Taglio dell'erba per gli animali del podere

Taglio dell'erba per gli animali del podere

lunedì 24 agosto 2020

La mela col bachino

Storia di podere: la mela col bachino

Ci sono storie Semplici, che sono direttamente narrate dalla Vita al Podere.
Storie che narrano di un quotidiano visibile all'Agricoltore, e che riescono sempre a stupirlo.
Come, oramai nel lontano Agosto 2017, narrai  la nana muta ostinata  oggi ne propongo un'altra: 
La mela col bachino.
Oggi che ho una bambina a cui la racconto prima della nanna, sento comunque il desiderio di condividerla con voi, pensando che possa farvi comodo in una nanna da accompagnare con qualche bimbo della vostra Vita.


"Non tutte le Estati al Podere erano uguali.
Ce ne erano di lunghe e calde, di piovose ed uggiose, di brevi e fresche, e la Natura si alternava nel tempo riproponendosi con tanta varietà anche in questa stagione.
L'Agricoltore faticava sempre molto nel periodo estivo, e seppur fosse da lui tanto amato ai tempi in cui era bimbo, con il lavoro di Campagna e crescendo la percezione di questa stagione era cambiata.
La Frescura della sera era il momento da lui preferito, ma la maggior parte dei lavori dovevano svolgersi proprio sotto al sole cocente, che più o meno era la costante di ogni giorno d'Estate.
E se l'orto gradiva il gran caldo, regalando sempre pomodori dolcissimi e zucchini a non finire, i pascoli ne soffrivano invece, facendo patire gli animali che ne usufruivano per il loro desinare.
Ecco che, in quelle estati considerate "trememende" per il caldo incessante e la scarsità di pioggia, l'Agricoltore si vedeva costretto a spostare il gregge delle capre nelle colline più alte, distanti da podere, e difficili da essere raggiunte.
Infatti, sparse qua e là per le proprietà limitrofe, c'erano piccoli campi abbandonati, spesso fagocitati da pruni e bosco, che offrivano scampoli di verde buono per le capre.
Dei tanti che conosceva ce n'era uno in cui non saliva da molto tempo.
Le capre, radunate di prima mattina, venivano abbeverate e governate con fieno buono, e prima che il sole fosse alto l'Agricoltore s'avviava con il cane fedele, seguito dagli animali, che ordinati ed in fila, lo salivanoo lungo la strada, che poi si faceva sentiero, e da ultimo era un semplice attraversamento del castagneto alto.
A testa alta, le capre rubavano il fogliame lungo strada, senza però attardarsi nel seguire l'uomo, mentre il cane dava un abbaio a sollecitare la camminata.
Nei castagni il fresco rincuorava l'Agricoltore, e poi l'ultimo stradello s'apriva in un pascolo verde, verdissimo, incastonato tra i castagni, che svettava sulla cima della collina alta, come una chierica.
Alla vista delle erbe fresche e profumate, le capre si spagliavano disordinate, salvo poi radunarsi sotto l'abbaio del cane.
L'Agricoltore, dopo la faticata, si sdraiava sotto all'unico albero posto alla sommità della collina: un vecchio melo, che proprio in quei giorni offriva sempre delle buone mele mature e succose.
Si guardava intorno l'uomo, e sotto ai suoi occhi quei capi chini intenti a mangiare erba profumata ed alta, il cane che si accoccolava tra loro e l'uomo, il prato verde tutto attorno, ed un unico grande sasso, alto come un'uomo, su cui solitamente si appoggiavano gli uccelli in cerca di insetti tra le erbe.
C'era silenzio lassù, ed un fresco che al Podere l'uomo sognava ogni notte.
Da qualche anno non saliva così in alto per il pascolo, ma ogni volta che vi ritornava era sempre un piacere per lui e per i suoi amati animali.
Allungando una mano per rubare una mela ne prese una tra le più grandi: ancora verde, s'avviava a brunire, ed al tatto iniziava a cedere di un poco: era matura.
Il gesto di sempre, quel sdrusciarla sul bordo della manica della camicia, prima del primo morso, e...
...e la mela era bacata, se ne accorse un attimo prima di addentarla.
"Peccato" pensò l'Agricoltore, "una mela così bella e bacata...mica stolto il bachino."
La guardò un'ultima volta, mentre gli riempiva quasi l'intera mano, e poi la lanciò via, proprio verso quel sasso alto che pareva lo stesse ascoltando.
Il tonfo sordo del frutto che sbatteva a terra, un merlo che da dietro il sasso spiccava il volo, e poi ancora il silenzio, rotto dai campani delle capre che continuavano a mangiare.
Con la seconda mela l'Agricoltore fu più fortunato, e questa volta nessun baco gli privò il piacere di azzannarla.
Il tempo di una pennichella, le capre che ruminavano, il vento che si alzava, ed era l'ora del rientro.
Quel campo, tanto prezioso, era però assai piccolo, e non poteva sfamare il suo gregge se non per una sola giornata.
Rimesso il cappello di paglia sulla testa mantenuta fresca dall'ombra del melo, riprese in mano il suo bastone, camminò vicino al cane che si destava, e passò tra le capre che sembrarono ignorarlo, salvo poi prepararsi a seguirlo con l'arrivo del cane.
Un fischio, lanciato verso il podere, tutti gli animali in fila a seguirlo, e via verso casa, lungo i castagni, lo stradello, e la strada sterrata.
Quasi riusciva a ricordarsi ogni sua singola salita a quel piccolo campo, scovato quasi per caso durante una passeggiata per cercare i funghi, molti anni prima.
Chissà quando sarebbe di nuovo salito sin lassù?
E quella giornata si concluse così, e si concluse anche quella estate, e come sempre successe, altre ne passarono.
A quel punto l'agricoltore non aveva di certo perso le proprie abitudini, ed a fronte di una delle estati tremende che tanto non gli piacevano, aveva deciso di salire ancora una volta proprio a quel piccolo campo.
Le estati, che si erano alternate, gli avevano portato qualche acciacco, ma i bimbi che giocavano nell'aia gli facevano passare ogni male.
Quindi decise di arrampicarsi sin lassù, in quel campo tra i più alti, prendendosi tutto il tempo del piacere di salire.
Il cane nero oramai era vecchio, ma a mordergli la coda adesso c'era un cucciolo, che tanta energia aveva, e che avrebbe affrontato per la prima volta quella salita.
Radunate le capre, s'aggiunse il cavallo da tiro, sul quale mise due ceste, una per ogni bambino.
Non era di certo l'alba, ne l'ora migliore per salire, ma approfittando di un pò di nuvolaglia, s'avventurò su per la strada, col solito passo a gamba lunga, dondolante quanto quelle due ceste piene di bimbi che ridevano.
L'agricoltore, il cavallo retto per una corda fissata alla capezza, i bimbi contenti che facevano chiasso, ed il branco delle tante capre, tra campani sonanti, e corna strusciate sulle ramaglie basse.
Salivano, in una processione condita dagli abbai del giovane cane che, aitante e spavaldo, sentiva tutta la responsabilità di quel suo primo salire, mentre il vecchio cane nero dosava energia e voce, laddove servisse.
Lo stradello che si stringeva, il castagneto, mentre qualche tafano sbatacchiava sulla pelle, e costringeva l'agricoltore ad affrettare il passo.
Nei rami si notavano i primi ricci, ed a terra le felci scrocchiavano sotto il passo pesante del cavallo.
La frescura presto s'aprì a quel pascolo, così in alto, così sempre brillante nonostante quell'ennesima estate torrida.
Le capre abbassarono il capo, per poi subito rialzarlo alla volta delle foglie di rovo e delle prime more che stavano maturando.
L'agricoltore legò il cavallo al ramo basso di un melo, per permettergli di poter brucare e godere di quel ben di Dio.
I bimbi, una volta a terra, si misero all'ombra a giocare con dei legnetti.
C'era silenzio, mentre il cane giovane strusciava la lingua a terra, tanto s'era stancato, ed il vecchio dormiva con un occhio aperto a vegliare le sue capre.
L'uomo si prese un momento per se, e si sedette sotto al melo, allungando la mano per cogliere una mela, e guardare poi quel paesaggio avvolto da quell'aria fine e piacevole.
Le capre, i cani, il sassone, l'alberino, i bimbi che giocavano...l'alberino?
E che ci faceva quell'albero piccolo proprio messo tra lui e la grande pietra?
I rami aperti, il tronco diritto, bello e schietto: l'uomo si alzo, mela alla mano, per guardarlo da vicino.
Ma chi poteva mai averci piantato un melo lassù?
Proprio non capiva, e gli ci volle qualche minuto prima di ricordare quel giorno, di tanti anni prima: quel gesto, quella mela buttata via contro a quel sasso, quella mela bacata.
L'agricoltore conosceva le regole dell'agricoltura, e sapeva che tutto ha un senso...anche una mela bacata.
Ecco, ci pensò e ci ripensò, ed alla fine ne fu certo: stesso punto, nessun innesto, stessa varietà...quel melino era nato proprio da quella mela scartata.
Ci si commosse l'agricoltore, ci si commosse per davvero, e chiamò subito i bimbi a raccolta, raccontando loro quella storia.
Promise loro che, quando lui sarebbe stato troppo stanco per salire sin lassù, loro avrebbero trovato ristoro anche sotto a quel bel melino, che negli anni avrebbe fatto tante e tante mele buone.
Spiegò loro che, una delle regole più importanti della natura è che tutto serve, tutto + utile, alla natura stessa, ed alla sua conservazione.
Talvolta la mano dell'uomo può e deve aiutare, e proprio questa è la responsabilità più grande degli agricoltori.
Anche quando una cosa sembra non essere utile, poi compie il suo ciclo.
E così i bimbi ascoltarono, e vollero che l'agricoltore raccontasse loro quella storia ancora, scendendo verso il podere, ed ancora la sera prima di addormentarli, ed ancora nei giorni a venire."

sabato 1 agosto 2020

Il rientro al podere prima di pranzo.

C'è silenzio.
C'è davvero silenzio.
Lo rompe solo una folata di vento, e le foglie di castagne cantano per poi chetarsi subito.
La luce filtra più in basso, e per scorgere il sole c'è da buttare la testa all'indietro: i castagni si scagliano altissimi in questo punto.
Le felci inondano il terreno, e ci cammino tra mezzo, come in una giungla di montagna.
Rotola un sasso a valle, devo stare attento qui: non vedo dove metto i piedi, e se sbaglio rotolo giù anche io.
Vedo il trattore, laggiù, lasciato a riposare sino al pomeriggio.
E' fresco, di un fresco vero, asciutto, sano, ma dove il sole buca il fogliame sento la scossa del calore sulla pelle.
Un bastone mi sorregge e si lancia in avanti ad aprirmi il cammino lungo il sentiero inventato per l'occasione.
Lamponi, tanti: ne colgo un pochi per la bimba, e me li metto in una tasca.
Funghi secchi mi raccontano di quello che avrebbe potuto essere: la fungata aveva mosso, ma senza la pioggia s'è fermata subito.
Il fiume a valle s'è placato di molto, ed anche questo mi racconta della mancanza di pioggia.
C'è un buon profumo di terra, di erba, di castagno.
Vola un merlo radente al felciame, e sotto ad un melo selvatico mi fermo ad assaggiare.
Sono agre, ancora non si tengono in bocca, ma non son bacate, e ce ne saranno almeno un quintale.
Eccone un'altro, poco più avanti, ed un altro ancora, ed un altro...e quest'ultimo le ha più mature.
Scrocchia nella bocca, e cola: come mi piacciono le mele, e quante ce ne sono in questo punto di castagneto.
Sento latrare il cane al podere, affretto il passo per rientrare.
Le api ronzano sopra la testa: è la volta degli aceri per la melata, e paiono impazzite nell'abbondanza di alcune piante.
Penso alla grandine di inizio giugno, penso alla pioggia continua, penso all'istrice che devasta le patate, alle api che si son rimangiate il miele, ai mille problemi, ma...mi sento leggero, il cuore sorride.
Mi accosto al campo lavorato, sento l'odore della terra smossa, sento le ghiandaie che fan festa sopra al susino.
Non ho fiatone, ma ora inizio a passare tra i rami più radi, e qui fa più caldo.
La camminata qui si fa più pesante, ecco che sono a margine del campo sotto casa.
Fischio, il cane arriva subito: nelle sue feste trovo il piacere d'esser ritornato.
La bimba che gioca nel prato, la mamma che la chiama, il vento che si alza e mi asciuga il sudore sulle braccia.
Rientro in casa, c'è fresco.