri, e nel progetto del Podere era previsto questo grosso animale, sempre e comunque legato al lavoro del tiro (che si trattasse di un carretto, di un carro o di un aratro).
Poi, coinvolto dall'irrefrenabile passione di una mia cara parente, lasciai che fosse mia moglie ad appassionarsi per prima, e di lì a poco prendemmo la vecchia cavallina che ancora ci delizia con la sua simpatica mole ed il suo caratteruccio niente male.
Lei, mia moglie, amava cavalcare, ma presto si ritrovò in solitudine in questa attività poichè la giovane parente appassionata era divenuta ben più brava ed ambiziosa.
Cedetti, come spesso cede un Uomo, e mi lasciai convincere che era arrivato il momento per portare al podere anche un mio cavallo.
Uno bello grosso, s'intende che doveva reggere la mia stazza, e sopratutto essere pronto al "tiro".
Molti mesi passarono e spesso la ricerca ricadeva sui CAI TPR (Cavallo Agricolo Italiano da Tiro Pesante Rapido): ma il loro era un sangue freddo "a metà", e di tanto in tanto tendevano a matteggiare un poco, mentre io desideravo un cavallo stabile, molto stabile, che potesse essere imperturbabile e con il minimo libero arbitrio.
Immaginatevi un cavallone di 900kg che, mentre sei nella vigna a scavallare le viti, si fa prendere dalle "ruzze" e di estirpa mezzo filare...
Per me ci voleva un cavallo del nord Europa, e così riuscii a trovare.
Un bel cavallone francese, con uno zoccolo grande come la mia testa, posato, attento ai mie comandi, reattivo al momento giusto.
Portato al Podere, imparammo assieme a lavorare, e la sua forza era impressionante.
Lo sellai appena due volte, e solo per tragitti non superiori ai 100 metri: io preferivo stare accanto, o dietro, al cavallo, piuttosto che starci sopra.
Non sarei mai stato un cavaliere.
Sarei stato un Agricoltore che lavorava ANCHE con il suo cavallo da lavoro.
Ma gli impegni aumentarono, arrivarono le api, arrivarono più campi da lavorare, e la forza lavoro intorno a me si assottigliò in modo inversamente proporzionale.
Il cavallo, assieme alla vecchia e bisbetica cavalla, aveva il compito di tenere pulita l'uliveta, di mangiare il fieno buono, e di fare tanta cacca.
Quando passavo a salutarlo, questo s'allungava sempre oltre la staccionata a cercarmi la mano e a darmi una testata.
Poi è arrivato il 2017, l'anno della catarsi.
Durante questo anno ho dovuto rimettere in discussione tutto, più volte, e più volte mi sono peritato al fine di assicurare un qualche mantenimento alle mie abitudini ed a quelle del Podere.
Un giorno, mentre ero a lavoro nella vigna, sono svenuto sotto al sole cuocente, e nel riavermi ho provato un forte senso di solitudine: non potevo più sostenere tutto questo da solo, sopratutto in un'annata così avversa e complicata come quella in corso.
Ma come fare a ridurre il lavoro?
Ho fatto una lista, che poi ho rigorosamente cancellato, azzerato e ricreato di sana pianta, perlomeno 10 volte, e perlomeno per tutte quelle 10 volte c'era una voce con su scritto "Cavallo???".
Essere razionale troppo spesso fa a cazzotti con l'essere sentimentale, ed io quel cavallone non volevo proprio allontanarlo dal mio quotidiano.
Ma da qualche parte dovevo pur rifarmi: tolti i terreni in affitto, delegata la fienagione al terzista, turnati (ancor di più) i campi da lavorare...questo non bastava.
Un giorno, proprio parlando con la parente appassionata di cavalli, comunicai la decisione in famiglia, lasciando tristi molte persone (me per primo...).
Avrei venduto il cavallo.
Io, che avevo mercanteggiato un pò con tutto, che avesse zampe o ruote, un cavallo non lo avevo mai mercanteggiato.
La parente appassionata decise di aiutarmi, e puntualmente mi portò il primo potenziale cliente.
Lui, il potenziale cliente, era uno di quelli bravi, ed ancor di più era convinto di essere bravo, cosa assai complicata quando dall'altra parte c'è uno che come me di cavalli ci capisce poco.
Arrivò, a fatica un saluto, si fiondò nel recinto, scosse la testa, palpò il cavallo, scosse la testa, mi chiese una cavezza, poi una longhina, aprì il recinto, non gli guardò gli zoccoli, non gli guardò la bocca, ma mi disse che è sporco di fango (due giorni prima era piovuto).
Lì capii che forse lui, che certamente era più bravo di me i tema di cavalli, di quel cavallo avrebbe apprezzato ben poco, quindi non ci girai troppo intorno e gli chiesi una cifra importante: lui era disposto a darmi 1/5, magari anche facendomela cadere dall'alto.
Sorrisi, lui si fece serio, chiaramente la trattativa era terminata, lui mi disse che a quella cifra io non lo avrei mai venduto, io gli dissi che per meno di quella cifra non mi sarebbe pesato di continuare a tenerlo, lui se ne andò senza neanche una stretta di mano, sorrisi e comunque lo ringraziai.
La sua auto sfrecciò tra la polvere oltre il piazzale, io guardai il cavallone che a capo basso stava vaporizzando le erbette fresche attorno alla staccionata.
Da quel giorno quel bel cavallone continua sereno e felice la sua vita al Podere, continuando a mangiare fieno buono, a tenere pulita l'uliveta, ed a fare un mare di cacca.
Semmai dovessi cadere in disgrazia lo regalerei, ma mai lo svenderei a nessuno, mai.
...
C'è una morale in questa storia?
Io non lo so, ma so che continuo a non sapermi alleggerire nel lavoro.

venerdì 22 settembre 2017

Avrei potuto dirlo in tanti modi...

Avrei potuto dirlo in tanti modi...
...magari raccontandolo con un'altra storia, oppure affidando le mie parole alla cronaca, o magari inserendo 2000000 foto.
Avrei potuto scrivere questo post quasi un mese fa, oppure avrei potuto tacere per sempre su questo.
Avrei...
...ma io qui metto pensieri e vita dell'Agricoltore quale sono, e per come sono Pensieri e Vita cerco di raccontarli a modo mio.
Quindi, ecco: io sono Padre.
Io sono Padre, mia moglie è Madre, i miei genitori sono Nonni, e la mia Nonna è Bis Nonna...
...ed ancora, io sono Padre...
La mia Vita si è sdoppiata, in un istante, e s'è raddoppiato quel cuore che credevo mai avrebbe potuto/saputo/voluto amare un altra donna: ma nel momento che ho visto mia figlia, proprio in quell'esatto momento, cielo e terra si sono ribaltate, portandomi ad affogare le tristezze in una fonte di lacrime che esisteva da 38 lunghi anni.
Il bimbo e l'uomo si sono tenuti per mano, e l'Amore dei miei genitori s'è fatto di ferro e cristallo nelle mie mani.
Io non lo so spiegare a parole, ma è stato come morire e nascere per la prima volta, con un cuore nuovo che batte solo per Lei.
Mia moglie, bella oltre ogni bellezza, é rinata in un sorriso che sapeva di "sempre".
Il sapore della felicità e salato e dolce, e non si può spiegare se non con un palmo della mano che trema, la voce che scivola sotto le vesti, gli occhi che si aprono al nuovo, e la voglia di fare che si moltiplica.
Io sono Padre, ed è come comprendere qualcosa di incomprensibile che ti è sempre stato narrato, ma che non potrai mai narrare per quello che realmente è.


lunedì 7 agosto 2017

storia di podere: la nana muta ostinata

Ci sono storie Semplici, che sono direttamente narrate dalla Vita al Podere.
Storie che narrano di un quotidiano visibile all'Agricoltore, e che riescono sempre a stupirlo.
Storie che hanno, all'interno della loro modestia, le più grandi e sorprendenti emozioni legate alla Vita.
Storie che inteneriscono, storie che fanno sorridere, storie che tolgono la parola, storie che danno vantaggio alla lacrima.
Una di queste è quella de La nana muta ostinata.
Non avendo un bimbo a cui raccontarla, per adesso la affido a questo angolino di mondo, sperando che magari qualcuno la possa pigliare in prestito per raccontarla al proprio un bimbo di casa.


"Al Podere erano tanti gli animali, e tutti vivevano le proprie vite legati tra di loro, ma ognuno con i propri ruoli.
Loro non parlavano la lingua dell'Agricoltore, ma da lui si facevano intendere ugualmente, reclamando le sue attenzioni o allontanandolo quando questo era inopportuno.
Vivevano la notte ed il giorno, passando dai sussurri ed i silenzi  del buio, ai suoni e rumori fatti sotto il cielo che si colorava del mattino.
Nel loro risveglio l'Agricoltore ritrovava il proprio risveglio, ed erano loro che gli comunicavano il trascorrere delle ore e che tipo di giornata sarebbe stata di lì a poco .
I due galli iniziavano a competere, cantando la propria gloria e autorità, almeno un'ora prima che il sole sorgesse. Grazie a loro l'Agricoltore, che ancora rimaneva al comodo del suo letto, sapeva quanto gli rimanesse prima della levata mattutina.
Era poi il turno delle galline, che come il sole spicchiava dietro alla collina, iniziavano i propri fraseggi competendo tra di loro tra chi più alto poteva sostenere la propria voce. Esse non si davano pace, e continuavano, sempre sovrastate dai due galli, sino a che l'Agricoltore non apriva loro la porta del pollaio, debitamente chiusa ogni notte per preservarle dalla faina, dalla volpe e dalla martora.
A quel punto queste uscivano, compiendo il rituale del giro del pollaio, come a cercare qualche cibaria nascosta alla sera precedente, o come a controllare il perimetro di quella casa che tanto sapeva proteggerle.
Proprio mentre era ancora nel pollaio, era il tacchino a farsi sentire, ma sempre dopo che l'Agricoltore aveva aperto il varco verso l'esterno dei giacigli notturni: sbatteva le ali per sgranchirsi un pò, ed iniziava quel gloglottio ripetitivo che subito attirava l'attenzione delle tortore appollaiate sul ramo del vicino cipresso.
Un dialogo vero e proprio, tra quel grosso pennuto così attaccato al terreno, e quelle leggiadre creature avana che a quanto pare avevano molto da dirgli ogni mattino.
Anche i piccioni della voliera iniziavano i propri dialoghi, poi toccava ai pulcini che sortivano dal piumaggio di mamma chioccia ed avviavano i propri coretto, e poi era la volta delle due papere: quest'ultime non si sarebbero chetate sino al tramonto, accompagnando ogni loro movimento da quel continuo chiacchiericcio che tanto faceva da sottofondo ai suoni del Podere.
Un vero e proprio mercato, con un'esplosione di suoni differenti e legati tra di loro, tanto da creare una vera e propria armonia.
Mentre dalla stalla veniva reclamata l'attenzione dell'Agricoltore, tra i vocalizzi dei capretti, ed i belati delle madri che attendevano l'uscita al pascolo, una mattina l'Agricoltore si accorse che la Nana Muta non era nel gruppo dei pennuti.
Lei, con quel suo pigolare afono e sussurrato, era rimpiattata in un angolo del pollaio, accucciata su se stessa, gonfia e vigile.
L'Agricoltore pensò che si fosse ferita durante la notte, e tendendo la mano per toccarla fu colpito da un beccotto d'avvertimento.
Controllando meglio non vide nulla di strano, e lasciò che questa continuasse a rimanere in disparte, passando poi alla stalla dove era reclamato anche dal Becco che brandiva le corna contro la parete della stalla e belava facendo eco nell'orto dietro casa.
L'Agricoltore, uscito dalla stalla dopo aver ripulito e governato le proprie capre, si fermava sempre qualche istante ad ascoltarle in quel loro mugolare di piacere, mentre con le bocche piene di fieno buono, parevano sottolineare quanto piacesse loro quella colazione così abbondante e saporita.
Era poi la volta della cagna nera, che saltellante intorno all'uomo, non lo aveva mai abbandonato un attimo: quel tozzo di pane secco era il premio mattutino per essergli stata accanto senza far danni, ed al momento che lo riceveva guaiva abbassando il capo in un gesto di profonda gratitudine.
I gatti, immancabili anche loro nell'aia al momento dell'uscita dall'uscio di casa, seguivano assai in disparte l'Agricoltore, salvo avvicinarsi solo al momento delle coccole alla cagna nera, accennando un tentennio di fusa, e qualche miagolio discreto di accompagnamento.
Dalla grandezza delle loro pance l'Agricoltore poteva intendere se avessero fatto una buona caccia notturna, o se fosse necessario integrare con qualche bocconcino preso dal rimasuglio della cena precedente.
Era così che avveniva, più o meno tutte le mattine, oramai da tanto tempo, e quei suoni, quei rumori, e quelle musiche condivano le ore dell'Agricoltore durante il suo lavorare.
Alla sera poi si ripeteva un nuovo rituale, fatto di movimenti, percorsi, suoni.
Prima del tramonto, qualche che fosse il periodo dell'anno, l'Agricoltore aveva da percorrere il medesimo lavoro della mattina.
Nella stalla delle capre, offrendo loro l'ultimo pascolo, mentre riempiva le loro mangiatoie per la notte.
I secchi d'acqua da ricolmare, le chiusure da controllare, e poi quei fischi bitonali, che facevano drizzare le orecchie alle capre, e davano loro l'avvio al rientro nella piccola stalla di legno.
I bubboli che dondolanti scampanellavano, segnavano l'avvicinamento degli animali che, sempre in fila indiana, e sempre secondo le proprie gerarchie, rientravano in stalla per il pasto serale.
Salvo i periodi di mungitura, in cui si sommavano i mugolii delle femmine durante la munta, erano ancora le capre al desinare a mugolare compiaciute per quel buon fieno che anche alla sera avevano trovato in stalla.
Di lì a poco solo qualche scampanellio avrebbe rotto il silenzio della notte, magari durante una grattata o le coccole di una madre ai piccoli.
Le galline, asserragliate di fronte alla porta del recinto, fissavano ogni movimento dell'Agricoltore in quell'intercedere durante l'avvicinamento a loro, e lasciavano dondolare le proprie teste sul ritmo del dondolio del secchio tenuto serrato nella sua mano. Lì dentro infatti c'erano le granaglie ed il pastone che costituivano il pasto unico della giornata, tanto ambito sopratutto nei periodi di magra al pascolo.
Un silenzio di tomba, tutte fisse come a sbarragli la strada qualora il secchio fosse rimasto fuori dal recinto durante il suo passaggio, ma non appena l'Agricoltore se lo tirava dietro, queste lasciavano lui il giusto passaggio per potersi recare dentro al pollaio.
Prima i pulcini, che saltellavano ovunque, pigolando a squarciagola mentre la chioccia ripeteva il suo richiamo a favore del trogolino oramai colmo di semi e semini.
Per secondi i piccioni, tutti sui trespoli, a fissarlo mentre lui cambiava loro l'acqua da bere e riempiva i trogolini. Nemmeno un sussurro, impietriti quasi da quei movimenti che erano preludio del loro desinare.
E poi l'attenzione quella sera cadde sulla solita nana muta, ancora accovacciata ed ancora attenta a segnalare la propria presenza.
L'Agricoltore si inginocchiò di fronte a lei, rassicurandola con un richiamo sussurrato, ed avvicinando lentamente la propria mano a favore del dorso bianco.
Lei, perchè si trattava di una femmina, viveva con l'Agricoltore oramai da molti anni, sette per l'esattezza, ed aveva una storia triste che l'Agricoltore non mancava mai di raccontare.
Ricevuta in regalo assieme ad un maschio, ed ad una coppia di quelle due papere bianche che mai si chetavano, questo regalo era stato destinato al pollaio assieme agli altri pennuti, vista l'abbondanza di spazio e pascolo a loro disposizione.
La coppia di nane mute (Il Nanone e la Nana) viveva piuttosto in disparte, ed aveva i propri angoli preferiti sotto ad un grande lauro o ad un pero selvatico.
Sempre lui avanti, a proteggerla da tutto e tutti, e lei a seguirlo, col capo chino ed obbediente compagna.
Lui, negli anni, aveva dovuto gestire l'audacia dei galletti che, nel loro farsi galli, volevano primeggiare su tutti; aveva fronteggiato, e sempre vinto, contro i ripetuti attacchi del papero bianco che, tra una chiacchierata e l'altra, tentava di corteggiare la Nana; aveva anche tenuto testa, sotto gli occhi increduli dell'Agricoltore, ad una faina che tante botte prese quel giorno dal bravo Nanone.
Tanto fu che l'Agricoltore decise di togliere la coppia di nane mute dal pollaio per dedicare loro uno spazio più ristretto ma ugualmente riparato, dove potessero vivere più tranquillamente il loro essere coppia.
Infatti, nel giro di poco tempo, la Nana depose le uova per la prima volta, e si mise a covare: avevano proprio bisogno di tranquillità, e per due anni ne ebbero molta a loro disposizione.
Ma la cova non andava mai a buon fine: nonostante il soffice giaciglio di piumetto, la cova costante ed accurata della Nana, e la guardia incessante del Nanone, le uova non si dischiudevano mai.
Neanche l'incubatrice dell'Agricoltore seppe dare loro un aiuto.
Un giorno, recandosi dall'amico e vicino contadino, l'Agricoltore propose a lui uno scambio: Baleno, il suo gallo incrocio di Livorno e Ovaiola Rossa, per una nana muta.
L'amico contadino accolse la proposta, e l'Agricoltore tornò al Podere con una nuova femmina da aggiungere alla coppia.
La nuova femmina si integrò da subito, ed il Nanone fece il suo dovere sin dal primo momento, tanto fu che entro un mese la nuova nana iniziò a depositare le uova.
La Nana non fu da meno, e due furono le cove, vicine tra loro, mentre il Nanone vegliava attento.
Ma una mattina, al ritorno da un breve viaggio, l'Agricoltore fece l'amara scoperta: la volpe aveva approfittato di un passaggio nella rete, un taglio che l'Agricoltore non aveva visto, e aveva preso ed ucciso la nuova nana proprio mentre questa covava: le uova rotte erano testimoni di tutto questo, mentre il Nanone c'aveva rimesso la coda e sie era rotto una zampa ed un'ala.
Passato il momento dello sgomento, l'Agricoltore vide che la Nana tendeva il proprio collo verso quelle uova rotte, e ne fissava tre ancora integre: seppur sapesse che erano raffreddate, e che da troppe ore queste non erano state covate, l'Agricoltore le prese, le pulì col lembo della camicia, e le mise sotto alla Nana che alzò l'ala capendo perfettamente quanto stesse accadendo.
Ricucito lo strappo nella rete del recinto, mise la cagna nera a guardia di quella cova, e sperò che la volpe non si ripresentasse di nuovo.
Ma anche quella volta le uova non si schiusero.
Il Nanone e la Nana fissavano quelle tante uova, parlottando tra loro, quasi come non sapessero darsi pace.
Anche il Nanone tentò di covarle per qualche ora, ma alla fine la Nana le discostò col becco dal giaciglio e si raccomandò all'Agricoltore: lui le tolse, una ad una, sotto lo sguardo attento della nana, mentre il Nanone buttava altrove il proprio sguardo.
Erano passati due anni, e l'Agricoltore decise di rinunciare a far covare questi due animali, e li rimise nel pollaio assieme a tutti gli altri pennuti.
Ed i giorni passarono, sempre accompagnati da quell'armonia di rumori e discorsi.
Ma fu un giorno di aprile che, in piena giornata, la volpe volle ritornare al pollaio, proprio mentre tutti gli animali pascolavano tranquilli.
Sorprese tutti, sopratutto la cagna nera che dormiva di fronte all'uscio di casa, e l'Agricoltore che era sul trattore a lavorare.
Le tante piume a terra raccontarono all'Agricoltore di una lotta serrata, e certamente il Nanone riuscì a tenere testa alla volpe ed a proteggere la propria compagna.
Quel giorno il gallo Mastro ci rimise una zampa ed un occhio, e fu seminato il terrore nel pollaio per molte ore.
Ma la Nana, silenziosa ed in disparte, rimase tutta la notte a vegliare alla rete per giaciglio notturno, attendendo il ritorno del suo compagno.
Ma il Nanone non tornò più.
La Nana continuò la propria vita, aggregandosi alle due papere, e sottomettendosi al volere di quel maschio, ma ogni sera ed ogni mattina accoglieva l'Agricoltore con quel suo scodinzolare e pigolare afono, e spesso lui le grattava la testa, o la governava in disparte osservandola.
Capitava che l'Agricoltore, una volta svuotato il secchio delle granaglie, si sedesse su questo, fumando un pò della sua buon pipa, e guardando proprio quella cara Nana che si era adattata alla sua nuova vita, vivendo sempre ai margini, e tentando di covare le uova che le galline deponevano a terra.
Già, perchè la Nana non seppe mai rassegnarsi, ed ogni occasione era buona per lei per tentare con la cova.   Cova che sapientemente l'Agricoltore interrompeva, rubandole l'ovetto di sotto alla pancia, ricevendo un beccotto sulla mano.
Sapeva che l'uovo di un giorno, presto sarebbero diventate quindici uova in tre giorni, e poi trenta in cinque giorni, e che poi le uova si sarebbero rotte (perchè troppe) e che le galline sarebbero impazzite cercando di beccare sotto alla pancia della Nana, certamente rischiando di farle male.
L'Agricoltore aveva accettato quella cosa, e col cuore piccino ogni volta le rubava le uova da sotto quel corpo tanto caldo e morbido.
Ecco che appunto, quella sera, la Nana rimaneva attaccata al terreno raccomandandosi di non disturbarla, ma l'Agricoltore, che già dalla mattina aveva notato tutto questo, decise di metterle la mano sotto per prenderle quello che sicuramente sarebbe stato un uovo di gallina.
Mentre le galline aspettavano di entrare nel pollaio per guadagnare il pasto, l'Agricoltore fece una strana scoperta: la Nana stava si covando si un uovo, ma questo uovo era marrone.
Un uovo marrone?
Come poteva essere?
Nessuna delle galline poteva fare uova marroni, e neanche la tacchina, le papere o la nana stessa.
La Nana lo becco forte, e si alzo su di un fianco, lasciando che l'Agricoltore riponesse quello strano uovo sotto la sua pancia.
Lui eseguì basito.
Entrarono le galline, e la porta del pollaio fu serrata.
L'agricoltore non disse nulla alla moglie, e tanta era la voglia di venirne a capo che trascorse tutta la notte a leggere e rileggere libri ed articoli di giornale, senza capire di quale uovo si trattasse.
L'indomani, alla solita ora, il solito rituale, e dopo aver aperto il pollaio vide che la nana era ancora lì, immobile.
Lui la scostò appena, e vide che ancora quell'ovetto era ben covato.
Lui non capiva...e trascorsero almeno tre giorni prima che riuscisse a venirne a capo.
Si confrontò con l'omino del negozio dei mangimi, con il vicino contadino, e chiese pure per telefono all'amico fattore: nulla.
Quell'ovetto marrone proprio non capiva da cosa fosse venuto fuori.
E poi l'illuminazione...
La moglie dell'agricoltore, qualche giorno prima, come sovente faceva, cucinando aveva tentato di "insegnare" all'Agricoltore ad apprezzare anche gusti che non fossero propri della sua terra e delle sue tradizioni.
Lui, stoico ed ottuso, rimaneva sempre convinto che le ricette storiche e tradizionali fossero le migliori, ma poi cedeva sotto quegli occhi amorevoli e curiosi della moglie, e si prestava all'assaggio di cibi provenienti da altre culture ed altri paesi.
Nel tempo aveva scoperto il curry, il riso basmati, il cumino, lo tzatziki, il mango, lo zenzero, il wasabi, il guacamole...
...e proprio pensando al guacamole di qualche sera prima, arrivò l'illuminazione.
Nel frigo ricordava di avere scorto quelle specie di "pere verdi lustre", che un paiod i volte all'anno comprava la moglie per fare il guacamole.
Queste strane pere si chiamavano Avocado, ed al centro avevano un grosso semone...proprio a forma di ovetto.
La moglie, come di norma, metteva gli scarti della frutta e della verdura in un secchio tenuto sotto all'acquaio, e certamente aveva messo anche quel grosso semone in quello che il giorno seguente divenne il pastone serale dei polli.
Scansato dai becchi delle galline, questo semone era rotolato chissà dove, e la Nana lo aveva chissà come portato nel pollaio, e messo in un giaciglio da lei costruito.
La Nana covava il semone dell'Avvocado.
L'Agricoltore dapprima si mise a ridere, ma poi fu preso da un grande senso d'affetto verso quella nana muta che ostinatamente continuava voler covare, e si precipitò di buon mattino a farle visita.
Appurato che la sua intuizione era stata giusta, decise di lasciare a lei quel semone, e di vedere se e come si sarebbe comportata nel tempo.
Trascorsero i giorni, le settimane, e dopo due mesi e mezzo il quadro fu chiaro.
Con ciclicità la Nana covava quel semone, salvo poi sotterrarlo in un angolo del pollaio per qualche giorno di tregua dove guadagnava il pascolo, e per poi dissotterrarlo e rimettersi a covarlo di nuovo.
All'Agricoltore tornò in mente quando era bimbo, e ciclicamente dormiva con quell'amata scimmia di peluche, salvo poi metterla nell'armadio per un periodo, e poi ritirarla fuori per altri sonni assieme a lei: sonni di affetto e di coccole.
Lasciò che le cose continuassero così, promettendo a se stesso ed alla nana che presto avrebbe preso per lei un nuovo compagno, ordinandolo dall'omino del negozio dei mangimi, nella speranza che questa volta potesse essere la volta buona."



mercoledì 2 agosto 2017

Sognando il fresco, il caldo schiaccia tutto

In trentotto anni di Vita, mai vista una siccità del genere.
Neanche più la polvere: tutto pare bloccato, solidificato, immobile...come schiacciato da questo forte caldo.
Nell'orto, un problema all'impianto a goccia che ha diminuito la portata d'acqua alle verdure, ha quasi compromesso tutto il raccolto: in poche ore le piante sono avvizzite, i loro frutti avvizziti, e gli steli accasciati.
Per fortuna, compresa la causa di questo problema, questa sera l'orto si è beccato una razione tripla di acqua.
Oggi, per la prima volta da quando abito al Podere, abbiamo toccato i 37°C nell'aia, ed i 26°C dentro la casa.
E' così caldo che le galline neanche più escono dal pollaio.
E' così caldo che le capre si sdraiano sotto la mangiatoia nella ricerca di un pò di frescura.
E' così caldo che le cavalle indietreggiano di fronte all'uscio aperto del loro box.
Nemmeno le cicale cantano.
...
Io guardo il camino, spento, e lo desidero acceso, con fuori dall'uscio una nevicata di almeno mezzo metro.
Apro il frigo, e penso alla brezza tesa del mattino in gennaio, quando la tramontanina ti affetta gli zigomi.
Prendo in mano un maglione di lana, e penso a quando mi ci ne vogliono due per riuscire ad uscire di casa senza "rimanerci fregato" in un attimo.
E' caldo, da fare schifo anche a chi il caldo lo ama.

martedì 18 luglio 2017

brevi da un luglio rovente, tra trattore ed insonnia

Rimettersi di buzzo bono a scrivere non è cosa semplice.
Il tempo di questo periodo dell'anno è scandito da una routine direi alquanto stancante.
In breve, per raccontare cosa succede al Podere:
- la sveglia, o suona alle 5:00 (ed allora parte una giornata "abbastanza nella norma"), oppure suona alle 3:30 (e quando suona a quest'ora la giornata è complicatamente in salita). Rarissimamente suona dopo le 6:15 (casi eccezionali direi).
- gli animali, al mattino godono di attenzioni abbastanza sbrigative, e spesso è mia moglie che mi sostituisce alleggerendomi non poco in alcune delle tante cose da fare.
- la mattina (che sia ancora buio o che abbia già fatto l'alba) è condita da molte ore di trattore: ci sono i trattamenti da fare (zolfo contro l'oidio che non ci molla le vigne), ci sono i campi da lavorare, c'è l'erba (secca) da tagliare/trinciare, le piante da bagnare, le viti da accapannare, l'uva malata da buttare in terra, l'acqua da caricare/scaricare, il trattore da aggiustare, gli attrezzi da attaccare e staccare, e riattaccare ancora, e ancora...
- generalmente mi concedo una pausa verso le 11:30, pausa che può trasformarsi in una situazione tipo "sono cotto, stacco e vado a pranzare presto" oppure tipo "son sempre le 11:30...bene, io tiro dritto fino alle 13:30 e poi vedo che fare".
- sul trattore, dove non ho cabina/ariacondizionata/stereo/sedilecomodo/filtroperl'aria/frigo, ad una certa ora mi prendono le visioni, e sogno il trattore del vicino, comodo come una poltrona buona, dotato di ogni confort, ed adeguato per questa calura.
- pranzo, quasi sempre verdura cruda, verdura lessa raffreddata, insalate ed insalatine, magari con uova, o con tonno, o con mozzarella, o con...altra verdura.
- dopo pranzo, cascasse il mondo, mi riposo...ma non riesco mai a dormire, figuriamoci se mi concedo tale lusso.
- dalle 16/16:30/17 in poi riparto, a far di quelle faccende che in un'azienda si devono fare, anche e sopratutto per rimandare il più possibile il momento in cui le mie terga si riadageranno sul quel trono brontolante a quattro cilindri. Di lì in poi un'altro turno di trattore sino (minimo) alle 20:30/21.
- lavorare per il fresco è salutare, ma è anche vero che al vespro oramai io inizio ad essere stanco della giornata.  Ma da lì al cenare passerà ancora molto tempo.
- si cena alle 21:30/22/22:30/23, e l'appetito è maggiore, come maggiori sono le dosi e la sostanza.
- dopo cena governo cane e gatta, magari sparecchio, o faccio due faccende molto veloci, e poi finalmente mi guadagno il divano.
- mia moglie crolla di lì a poco...beata lei.
- io tiro sino alle 1:30/2/2:30...e a volte anche fino alle 3 passate.

Più o meno sto andando avanti così (possibilmente anche fine settimana compresi) da due mesi circa.
Sono stanco?
Mi faccio schifo da solo da quanto mi sento stanco.
Potessi cambiare qualcosa, cambierei...?
Poco, visto che lo faccio volentieri, ma anche molto, visto che mi stronco la schiena, patisco un caldo pauroso e non dormo praticamente niente.
La stagione mi aiuta?
Si, mi aiuta ad avviarmi quotidianamente verso la convinzione che "il prossimo che incontro e che mi dice bella l'estate così, io lo mangio!"

Ma fra una settimana...
anche l'Agricoltore Anacronistico si concede il lusso di una settimana via dal podere, alla volta del mare e dei monti, non troppo distante da casa, ma abbastanza per sentirmi lontano.
Ma la settimana che mi separa da quel momento è ancora molto lunga.
...e si son fatte le 3 anche stasera (stamani), e tra due ore suona la sveglia.
Buonanotte...
...buongiorno.

venerdì 30 giugno 2017

Oggi mi regalo questo Post, con poca Agricoltura e molto di tutto il resto

Ho deciso così.
Ho deciso di REGALARMI un post.
Ho deciso di prendermi uno spazio, all'interno di questo mio spazio, dove parlerò di tutte tranne che di agricoltura.
Sino ad oggi, dal lontano settembre 2011, in ogni mio post L'agricoltura è stata la protagonista, come protagonista è nella mia Vita.
A Lei, direttamente o indirettamente, ho dedicato sempre buona parte del mio tempo, e buona parte delle mie Passioni.
A Lei, e per Lei, ho aperto questo blog, facendomi aiutare all'inizio, e improvvisandomi scrittore in seguito.
Lei, l'Agricoltura, non me ne vorrà se approfitterò di questo spazio per parlare di cose che proprio non c'entrano nulla.
Ma oggi è il mio compleanno, e sfruttando questa "festa e feria", mi sono messo qui, di fronte a questo schermo, con buona musica ad accompagnarmi, e la voglia di liberare almeno alcune delle cose che MI PIACCIONO.
Cose che MI PIACCIONO e che sono scollegate magari dal mio Vivere con le mani sporche di terra, il mal di schiena, le soddisfazioni ed i pensieri tanto Anacronistici che voi lettori conoscete.
Non me ne vogliate se prendo tale licenza, ma semplicemente questo è un regalo che faccio a me stesso: un posto che dovrò tornare a leggere e rileggere, nel tempo, magari negli anni, per fissare nero su bianco quanto talvolta rischia di scomparire.
Crescere non è sempre facile.
Avere un ruolo talvolta è molto difficile.
Essere dedito alla propria causa troppo spesso ci distoglie da molte cose, e molte di queste sono proprio quelle che ci piacciono.


Tra una vita di studio, di Passioni condivise, di Passioni sussurrate, di timidezza ed audacia, di stacanovismo ed ozio, di accelerate e brusche frenate, di paure non dette, di segreti assoluti, di desideri nascosti, e di tanta voglia di leggerezza, oltre il mio essere un Agricoltore Anacronistico, io sono un uomo che ha tante passioni, e tante sono le cose che Mi Piacciono.

Mi Piace.
Mi Piace ascoltare la musica lirica quando sono solo in casa, magari mentre faccio le faccende durante al giorno, o con le cuffie alle orecchie di notte tarda.
Mi Piace Gioacchino Rossini, mi piacciono le sue opere, mi da carica, mi fa sorridere, mi fa stare bene: un uomo che del Gusto del Piacere ne aveva fatto un'arte di vita.
Mi Piace Giacomo Puccini, da sempre, e per sempre per me sarà La Bohéme, le sue Grandi Arie, la mia pelle d'oca, sempre.
Mi Piace guardare le barche a vela ferme nel porto, il canto del sartiame che sbatte, e del vento che vi fischia attraverso.
Mi Piace fantasticare stando in un posto, giocando su viaggi mai fatti, immaginando come sarebbe se potessi vivere almeno un mese della mia vita in barca a vela.
Mi Piace pensare che potrò essere un marinaio di montagna.
Mi Piace il vento in faccia: il vento mi placa e mi ricarica, sempre.
Mi Piace guardare il cielo di notte, e farmi venire il mal di testa a furia di contare le stelle.
Mi Piace parlare di astronomia, e raccontare agli altri i nomi delle costellazioni, dei pianeti, e tutti quegli aneddoti che mi accompagnano da sempre.
Mi Piace la Pasta al Forno con tanto ragù rosso e tanta besciamella, proprio come sa farla mamma: la mangerei anche in capo ai tignosi.
Mi Piace la panzanella in estate, la carne alla pizzaiola in inverno, il castagnaccio tutto l'anno, ed il pandoro sino a sentirmi male.
Mi Piace il risotto all'ortica di mia moglie, la sua torta di carote, la sua voglia di farmi assaggiare cose diverse, ogni volta.
Mi Piace il suo impegno nel farmi mangiare pesce, e la sua costanza nel farmi mangiare verdura in ogni pranzo o cena, in ogni forma, ed in ogni soluzione.
Mi Piace cucinare il ragù, ricordando le parole della mia bisnonna, quelle della mia nonna, e quelle della mia mamma...ed ogni volta facendolo a modo mio, com'è giusto che sia.
Mi Piace lavorare la carne, tagliarla, sistemarla, cucinarla e...mangiarla.
Mi Piace ricordare sempre che io mangio quello che allevo, ed allevo quello che posso sostenere con le produzioni della mia azienda.
Mi Piace confrontarmi sul cibo, sopratutto con chi la pensa in modo diverso dal mio.
Mi Piace dare nomi ad ogni cosa, animale, luogo, albero, momento.
Mi Piace dare soprannomi a chiunque, e ridere di questo.
Mi Piace ricordare aneddoti, inventare storie, ascoltare racconti.
Mi Piace aprire il libro di Pellegrino Artusi almeno una volta a settimana, e leggere a voce alta una sua ricetta, magari avendo come spettatori il cane ed il gatto.
Mi Piace leggere Ernest Hemingway.
Mi Piace rileggere Il Vecchio ed il Mare, almeno una volta ogni due anni.
Mi Piace la poesia di Pablo Neruda.
Mi Piace leggere Carlo Cassola, cresciuto con i suoi racconti in una terra ed una storia che in qualche modo riesce ad appartenermi.
Mi Piace perdermi nei racconti di Isaac Asimov, e ritrovarmi chissà dove.
Mi Piace scegliere un libro per iniziare la mia "vacanza estiva", e sentirmi in vacanza mentre lo leggo.
Mi Piace la Fantascienza, leggerla nei libri di mio babbo, nei libri da me scelti negli anni, e vederla nei film, che siano belli o meno belli.
Mi Piace raccontare della mia Passione per la Fantascienza.
Mi Piace (anzi Amo) l'universo (espanso e non) di Star Wars, e non posso (e voglio) farci niente se questa è una mia Grande Passione.
Mi Piace rivedere i film della saga (di Star Wars), magari in lingua originale, o doppiati in altre lingue, tanto per ridere quanto per imparare.
Mi Piace sentirmi un "bimbone di 38 anni" di fronte all'uscita di uno dei film di Star Wars.
Mi Piace E.T., Incontri Ravvicinati del Terzo Tipo, e tutta la fantascienza di Steven Spielberg.
Mi Piace Stanley Kubrick, e dal suo 2001:Odissea nello spazio è iniziata la mia passione per questo immenso regista.
Mi Piace la fotografia di Berry Lindon, il montaggio di Arancia Meccanica, il Peter Sellers de Il Dottor Stranamore, il finale di Full Metal Jacket, e tutto di Shining.
Mi Piace riguardare La Vita è Meravigliosa (di Frank Capra) la notte della vigilia di Natale.
Mi Piace il Natale.
Mi Piace Babbo Natale.
Mi Piace pensare, inventare, cercare e nascondere i regali di Natale per gli altri.
Mi Piace il Pranzo di Natale fatto a casa dei miei genitori.
Mi Piace fare sorprese.
Mi Piace guidare il mio fuoristrada.
Mi Piace guardare le corse ciclistiche, saltare sul divano e pedalare (per finta) durante la trasmissione delle gare.
Mi Piace pensare che Marco Pantani sia stato il più grande tra i grandi.
Mi Piace pensare alla salita di un ciclista come metafora di vita.
Mi Piace affondare le dita dei piedi nella sabbia fresca.
Mi Piace affondare la mano nel sacco del grano, o in quello dei fagioli.
Mi Piace bere il caffè solo quando questo è buono.
Mi Piace il vino buono, fatto con metodo naturale, e che mi racconti una sua storia.
Mi Piace trovare e scovare storie in tutto quello che faccio.
Mi Piace fare fotografie.
Mi Piace pensarmi un fotoamatore con troppo poco tempo da dedicare alla propria Passione.
Mi Piace mettere sempre gli stessi cappelli: di paglia per il lavoro nei campi, a tesa verde per guidare l'auto, il mnarsigliese di velluto per gli inverni, e la vecchia papalina blu per il lavoro al freddo.
Mi Piace essere un abitudinario.
Mi Piace avere gente a casa solo quando so che avrò gente a casa.
Mi Piace sedere di fronte al camino, anche in estate, e lì trascorrere le ore di veglia e chiacchiere.
Mi Piace cercare i funghi.
Mi Piace studiare i funghi.
Mi Piace passeggiare nel bosco, ascoltare, annusare, osservare.
Mi Piace l'odore della legna verde appena tagliata.
Mi Piace giocare con le foglie di castagno.
Mi Piace avere sempre un coltello in tasca.
Mi Piace l'orologio a cipollone di mio nonno,e tenerlo al taschino per le buone occasioni.
Mi Piace mantenere e coltivare il ricordo nei miei nonni, tutti.
Mi Piace parlare della loro vita, di quello che hanno fatto prima che io nascessi, e del loro modo di volermi bene.
Mi Piace l'idea di essere domani un Nonno, e forse un pò lo sono sempre stato.
Mi Piace quando mi dicono che assomiglio a qualcuno della mia famiglia.
Mi Piace quando mi dicono che io sono diverso dai membri della mia famiglia.
Mi Piace essere me stesso.
Mi Piace presentarmi alla mia maniera, togliendomi il cappello, con un baciamano, o dando del Voi a persone molto anziane.
Mi Piace fregarmene del giudizio altrui sul mio modo di essere.
Mi Piace avere Amici, ma Mi Piace ancora di più averne pochi ma sinceri.
Mi Piace stare in gruppo.
Mi Piace stare da solo, sopratutto nel castagneto.
Mi Piace farmi la doccia fresca in estate, e tiepida in inverno.
Mi Piace la vecchia Politica, quella che io non ho mai conosciuto, e che forse mai potrò conoscere.
Mi Piace leggere il quotidiano di carta, quando è possibile.
Mi Piace ascoltare la musica quando guido.
Mi Piace la musica dei Queen, la voce e l'interpretazione di Freddie Mercury, l'inconfondibile chitarra di Brian May, la ritmica di Roger Taylor, e l'essere marginale e fondamentale di John Deacon.
Mi Piace Bohemian Rhapsody, in ogni momento della mia Vita.
Mi Piace definirmi un "fan" dei Queen, e ricordare sempre che tutto ebbe inizio da quel telegiornale dell'86 e quel servizio sul loro concerto di Wembley (e ricordare che io avevo 7 anni).
Mi piace il basso di Jaco Pastorius, e Mi Piace che mi accompagni in molti nei miei momenti notturni.
Mi Piace la tromba di Miles Davis, il sax di John Coltraine, il Jazz nelle ore che seguono il tramonto.
Mi Piace il blues, ascoltarlo dal vivo, ricordare di quando potevo ancora suonarlo, tra tante birre scure ed un pugno d'Amici.
Mi piace la voce di Bruce Springsteen, di Demetrio Stratos,  Roger Daltrey, Joe Cocker, Dolores O'Riordan, Annie Lennox, Janis Joplin, Patti Smith, David Bowie.
Mi piace l'interpretazione e la poesia di Francesci Guccini, Bob Dylan, Fabrizio De Andrè, James Taylor, Rino Gaetano, Cat Stevens, Ivan Graziani.
Mi Piace quando la musica assume una posizione sociale, e Mi Piace che le posizioni sociali abbiano le proprie musiche.
Mi Piace scrivere con il lapis e con la penna bic blu.
Mi Piace trovare le rime.
Mi Piace l'ottava rima.
Mi Piace leggere Dante.
Mi Piace leggere solo libri fatti di carta.
Mi Piace baciare mia moglie, ed emozionarmi ogni volta.
Mi Piace la Spuma Bionda, l'Acqua Brillante e la Cedrata Tassoni...anche se non le bevo quasi mai.
Mi Piace stare con le persone più grandi di me ed imparare ogni volta, ma Mi Piace anche insegnare qualcosa ai più giovani, e vedere le loro passioni che crescono avide di spazio e tempo.
Mi Piace dormire in un letto duro, Mi Piace il coprime peso (le coperte pesanti) che mi schiacciano un pò il corpo, Mi Piacciono le lenzuola di flanella.
Mi Piace indossare le doppie calze in inverno, e la canottiera senza maniche in estate.
Mi Piace guardare la televisione alla sera dopo cena.
Mi Piace la serie tv Lost, Game of Thrones e The Big Bang Theory.
Mi Piace Super Quark, Piero Angela ed Alberto Angela.
Mi Piace ascoltare il giornale radio.
Mi Piacciono le previsioni del tempo, e sopratutto Mi Piace tentare di farne di mie, ed illudermi di riuscire a capirci qualcosa.
Mi Piace quando il dottore dice che sto bene.
Mi Piace sentirmi bene quando il dottore dice che non sto bene.
Mi Piace l'omeopatia, i rimedi naturali, l'erboristeria...e sopratutto Mi Piace evitare di curarmi in modo convenzionale.
Mi Piace sognare, ricordare i sogni, riprendere i sogni, e fare sogni lucidi.
Mi Piace stare con i miei cani, Mi Piace la loro devozione, ma sopratutto Mi Piace che siano loro ad insegnarmi molte cose.
Mi Piace fumare tabacco naturale, dentro della radica, e con lentezza e gusto.
Mi Piace essere sposato.
Mi Piace fantasticare su quando sarò padre.
Mi Piacciono tante cose, che qui non voglio dire, legate al rapporto con la mia famiglia, al nostro volersi bene, al nostro modo di comunicare.
Mi Piace quando nonna mi dice di andare piano con la macchina, di turarmi (coprirmi) bene con la sciarpa, e di dormire.
Mi Piace non essere una persona social, e Mi Piace sentirmi libero da tutte quelle seghe mentali che regolano invisibili i ritmi dell'essere social.
Mi Piace la sincerità, anche quando questa è brutale.
Mi piacciono le ciliegie mangiate dalla pianta, la violetta mammola tra i denti in primavera, mangiare la neve appena caduta, e avere addosso l'odore del caminetto.
Mi Piace essere Anacronistico, e non vorrei essere differente da questo (altrimenti non sarei più Io).



sabato 24 giugno 2017

San Giovanni, senza erbaggi da raccogliere

La tradizione del giorno di San Giovanni ha radici profonde in tanti territori, ed anche nel mio il 24 giugno c'è un sacco da fare.
Ma non quest'anno...
Niente noci per fare il nocino.
Niente spigo (lavanda) per fare i mazzetti, o per distillarne olio essenziale.
Niente Iperico (già Erba di San Giovanni) per la tintura tanto preziosa.
Niente mazzetto da appendere all'uscio di casa, contro le streghe ed i malanni.
Niente.

Giorno dopo giorno è sempre più complicato trattenere la vita nelle piante di casa, ed in quelle di tutta l'azienda.
Molte, troppe, le piante che stanno seccando.
Molta, troppa, l'acqua richiesta per una minima sopravvivenza.
Ho fatto una stima: ogni giorno mi occorrerebbero indicativamente 38 metri cubi (38.000 litri) di acqua,  e 45,5 viaggi con il trattore (e la botte da 800 litri), e 23 ore e 45 minuti di tempo...solo per far sopravvivere le mie piante.
Ogni giorno...
...ed ogni giorno debbo scegliere a quale pianta offrire un'opportunità di vita ed a quale pianta presentare un'opportunità di morte.

Il salice dietro casa, messo con mia moglie 6 anni fa, sta seccando.
La siepe di alloro, e quella di lauro ceraso, stanno seccando.
Le piantine nuove nel frutteto stanno seccando.
Le rose canine messe a far da sieponale stanno seccando.
Gli aceri di 15 anni trapiantati stanno seccando.
I cipressi intorno al podere stanno seccando.
I lecci recuperati dai campi, stanno seccando.
La grande quercia recuperata anch'essa dal campo, sta seccando.
Le rose di fronte casa (ognuna un ricordo con mia moglie) stanno seccando.
La grande pianta di salvia, messa a dimora da un ramo di una nostra vecchia pianta, dopo dieci anni sta seccando.
Nel'orto le patate stanno seccando.
Le vette di diversi olivi stanno seccando.
...non credo sia necessario continuare.
Questo San Giovanni passerà nell'anonimato, mentre io continuo a mangiare polvere su polvere, e mi ingegno per aumentare l'acqua disponibile per irrigare.
Noi non abbiamo un pozzo, e la fonte più vicina è a 7 kilometri dal podere: terminate le scorte della fù acqua piovana, prosciugata la pozza vicino casa, l'unico modo è fare avanti indietro con la macchina e portare 600 litri di acqua al giorno, oltre agli oltre 300 che porta mio padre.
900 litri al giorno, contro i 38.000 di cui necessiterei.
...non credo sia necessario continuare.
Viva la Vita, che arsa si consuma,
Tra le dita di polvere e la bocca di fiele.
Domando al Padreterno se si sia dimenticato di queste terre.
Mi arrabbio contro me stesso, pensando che avrei potuto fare di più per essere pronto a tutto questo.
E domani sarà ancora caldo, ed asciutto.
M'illudo che tutto questo presto finirà.

domenica 4 giugno 2017

Fanculo tutto il resto: delirio e consapevolezza

E' passato più di un mese dal mio ultimo post.
Un mese lungo, posso giurarlo, di quelli che non ti scordi tanto facilmente, dove la testa pare essere dentro un frullatore che gira a mille.
Provo a fare il punto della situazione, alla mia maniera, tutto d'un fiato.


Ci son momenti nella Vita in cui senti che il vento ti tira contro, in cui il respiro si fa pesante e le mani perdono forza.
Ci sono momenti in cui la Terra non è mai stata così bassa, le giornate così lunghe ed il letto così scomodo.
Ci son momenti in cui sorridere è tanto difficile.
Ci son momenti in cui "come fai sbagli".
Ci son momenti in cui lo specchio ti dice cose poco piacevoli, ed intorno a te hai troppa polvere sollevata per capire bene cosa stia accadendo.
Questi son momenti, e come tali son destinati a passare, durare sino ad un certo punto, ad esaurirsi.
E' da qui che viene la forza di buttare gli occhi oltre tutto questo, mentre il cuore ancora ha fatica ad orientarsi.
Io sono una persona semplice, ed ho sempre avuto l'ambizione di...avere una vita semplice: non ho mai voluto fare l'astronauta da bambino, ne tanto meno girare il mondo da ragazzo, ed oggi che son uomo sogno una vita di semplicità.
Ho bisogno di regolarità, di rituali da ripetere, di un limite fisico alle cosa da fare...ed in questo momento tutto questo mi manca fortemente.
Continuamente bersagliato da eventi atti a destabilizzarmi, mi aggrappo a quelle radici profonde e solide che ho per reggere il colpo, ed aspettare che passi la buriana.
Perchè son momenti...e la buriana passa sempre.  Io questo lo so.
La Campagna non mi è ostile...
...le persone talvolta lo sono.
Accarezzo il cane una volta a vantaggio, mentre lo guardo invecchiare ed ancora rimanere cucciolone eterno.
Tutto sta correndo, e mentre fuori c'è odore di Luglio, si è chiuso oramai un Maggio decisamente turbolento, empio di novità, di emozioni, di scosse.
Nella novità, anche se d'acchito c'è dolore, sempre vedo cose buone, cose migliori, cose che mi faranno stare meglio.
Sudare mi da energia, stancarmi fisicamente mi fa stare bene, avere le mani sporche mi da soddisfazione, ma son le persone ostili che mi logorano.
Un pensiero quotidiano: buttar fuori quella rabbia che inevitabilmente si è accumulata e che continua ad accumularsi.
Sfogarsi, contro chi ti giudica a prescindere o contro chi ti pugnala alle spalle.
Sarebbe lecito, vero? Certamente sarebbe umano, mentre invece trovo poco umano dover trattenere sempre, per non peggiorare le situazioni, per non ledere le già evidentemente lese suscettibilità altrui.
Più invecchio e più mi rendo conto di non avere un carattere facile, e negli anni mi sto chiudendo sempre di più.
Schivo, restio a quei riflettori social, vivo una vita asocial, in mesi lunghissimi fatti di crescenti impegni, con una stagione che pare letteralmente IMPAZZITA, e con alcune delle persone che dovrebbero (dovrebbero?) esserti alleate che si impegnano per farti sentire la persona più brutta del mondo.
Se penso alle energie che ho impiegato per capire ed ascoltare il prossimo...
Se penso al tempo che ho trascorso a trovare le giuste parole per farmi capire dal prossimo...
Se penso a quanto cuore e testa ho letteralmente consumato per il prossimo...
Ecco che mi viene voglia di mandare tutti a fare in culo, fare fagotto, e andarmene in cima ad un monte a vivere davvero come un eremita.
Le arrabbiature non smaltite s'incancreniscono nelle budella, e le imprecazioni non bastano più a dare quell'attimo di respiro.
Qualcosa deve cambiare.
Io devo cambiare.
Non posso continuare a rivivere tutto questo ancora, a qualche giorno dai 38 anni, con responsabilità crescenti e di nuove in arrivo.
...
Sono tanto incazzato.
Ieri entrando nella stalla il Becco faceva la consueta prova di forza con il sottoscritto, ma un'occhiata...una sola è bastata per farlo entrare nella stalla in un angolo.
Così non mi era mai capitato.
...
Mi guardo intorno a vedo polvere.
Quest'anno ho dovuto farmi aiutare per fare il fieno, ed oltre il danno la beffa: esattamente 1/3 rispetto allo scorso anno.
Un terzo...vuol dire che ho perso il 66% di fieno...vuol dire che dovrò comprare il fieno, per la prima volta in vita mia dopo tantissimi anni (l'ultima volta non avevo ancora il podere).
Tutto secco, come se fossimo in un deserto: poca l'erba, stenta e già gialla.
La Mignola degli ulivi, abbondantissima, cade, ed alcuni ulivi stanno perfino perdendo le foglie per la siccità.  Questi alberi non campano di sabbia ma di acqua.
La vigna è stenta, e dopo la gelata bastarda di più d'un mese fa, adesso soffre le pene dell'inferno per portare avanti quel poco di verde che è riuscita a salvare o a far riscoppiare.
Una fioritura breve, e subito allegagione per quelli che paiono grappolini piccoli e radi.
Il frutteto poi...un magone.
Completamente seccate il 40% delle piante, ed un 20% sta morendo: messe a dimora di marzo, prima la siccità, poi la gelata, ed adesso ancora la siccità.
Povere piante...mi ci piange il cuore.
Nell'orto le patate si stanno ammalando, ed il consumo di acqua è arrivato a livelli altissimi: sinceramente non so come potrò affrontare nei tre mesi e mezzo di caldo che ho davanti.
...
Questo blog sta divenendo un muro del pianto, e non mi sta bene.
Forse è bene che io ignori i miei problemi e qui racconti solo il bello di una vita che fatica ad essere bella.
Forse sto diventando lamentone, o forse sono diventato pessimista?
O forse sono dentro il mio momento catartico ed ancora non me ne sono reso conto.
...
Fuori il sole brucia, oggi ho indossato per la prima volta dei pantaloni corti: queste gambe bianche e pelose fanno schifo,ma tanto qui non mi vede nessuno, ed è troppo caldo per mettermi a fare sfilate di moda nell'aia.
...
Maggio è stato anche portatore di bellissime notizie, e voglio concludere così questo mio discorso a cuore aperto.
Concludere con il bello, che c'è ogni giorno nella vita di tutti noi, e che a volte si rivela come fantastico.
Molte sono le cose che prendono il verso giusto, e quelle sono importantissime: cose che si "aggiustano" e cose che si "avvicinano".
Sorrido quindi, pensando alla bellezza di queste cose, e me ne esco di casa ad annusare il basilico ed a cogliere due ciliegie.
Fanculo tutto il resto.

domenica 30 aprile 2017

Quella botta di dicembre che in un aprile che sa di maggio ...fa i suoi danni.

Gli taglio l'erba sotto, convinto di far bene, in modo da non trattenere l'umidità...e quindi la sicura brinata.
Gli lavoro la terra sotto, laddove riesco, correndo, sicuro di dar modo al terreno di riscaldarsi quanto prima già col sole del mattino.
E poi che faccio?
Mi metto sull'uscio, con mia moglie che è più preoccupata di me.
Si alza il vento, che già era forte, e la casa si scrolla di dosso l'ultima polvere calda dei giorni precedenti.
Faccio cena, ma mangio a fatica, c'ho l'uggia (ho fastidio) addosso, e proprio non mi sento bene.
Il camino tira, come a volersi ingollare (ingoiare) quella legna secca che gli do con regolare attenzione.
Il vento fischia tra gli infissi nuovi, e questo vuol dire che tira davvero forte.
Potrei dare fuoco a qualche pressa di fieno, piazzata qua e là per la vigna, ma sai dove mi porterebbe il fumo?
Sarebbe inutile con questo vento.
Mia moglie prova a non pensarci, mentre a me scappa un'imprecazione, e poi un'altra, e poi forse un'altra.
E' freddo in casa, figurarci fuori.
Io vò a letto, mi dice lei.
E chi dorme stanotte, dico io.
Tanto non gli si può fare niente, dice lei.
Non son nemmeno più buono a pregare, dico io sotto voce.
Lei mi guarda e sorride: mi sa che m'ha sentito.
Lei va a letto, io mi faccio una camomilla, doppia, e ci affogo una cucchiaiata di miele vernino, bello salato ed amaro di edera, e mi piazzo davanti al camino, intontito dal danzare di quella fiamma.
Ma il sonno non arriva.
Ulula la cagna davanti all'uscio, e siccome non c'è luna piena, e siccome non passa un'autoambulanza, allora ulula al vento, e questo vuol dire che è davvero forte.
Non reggo, e mi vesto.
Non reggo e sòrto (esco) di casa.
Come coltelli accidentati, il vento mi taglia la faccia, e gli occhi si tengono a fatica aperti.
E' freddo, un freddo schifosamente accidentato, che t'arriva addosso come fosse una scarica di botte.
La cagna rientra nella cuccia, mi scodinzola mentre la raggiungo per tranquillizzarla.
Sono le due e mezzo, e come un bischero sono accovacciato ad abbracciare quella bestiola infreddolita: non dovevo toglierle la paglia dalla cuccia, e mi cruccio per questo.
Vado a prendere un pò di fieno, con la torcia accesa tra le mani infreddolite, e le capre belano al sentirmi arrivare.
I cipressi si scuotono e lasciano cadere le coccole vecchie, che come grandine m'arrivano sulla testa e tutt'intorno.
Il rombo del vento è assordante, ed ho sempre più freddo: questo è un vento da sotto zero, mica storie...
Mi sbrigo, a fatica prendo il fieno e lo riporto nella cuccia, lo rinterzo e corro in casa.
Batto i denti, accidenti a me, roba da pigliare un malanno: c'ho i lacrimoni agli occhi che tengo a fatica aperti.
Mi siedo praticamente dentro al camino, e se io in due minuti ho preso tutto quel freddo, le mie piante?
Loro la giubba pesante non ce l'hanno mica!
Penso al frutteto nuovo, penso alla vigna...penso ancora alla vigna.
Se accendessi adesso una pressa di fieno, mi se la fumerebbe tutta il vento, tirandomela chissà dove: è inutile e pericoloso.
Non posso fargli niente a questa vigna.
Sono le quattro, ed il mal di testa mi impone di andare a letto.
Mi accuccio accanto a mia moglie, lei dorme.
Speriamo un bene.
...
Sono le sei, ed ho la scusa per alzarmi.
Apro la finestra del bagno, e nell'orto ancora non vedo la brinata.
E come poteva brinare con questo vento?
Guardo i gradi nell'aia, all'aperto: siamo a meno tre.
Meno tre.
Meno tre...
...
Sono le sette e mezzo, imbacuccato m'infilo nella vigna davanti casa.
Il primo filare, salvo... una, due, tre, quattro cinque...ventuno, ventidue...trentasette...sono sane qui le piante, bene!
Hanno retto!
Infilo nel secondo filare, bene le prime venti, poi...la prima fogliolina accartocciata, un'altra, ed un altra ancora.
Alzo gli occhi, non l'avevo ancora fatto.
Davanti a me le giovani foglie sono accartocciate, già grige.
Ne tocco una, si sbriciola.
No.
No!
Salto nel terzo filare, poi nel quarto...nel sesto...nell'ottavo.
Tutta la parte esposta tra il Nord ed in Sud-Ovest è...gelata.
Ci saranno almeno duemila piante bruciate dal vento.
L'erba, laddove l'ho lasciata a copertura, ha fatto il suo dovere, e lì le foglioline non si sono gelate.
Mi gira la testa.
Appoggio il ginocchio in terra, e son solo.
Mi scappa da piangere, e sono stupito.
Mi guardo intorno, non mi vede nessuno...non mi sente nessuno, non trattengo le lacrime.
E' la prima volta che mi succede in vigna.
Non mi trattengo, e non mi scappa neanche una bestemmia, niente, non so dire nulla, ma tiro su col naso, mi rialzo, e guardo la parte sana, esposta a sud, coperta dalla collina del podere proprio da quel tremendo grecale così assassino.
Un terso della vigna è stato azzerato, un altro terzo è abbastanza compromesso.
Ma non è finita, ci sono le piantine del frutteto da controllare.
Affretto il passo, mentre il sole parrebbe volermi scaldare le mani.
Sono le nove e mezzo, e davanti a me ho una, due, dieci, ventidue piante bruciate dal vento.
Il mio fruttetino, mi ci son voluti dieci anni per poterlo fare, maledetta la sorte: prima la siccità, ora la gelata... quelle che camperanno saranno indistruttibili, ma...camperanno alcune?
Devono campare, maledetta la sorte!
C'ho il magone.
Ma non è finita, è no, ci sono le vigne in basso, quelle nella valle.
Prendo la macchina, e come un pazzo guido incurante del fatto che correre non mi serva a nulla, e che è anche molto stupito.
Vedo la prima vigna: è già tabacco.
Un'ettaro e mezzo di...tabacco.
Le buttate più lunghe (circa trenta centimetri) sono tutte afflosciate senz'anima.
Le buttate più giovani (circa tre, cinque, otto centimetri) sono marroni e grigie, ed a toccarle si sbriciolano.
Tutto color tabacco.
Sono le undici, ho visto tutte le vigne, e quelle più a sud si son salvate.
Quelle con lo sbocco a nord non ce l'hanno fatta: il danno che non ha fatto il vento l'ha fatto la brinata, qui in basso.
Che faccio ora?
Parlo con la mia moglie, e questa volta è lei a consolarmi, lei che di gelate nella vigna ne ha già vissute due.
Per me è la prima, così.
Torno al Podere e salto subito sul trattore: devo terminare di lavorare la terra sotto a queste povere piantine.
Devo dargli calore.
...
Sono le sei e mezzo, è quasi sera, sono cotto di stanchezza.
Non mi sono fermato neanche per mangiare...neanche per pisciare.
Il sole raffresca, il vento rinforza.
Rientro in casa, è l'ora di cena: mi scollo di dosso la polvere e provo a mangiare qualcosa: abbiaqmo degli amici a cena, e devo pur sorridere un pochino.
Rido ad una battuta, rilancio con un paio delle mie.
Si sfanga (supera) la serata.
Sono le undici, il vento rinforza.
Devo provare a dormire: sono le due, crollo.
...
Mi sveglio, sono le sei e mezzo, è tardi.
Corro alla finestra, non c'è vento, ma...
...la brinata.
La Brinata!
No, la brinata!



Io ho provato a raccontare quelle che sono state trentasei ore di angoscia, paura, delusione, arrabbiatura.
Trentasei ore che ti cambiano l'annata.
Trentasei ore che non me le scorderò finchè campo.
Ma cosa è successo dopo quelle trentasei ore?
Abbiamo preso la macchina, io e mia moglie, e siamo letteralmente scappati dal Podere, certi che rimanere lì avrebbe rappresentato l'affogare in un dramma che non era comunque "la fine".
Non volevamo ingigantire ulteriormente quanto già era abbastanza grande.
E non potevamo fare nulla, solo aspettare.
Via dal Podere, con la complicità di babbo che si è fatto carico degli oneri ed onori.
Via per un giorno e mezzo, poco distanti da casa, ma accolti dai nostri cari Amici, protetti a tratti.
Al ritorno il sole era caldo, era domenica sera.
Lunedì e martedì ho fatto il trattamento con la propoli, in dose abbondante, solo alle vigne che hanno subito la gelata (tanto quella di brina quanto quella di vento).
Mercoledì ho terminato di lavorare la terra, anche nel frutteto, ed ho aspettato che quel tempo di burrasca portasse la pioggia.
Giovedì ha piovuto, e la vigna ed i campi tutti hanno bevuto.
Venerdì ed oggi sono state giornate piuttosto asciutte, ma le temperature sono ancora molto basse.
Le viti sono ferme, e questo forse è un bene.
Penso a quelle lacrime versate, e non me ne vergogno.
Non mi era mai successo prima d'ora, e m'è capitato proprio con quelle viti con cui tanto litigo durante l'anno, così basse, così delicate, così...necessarie per la mia vita.
Un rapporto che è nato in un obbligo velato, spinto dalla speranza di poter cambiare le cose, e proprio grazie a quelle viti...e sopratutto alla vigna del Podere, tutta la mia vita è cambiata.
Io, che mai avevo avuto empatia con questa pianta, seppur fossi un estimatore del suo nettare, delegavo sempre ad altri i lavori e le attenzioni di cui necessitava.
Ma poi l'Amore mi ha spinto a fare un sospiro, e chinarmi all'ascolto: negli ultimi quattro anni della mia vita ho imparato a trascorrere tanto tempo nella vigna, ed ho fatto prima pace e poi amicizia con questa pianta dalle mille risorse.
La Vite, che ha il nome così strettamente legato alla "Vita", ce la farà anche questa volta, lo so.
Il Sangiovese è una pianta dalle mille risorse, me lo ripeto ogni volta che deve affrontare una tribolazione, e si riprenderà, magari dando meno frutti, magari scadendo un pò nella qualità, ma non mi tradirà, ne son certo.
Sento il peso della mia responsabilità, ma sento anche i limiti delle mie possibilità d'intervento: non potevo fare di più.
Per le varietà più in basso l'incognita è più grande, ma la Vite è comunque una pianta che ha tanta forza e  resilienza.
Tante le viti che hanno sofferto, troppe quelle che potrebbero perdere l'annata, ma adesso posso solo osservare nell'attesa che questa mi lancino un qualche messaggio.
Nel frutteto le piantine secche ricacceranno? Non ne ho idea.
I fiori dei vecchi meli sono gialli ed appallottolati, e di mele se ne mangeranno poche quest'anno.
La campagna è anche questo.
Tutto questo per quella botta di dicembre che in un aprile che sa di maggio proprio non t'aspetti...e che fa i suoi danni.







mercoledì 19 aprile 2017

Quella botta di dicembre che in un aprile che sa di maggio non ti aspetteresti

La Natura è strana, e si diverte sempre a smentirmi...
Non meno di una settimana fa ero qui a scrivere di quanto questo Aprile urlasse di Maggio inoltrato: le rondini...le api...i fiori...la siccità.
Ebbene, al 19 di Aprile, questa è la situazione: temperatura che è improvvisamente precipitata dopo l'acquazzone di ieri pomeriggio (improvviso e piuttosto consistente) e vento di grecale discretamente forte.
Tutto in 3 ore: alla mattina con babbo abbiamo preparato la copertura dei semensai, consapevoli che in questi giorni il "rischio brinata" avrebbe potuto far dei danni, c'era il sole, senza un alito di vento.
Alle 12:30 lui è tornato a casa da mamma, fuori contavo le rondini che volavano alte, e nessuna nuvola all'orizzonte faceva pensare che quella sarebbe stata un'altra giornata di caldo.
Alle 13:30 si è rannuvolato, e mezzora dopo s'è fatto buio.
Alle 14:30 la prima pioggiarella fina e leggera, poi più pesante, ed in meno di dieci minuti un vero e proprio nubifragio, con il vento che rafforzava.
Alle 15 c'erano le pozze nell'aia, tirava un vento boia, era buio, e si sbucciava dal freddo.
La pioggia è andata avanti sino alle 17, ma il freddo di ieri sera è un freddo dicembrino.
Oggi peggio che mai: c'è il sole, ma spicca una tramontana tesa e la minima registrata è stata di 1°C.
Per domani (e sopratutto dopodomani) è prevista la temperatura sotto zero.
...che dire?
Questa è la Natura, e non sono tanto preoccupato per le settanta piante di insalata che babbo ha sapientemente protetto nell'orto, e nemmeno per i prati che stanno letteralmente scoppiando nella loro fase vegetativa, ma...semplicemente per "tutto il resto".
La situazione è questa: tutte le piante di olivo sono in fase di premignola, ossia con i bocci pronti a fiorire, ed una freddata adesso rischierebbe di seccare ogni speranza di fiore...e quindi frutto (momento peggiore non ci sarebbe per accogliere questo fenomeno meteorologico).
Il frutteto, appena impiantato, sta gemmando, ed ancora immerso nella crisi idrica non sopporterebbe mai questo freddo improvviso (temo...moltissimo per queste cinquanta piante giovani e molto indifese).
Tutti gli alberi da frutto sono in fase di post allegagione o hanno comunque frutti: vento più freddo vorrebbe dire che le piante scaricherebbero a terra la futura frutta.
La vigna, ancora con l'erba alta, è la cosa più complicata da gestire, perchè: se togli l'erba togli la protezione dal vento...ma se non togli l'erba (in caso di brinata) mantieni il ghiaccio vicino alle gemme ed ai germogli, amplificando il danno.
Ho quindi scelto di tagliare l'erba nella vigna in basso, protetta dalla tramontana, con la certezza che li il vento freddo non tirerebbe mai, ma che il rischio brinata sarebbe molto alto (è in un fondovalle). Ho anche deciso di lavorare la terra (con un estirpatore a molle) in modo da dare al terreno maggiore velocità per riscaldarsi dopo un'eventuale brinata.
Nella vigna alta il discorso si fa diverso: non temo tanto la brinata (che comunque potrebbe attaccare in alcune zone marginali) quanto il vento freddo, che qui tira sempre molto forte, e quindi ho lasciato l'erba alta a protezione...sperando di avere fatto la cosa giusta.
Penso alle centinaia di opinionisti e professori che, passando lungo la strada asfaltata, vedranno e giudicheranno il mio operato, certamente scuotendo la testa e pensando che le mie valutazioni siano assai errate...
...ci penso, sorrido, e medito di apporre un grosso cartello bianco con su scritto "Cordiali vaffanculo", dando così effettivamente il giusto motivo per poter parlare del sottoscritto.
Ma anche gli animali risentono e risentiranno di questo calo di temperatura: le galline non ci capiranno nulla e rischieranno di interrompere la deposizione delle uova, oppure di raddoppiarla...salvo poi rallentarla drasticamente.
La chioccia, che finalmente si era decisa ad acchiocciarsi in pace, adesso avrà la sua prova di "fedeltà e di carattere": spero che ce la faccia a resistere.
I tanti gerani e fiori coloratissimi che mia moglie ha messo in vaso subiranno le conseguenze, ma credo in modo limitato visto che sono posti in un posto abbastanza protetto.
Peggio per le rose, tante, tutte in boccio, o con rami giovani e tenerissimi.
E noi?
Il camino è acceso, e l'acqua nel boiler è pronta anche all'accensione dei termosifoni: legna ne ho da vendere, e non tremo certo per questa freddata. Ma la felpa pesante ed il giaccone invernale sono stati subito recuperati nell'armadio, e la papalina è in testa a proteggermi da quel bel malditesta che ultimamente mi fa visita ogni sera.
Staremo a vedere.

venerdì 14 aprile 2017

Pensieri a caso prima di andare a letto: aprile dolce dormire?

Aprile dolce dormire?
Oggi mi son svegliato più tardi del solito.
Questa insonnia non mi lascia grandi alternative, e se voglio essere "presente" in quello che faccio debbo concedermi delle pause:  dormire anche dopo l'alba rappresenta oggi il "vero lusso".
E' primavera, mentre fuori il mondo urla di un Maggio inoltrato, ancora le patate non gemmano e la vigna stenta a ripartire.
E' primavera, e la pancia che duole mi sottolinea quanto troppo velocemente io mi sia alleggerito nel vestire: indosso già quella camicia a maniche corte, con sotto la magliettina fina, e nulla più.
Ed è il quattordici di Aprile, ed il camino viene acceso a giorni alterni soltanto alla sera per mantenere la temperatura del boiler.
L'appetito è scostante, e la voglia di formaggio cresce a dismisura, alternata alla voglia di verdura fresca appena colta, di biscotti di Pasqua e di yogurt da condire.
Come un serpe che cambia la pelle, questa "mezza" (???) stagione mi fa tribolare, sempre: mi sento affaticato, molto più di quanto dovrei, e penso alla vigna da trinciare, alle patate da mettere, alla legna da spostare, gli olivi da spollonare... e mi sento ancor più stanco.
La visita dalle api oggi è stata molto lunga, e quel tasso bastardo mi ha fulminato tutti i telai a nido (e miele) della prima arnia, oramai da gettare nella spazzatura.
Le altre famiglie stanno tutte bene, alcune più delle altre, e la scarsa presenza di fuchi mi fa pensare che non ci siano sciamature in previsione.
L'ultima famiglia non ce l'ha fatta, ed ho definitivamente svuotato e ripulito l'arnia, predisponendola per una possibile futura cattura di uno sciame.
Il bilancio: cinque su sette, e debbo sentirmi contento di questo, visto che un tasso, ed una famiglia debole (sciamata da una famiglia già sciamata) sono le note dolenti di questa stagione invernale.
Garriscono le rondini, arrivate l'altro ieri al podere.
Bramisce il solito capriolo, puntando ai nuovi alberi da frutto, ma bloccato dalla nuova recinzione: dovrà farsene una ragione.
In casa c'è odore di fresco, di fuliggine, di pane e dell'olio di lino delle travi.
Fuori il glicine sta per sbocciare e mia moglie ha comprato nuovi gerani.
Devo comprare un rimorchio di ghiaino e spargerlo nell'aia e nella strada di casa, altrimenti al prossimo acquazzone saremo nuovamente nella mota (fango).
I capretti crescono, ed il pascolo intorno casa abbonda: ancora per un pò non debbo pensare alla mungitura.
La chioccia non si decide a fissare la cova, e da quattro giorni fa i capricci: questa stagione calda fa impazzire i polli e la deposizione è cosa assai irregolare.
L'ortica cresce rigogliosa, orgoglio dei trattamenti in vigna e trionfo della cucina di mia moglie.
Fuori la luna illumina l'aia a giorno, mentre la cagna vigila l'uscio di casa.
E' primavera, ed è notte adesso.
Mi affaccio alla solita finestra, mentre mia moglie si culla in chissà quale sogno, e la gatta curiosa sale sul davanzale per fare la ruffiana.
Non passa un'auto da almeno mezzora, e solo un aereo alto sciupa questa musica così confortevole.
Nuvoloni scuri si alternano ad ampie schiarite: la pioggia è solo un miraggio.
E' primavera, e domani dovrò annaffiare le piante del frutteto che rischiano di non farcela...neanche fossimo d'agosto: non ho ricordo di un marzo così asciutto, ed in 55 giorni ha piovuto solo due volte.
Domani sarà il venerdì santo, ma non ho fuochi da accendere: li cercherò nell'orizzonte nei poderi altrui alleggerendomi la coscienza con il ricordo dei fuochi passati.
Il melo davanti alla finestra del bagno è in fiore, ed i petali paiono d'argento sotto a questa pallida luce.
C'è odore di umido nell'aria, e domani mattina sarà tutto coperto di guazza (rugiada).
Domani, anzi oggi, Enne fa gli anni: magari faremo un'uscita in paese tra chiacchiere sul cane, gli olivi e la sua nuovo podere.
La vista si fa sfuocata, e le dita son pesanti nel battere su questa tastiera.
Forse ho sonno.
...
Son le due e mezza...provo a dormire...


sabato 25 marzo 2017

Toxoplasma gondii, le Capre ed una decisione Anacronistica

Ho deciso di condividere questo "problema" che con fatica sto tentando di affrontare.
Non ho mai nascosto la mia passione per le Capre: animali ECCEZIONALI, spesso sottovalutati, ricordati per epiteti offensivi, accostati alla simpatica protagonista del libro di Johanna Spyri, sempre presenti nelle immagini bucoliche che ognuno di noi ha fissate nella mente.
Animale controverso, a tratti simpatico ed affettuoso, a tratti schivo e pericoloso, che da sempre accompagna gli Allevatori in ogni parte del mondo.
Le Capre, animali tra i miei preferiti, che da sette anni allevo con dedizione, attenzione, premura.
Un piccolo allevamento, giustificato per il consumo di latte della famiglia; giustificato per la produzione di caprino per autoconsumo; giustificato per la vendita dei (pochi) capretti; giustificato per la produzione del letame; giustificato per il mantenimento della vigna in inverno...

Giustificabile per il piacere che traggo nell'allevare questo animale che ripeto io Amo.
Nel settembre 2014 il mio becco si apprestava a compiere la sua prima stagione dei calori: aveva un'anno compiuto, e non vedeva l'ora di darsi da fare con tutte quelle femmine.
Le "coprì" una ad una, e per tre mesi non dette loro tregua: mai aggressivo, investito del ruolo più importante, imparava a gestirle, e ad essere autoritario.
Loro, che l'avevano visto crescere, adesso lo osservavano con riverenza, fissandolo in quella sua barba sempre più lunga ed in quelle corna che si facevano maestose.

Le pance crescevano, e nel dicembre successivo le femmine si presentavano tutte gravide.
Il becco invece era divenuto irrequieto, infastidito magari da quell'attività oramai terminata, e talvolta appariva perfino manesco con quelle due lunghe corna agitate al vento quasi come a volerle brandire con violenza.  Quasi come a voler intimidire il mondo intorno a lui.
Proprio in quei giorni mi presi la mia prima incornata, totalmente sprovvisto di attenzione e difesa ne subii le conseguenze: quel livido sul fianco mi rimarrà impresso per molto tempo, come un tatuaggio fatto male.
Entrare nella stalla, e sopratutto nel recinto, era diventato addirittura pericoloso, ed a poco potevano i miei (almeno un tempo lo erano stati) 
movimenti e richiami rassicuranti.  
Nulla, lui non voleva saperne, e quella era divenuta una guerra al testosterone poichè oltretutto non accettava che io accarezzassi le pance delle oramai SUE concubine, che tanto dimostravano soddisfazione in quei miei gesti colmi di premure.
Una sera, mentre entravo nella stalla con il consueto forcone di fieno, non accettò la mia presenza, ed a tradimento scaricò su di me chissà quale diniego o affermazione.
Le cornate fanno male, ma il dolore più grosso l'ebbi nell'orgoglio, visto che mi ero fatto trovare impreparato.
Caddi, franando rovinosamente tra le femmine, e lì lui decise di terminare quel suo gioco d'affermazione, puntandomi prima e tentando di colpirmi nuovamente mentre inerme cercavo di riprendermi.
Per fortuna la Capobranco si mise tra me e lui: lei, che è stata la mia prima capra, che è la Preferita e che tengo "appesa in una foto" nel muro di sala, seppe proteggermi incassando un fragoroso (e certamente doloroso) colpo nel ventre.
Cadde ai miei piedi, per fortuna non esanime, ma lamentandosi per la tanta violenza ricevuta.
Mi rialzai, e come un moderno Teseo lo affrontai, scaricandogli addosso un urlo che lo investì come cento cornate: non cedere mai deve essere la regola, altrimenti si soccombe per sempre.
Arretrò, scuotendo la testa, infastidito dal lungo e baritonale richiamo all'ordine, sicuramente scosso da quel suono così testosteronico ed inaspettato.
Arretrò, scuotendo la testa e percuotendo una povera malcapitata che gli si era avvicinata quasi come a richiamare la sua attenzione.
Maschio e bastardo, quella sera avrebbe demolito il Mondo intero se ne avesse avuto l'opportunità.
Da quel momento iniziò un periodo di osservazione reciproca: io entravo nella stalla (spesso con un bastone a portata di mano), e lui scalciava come un toro nella corrida, mantenendo la distanza da divaricando le narici.
Non si azzardava a colpirmi, ma s'impennava come chissà quale puledro, e scuoteva la testa come ad avvisarmi dell'inevitabile.
Soltanto un'altra volta tentò di avvicinarsi, superando quel limite che implicitamente gli avevo imposto, e scontrando le proprie corna con quel mio bastone.
Una rintronata che lo fece desistere dal riprovarci, ma che non lo fece smettere di essere comunque agitato.
Ed ecco che una mattina, al momento di pulire la stalla, proprio mentre lui mi fissava nel buio di un angolo lontano, la scoperta di un feto morto nella paglia mi fece pensare a quel becco ed alla sua irruenza.

Sbagliando, giustificai tale aborto come conseguenza di una sua cornata, e non provvidi a contattare il mio veterinario.
Maledissi quella sua veemenza e la mia stupida disattenzione.
La madre che lo aveva perso non era  primipara, ed anche questo contribuì a non destare dubbi in me: era palesemente stato il maschio, che aveva scaricato anche su di lei tanta furia.
Un Allevatore ha il dovere e la responsabilità per i propri animali, e da lì decisi di separarlo dal resto del branco, mettendolo in un reparto a lui dedicato dove poteva vedere le sue femmine adorate, ma non poteva nuocerle in alcun modo: aveva spazio, acqua, pagliericcio, fieno e riparo a volontà, ed a "targhe alterne" lo facevo uscire, mettendo prima al riparo il gregge.
Poteva quindi continuare il pascolo, ma in solitudine e marcato a vista dal sottoscritto e dalla fedele cagna nera.
Alla mattina non era più il gallo a svegliarci, ma il becco che si dilettava a tirar cornate nelle colonne di castagno che sorreggevano la stalla stessa.

Pochi giorni trascorsero, quando trovai il secondo aborto...più o meno al terzo dei cinque mesi della gestazione, e questo mi fece preoccupare poichè questa volta la madre non era una primipara ma una secondipara che l'anno precedente aveva fatto una bellissima femmina (che tutt'oggi vive nel gregge).
Pensai agli effetti di una vecchia cornata, ma la teoria iniziava a vacillare.

Contattai quindi il mio veterinario, e assieme pensammo alla Clamidiosi, una malattia abortigena che si trasmette con un batterio chiamato Chlamydia abortus: piuttosto diffusa nella mia zona, questa malattia affliggeva molti allevamenti.
Prima di effettuare un qualsiasi tipo di trattamento decidemmo di fare un prelievo ematico alle due madri che avevano abortito, e nel giro di due giorni avemmo la risposta.
Si trattava infatti della Toxoplasmosi, malattia veramente subdola che si prospettava come una delle più rognose da affrontare.
La sera stessa, mentre chiudevo la stalla, scorsi altri due feti partoriti pochi attimi prima: le madri vegliavano su di loro, mentre la femmina capobranco (la mia adorata e fedele) mi si raccomandava con belati strazianti.
La telefonata con il veterinario fu perentoria, e l'indomani portai i due feti all'Istituto Zooprofilattico della mia provincia per le analisi...ma, nonostante la loro puntuale e celere risposta, nulla pareva poterci chiarire la situazione.
Quei due feti non avevano Toxoplasmosi...e da quel momento iniziò un vero e proprio pellegrinaggio presso l'Istituto: facemmo un'analisi del sangue a tappeto (perfino il maschio ne fu coinvolto) per capire se e cosa stesse realmente accadendo agli animali.
Ebbene, oltre il 75% del branco era contaminato da 
Toxoplasma gondii e di fatto mi ritrovavo l'allevamento con Toxoplasmosi.
Seguirono numerosi aborti, e soltanto una capra (che comunque risultava malata) riuscì a dare alla luce una capretta (sana al momento della nascita).
...
Non voglio tediare nessuno spiegando cosa sia questa malattia, ma mi permetto di sottolineare che è subdola, complicata e assolutamente impossibile da curare.
Le capre si immunizzano dopo il primo aborto, che generalmente avviene successivamente a quando viene contratta la malattia, e non hanno più problemi in gravidanza, seppur rimangano malate a vita.
Tra di loro la Toxoplasmosi si trasmette tanto al pascolo (con le feci contaminate), quando per mezzo di saliva, mucosa vaginale, liquido amniotico, etc.
Seppur il parassita sia il medesimo, a quanto mi è stato spiegato questo non è direttamente trasmissibile all'uomo: pare che siano soltanto i gatti (e c'è chi parla anche dei topi) i vettori della malattia per gli esseri umani, in quanto le ovocisti di questo protozoo possono essere presenti nelle feci dei gatti, che contaminano sopratutto il terreno (e quindi le verdure).
Pare quindi che dalle feci delle capre non ci sia trasmissibilità all'uomo poichè non sono presenti ovocisti: questo protozoo ha un ciclo "a metà" nei caprini, e non dovrebbe essere trasmissibile per l'essere umano se non che per il consumo di carne cruda e/o di ingestione del sangue.
Da qui un anno di rassicurazioni, e di indicazioni da seguire: il mio allevamento era infetto ma non dannoso per noi umani, però inevitabilmente compromesso.
Un Veterinario specializzato di offrì due opzioni: eliminare tutte le capre, bruciando la stalla, interdicendo il pascolo ad ogni erbivoro da me allevato (per almeno tre anni)....oppure, semplicemente fregarmene e convivere con questo problema, consapevole di non poter vendere "da vita" i miei animali, ma libero di poterne usare carni e latte.
Ricordo nitidamente quella notte in cui presi la drastica decisione, ed accettai il compromesso con la sorte, mantenendo in vita i miei amati...e malati animali.
Nel 2015 feci molte ricerche, leggendo su testi stranieri e specifici, consultandomi con altri veterinari, e perfino contattando il ministero della salute per avere ulteriori conferme.
A fine 2015 ed inizio 2016 ci fu la stagione dei parti (la seconda con il branco infetto), e ci furono molti altri aborti, ma le capre che avevano avuto il medesimo problema l'anno precedente, iniziarono a partorire regolarmente.
Il becco iniziò a placare i suoi animi, vivendo da giugno a dicembre sempre con le sue amate concubine, e nei miei confronti iniziò a dimostrare una discreta tolleranza.
Io ero sempre in guardia, ma poco a poco quel legno lo dimenticavo volutamente fuori dal recinto, e bastava una mezza occhiataccia per sedare subito l'animo ribelle di quel maschio di oltre 70kg.
Molte capre comunque non rimasero gravide, e la medesima cosa è accaduta anche in questa stagione dei parti: sempre parti singoli (mai un gemellare da tre anni a questa parte), il medesimo prblema che si ripete di anno in anno, con primipare che abortiscono, e le altre che a turno non rimangono gravide o rimangono gravide di un unico capretto.
Il becco continua a risultare sano alla malattia, e le caprette continuano a risultare sane al momento della nascita: questo dimostra che il maschio ha una sorta di schermatura non ben chiara, e che la trasmissione della malattia alle capre non è di tipo connatale ma viene acquisita successivamente.
Ho pensato più volte all'idea di eliminare tutte le capre, a quella di bruciare la stalla, interdire il pascolo, e magari chissà cosa...ma sono CERTO che il primo topo o il primo gatto che defecherebbe potrebbe riportare la malattia nel mio prossimo allevamento, o magari anche negli altri di diversa specie.
Infatti tutti gli animali, dal coniglio al cavallo, passando per il cane e per i suini, possono ammalarsi di toxoplasmosi, con sintomi comuni o differenti, e risoluzioni più o meno importanti.
I veterinari della mia Asl non hanno mai storto la bocca nei riguardi di questa decisione, e sinchè non deciderò di acquistare nuovi capi, e/o avrò la necessità di cederne dei miei, non mi porrò alcuna limitazione.
Le capre sono al pascolo, mangiano serene l'erba grassa e verde che ricopre il terreno; i capretti giocano a rincorrersi, mentre la cagna nera li osserva tremando di smania per la voglia di acchiapparli. il latte è ottimo, e presto inizierò a mungerlo per farci i formaggi.
Non riesco a pensare che, qualcosa che io non ho saputo arginare, oggi o domani possa essere deriva di chissà quali e quanti problemi: in famiglia siamo tutti sani, e nessuno ha contratto mai la Toxoplasmosi, il mio allevamento è monitorato da persone capaci ed attente, l'economia (perlomeno quella domestica) del Podere si basa anche su questo allevamento, e per adesso va bene così...