Ero trattenuto nelle mani di Lei, falena nella notte, che nel semplice seppe darmi l'oltre.
Quei libri oramai chiusi, e quelle risme di fogli appuntati e trascritti, giacevano nell'angolo della scrivania, e lo zaino ben presto fu svuotato per lasciar posto alla musica ed alle nuove idee.
Quel Settembre mi avrebbe aperto al mio primo, vero ed unico Anno Sabbatico: la famiglia mi appoggiava in quella decisione, e lasciai quindi che la leggerezza si sostituisse al senso di colpa.
Lasciare l'Università fu tanto veloce quanto fisiologico: non lo tolleravo più l'odore di quella camera che mi aveva visto conteso fra aspirazione e fallimento, e con una lacrima amara lasciai la chiave di casa nel posacenere dell'ingresso.
Una volta chiusa la porta alle mie spalle, non mi voltai più, lasciando lì chiusi per sempre quegli eventuali rimpianti e rimorsi che non avrei mai voluto portarmi appresso.
La macchina grigia, riempita di vecchie ambizioni, non indugiò neanche quella volta nel riportarmi a casa, cullata e spronata dalle poesie di Faber, dall'inimitabile voce di Freddie, dai cori di Dolores, dal basso di Jaco, dalla frenetica telecaster di Bruce e dall'acustica e armonica di Bob.
Io facevo ritorno, mentre Lei si apprestava a partire per il suo studiare.
Davanti a quel treno, in quella stazione spoglia e sfollata, la nostra Unione iniziava all'insegna di un treno che partiva, e di uno di noi che rimaneva.
...
Quanti treni ho visto partire...
...
Con il mio ciuffo nero, la camicia a quadri, e quella candela sempreaccesa attendevo le ore notturne per poterla ritrovare, lasciando sempre la finestra socchiusa nella speranza che potesse volare nella mia camera ed apparire su quel minuscolo display verde che tenevo acceso di fianco a me nel letto.
Leggerla era gioia, e l'Amore fu anche questo: una consapevole follia moderata... un'irrefrenabile gioia dolorosa che contaminava ogni centimetro dei miei pensieri.
Il solo pensarla mi faceva nascere un fiore nel petto, ogni volta.
Quei momenti, fatti di frasi brevi scritte da lei prima del sonno, erano grandi regali in quelle notti così lunghe ed in quei giorni fatti di ricerche ed ascolti.
All'indomani del nostro sentirsi, uscivo di casa e subito dovevo recarmi laddove la terra abbracciasse il cielo, sempre salendo, sempre su di una collina o una cima di montagna: lì, una volta seduto e ripreso il fiato, concepivo nuove idee e ne sviluppavo le eventuali concretezze.
Una telecamera prestata dall'Ottavo, un cavalletto improvvisato, un taccuino, una penna blu, una macchina fotografica, e la voglia di far muovere quelle immagini.
Ero bravo, lo riconosco senza superbia alcuna, e sapevo districarmi da quella claustrofobica autarchia dettata da un borsello vuoto e dalla voglia di indipendenza.
Babbo e mamma, come anche i miei nonni, pazientavano senza pressare mai su quel mio fare diurno, osservandomi incuriositi nelle prime realizzazioni ed in quella trasformazione da camera da letto a studio di montaggio.
Ma la notte, proprio quando accoglievo le notizie di Lei, la mia mente correva al futuro (ancora una volta nella mia vita...) ed a quel Podere che sapevo un giorno sarebbe stato mio: pensavo a quel sogno di Vita oramai modificato, ed a come avrei mai potuto far conciliare la telecamera con la zappa.
E mentre i treni partivano, e gli a tra poco si sommavano, affinavo quella tecnica improvvisata, e poco a poco mi proponevo al resto del mondo con quelle mie nuovi vesti.
Un paese è piccolo, e ci vuol poco a diventare "personaggio", ed ecco che tra matrimoni ed eventi ero sempre lì in prima fila a fare il mio dovere, tentando di raccogliere quel poco che bastasse per non farmi sentire un mantenuto in casa dei genitori.
Giorno dopo giorno quello sforzo era ricompensato dalla soddisfazione, e ben presto mi spostai dalla camera di casa agli studi televisivi: una piccola emittente scommise su di me, e da quel momento capii che quella mia nuova Passione era ufficialmente divenuta una professione.
Partito in sordina, perlopiù nella speranza di apprendere, mi resi disposto e disponibile, accettanto di servizi più disparati, e non mettendo limiti etici o "di stomaco".
Fu così che il mio primo servizio fu su un'incidente mortale: un giovane in moto che si era schiantato in curva. Arrivai che ancora non lo avevano coperto con il lenzuolo bianco, e mi fu fatto cenno di passare dal maresciallo che sovraintendeva quei delicati momenti: la discrezione ed il sangue freddo non s'insegnano, e quel primo filmato fu spontaneo, senza dolore o repulsione, senza vergogna o diniego.
Capii da subito che con quella telecamera in mano avrei saputo essere dentro e fuori alle immagini, rispettoso (quello sempre e comunque) ma audace.
Tante le facce filmate, e tante le storie raccontate, lasciando che il Tempo facesse maturare tanto il professionista quanto l'uomo che stavano dietro a quella telecamera: cercando ogni volta di carpire quanto la Vita distribuisse al prossimo, che di gioia o di tristezza si trattasse, e facendo tesoro di quel grande insegnamento a cui ero fortunatamente esposto.
Ben presto fui premiato, e mi furono proposti servizi considerati più importanti, i primi speciali, e la possibilità di fare anche il cameraman di studio: era il duemilatre, e quei sessantaquattro mila chilometri percorsi tra una storia e l'altra mi avevano fatto meritare le mie prime dirette televisive.
Una televisione locale non può farti montare la testa, e le mie aspettative erano rivolte a quell'opportunità che avevo di imparare lavorando.
Me ne stavo in un angolo, aspettando la chiamata per un'uscita, ed intanto osservavo chi di regia se ne intendeva, o piuttosto mi mettevo a disposizione di chi trascorreva intere giornate nelle calde (e spesso puzzolenti) stanzette del montaggio video, oppure affiancavo un tecnico per campire qualcosa di più sul suono o sulle illuminazioni.
Nei mesi ero divenuto una sorta di factotum, felice di esserlo, che trascorreva oramai tutte le sue ore diurne gestendo immagini in movimento.
Ma quando staccavo...avevo bisogno di campagna.
Proprio in quel periodo capitò una grande occasione, e con tutti i miei risparmi acquistai un castagneto non troppo distante da casa: era lì che mi rifugiavo, spogliato di quel gilè e di quella camicia a quadri, ed acquisivo odore di legna tagliata, di motosega, di terra e di fuoco.
Che si trattasse di funghi, di legna da ardere, di erbette selvatiche o di castagne, io dovevo muovermi tra quei silenzi di bosco, e fondermi con quelle armonie tanto antiche.
Camminavo, e guardavo le fronde che lasciavano scoprire il sole, e facevo lunghi e profondi respiri: era un contrappasso, e dove prima ero chiuso con un computer a respirare aria viziata ed a "lobotomizzarmi" con quelle immagini tanto piccoli, adesso con ampie falcate seguivo la pista di un cinghiale, ripulivo un sentiero, accendevo fuochi per compagnia o facevo la punta ad un bastone.
Ero felice in quel luogo, ricaricato di quel Bello e Tanto.
C'era (e c'è ancora) una pietra su cui mi sedevo al tramonto, rinominata da me "il sasso del pensiero" perchè era lì che attendevo il crepuscolo tra odore di tabacco, sapore di legna e musica di armonica.
Su quel sasso sono nati così tanti pensieri che oggi vivo quotidianamente.
Su quel sasso io pensavo a Lei lontana (ma sempre vicina) ed al Podere.
Su quel sasso una sera di dicembre capii che era il momento di cambiare, e che una maggiore stabilità economica mi sarebbe occorsa per indirizzarmi proprio a quel futuro tanto agognato.
Per tale scopo la televisione mi andava stretta, e sentivo come certa la necessità di indipendenza: aprire una ditta di produzioni video non fu una cosa difficile, ma rischio ben presto di rivelarsi come una follia.
Rimanere nel paesello era di perse Anacronistico, ma pretendere di edificare un tale sogno proprio in quel luogo era percepito come un gesto assolutamente sconsiderato, eppure io ne ero convinto e dovevo provarci.
Il mio ottimismo voleva vincere, seppur fosse quasi impossibile pensare di vivere (non solo quel nuovo progetto) in un luogo che apparentemente mi tagliava le ali ad ogni idea, mi respingeva e che stentava a prendermi sul serio.
Essere preso sul serio: questo è un tema che ha sempre accompagnato la mia Vita, e sul quale ho combattuto le battaglie più silenziose e dolorose.
Entravo ed uscivo dalle chiese, dai municipi, dalle piazze e dagli stadi: sempre presente, ma questa volta tentando di vendermi con quella professione dal nome così complicato per i miei compaesani e per i vicini.
Videomaker...e non volevano proprio intenderlo.
Videomaker...e continuavano a storpiare quella parola.
Videomaker...ed alla fine ero "quello dei filmini" che chiamavano per le cose (spesso) più noiose e lunghe (e naturalmente peggio retribuite).
Come un moderno Don Chisciotte andavo a sbattere quotidianamente contro i pregiudizi e le ristrettezze mentali di privati, ditte, associazioni ed enti.
"Non puoi fare il Sergio Leone della situazione...ogni volta!"
"Pensa a far ciccia e fregatene della tecnica!"
"Secondo me perdere tutto codesto tempo per dei lavori che non capiranno mai..."
Queste alcune delle frasi che alcuni professionisti navigati mi rivolgevano quando mi vedevano lavorare.
Eppure per me c'era così tanto bisogno di far le cose bene, senza approssimazione, e mettendoci al loro interno quel poco di poesia o romanticismo che tanto adoravo mettere nella mia Vita.
Uno spot di un canile diventava trentasecondi di simpatia, un matrimonio era una storia da raccontare, una partita di calcio erano facce di tifosi colme di passione.
Ogni cosa tentavo di farla al meglio...
Ed un giorno quasi inaspettato mi fu proposto qualcosa di sensazionale: andare nelle scuole medie e parlare agli studenti di cinema e...provare con loro a fare cinema.
Questo fu il premio ricevuto dopo tanti sacrifici e fatica.
La soddisfazione di tale ingaggio mi fece ridere per almeno due giorni consecutivi, e quel senso di leggerezza prevalse su quella pesante situazione del mio conto in banca
Curiosità avide, intraprendenza, chiacchiericci, domande banali, domande fenomenali: ero diventato una sorta di insegnante, ed in mezzo a tutte quelle testoline fresche e frizzanti, anche i miei pensieri volavano alti come non mai.
Riassumere quanto mi fu dato da quei bimbi non è per me cosa possibile, e neanche dopo tanti anni saprei descrivere quella soddisfazione: mentre io insegnavo a loro, loro insegnavano a me e mi spronavano a non abbandonare mai i miei Sogni.
Lei si stava per laureare, e già tre anni erano trascorsi tra storie di telecamera ed Amore.
Fu in quel momento che decisi di uscire dal nido per non farvi mai più ritorno, mettendo per la prima volta il mio nome su di un campanello e trasferendo bagagli, pacchetti e speranze in quella nuova casa.
I tigli ed i lecci a quindici metri dall'uscio di casa, il bosco a trenta passi e quell'orto sotto alla terrazza mi facevano sentire in campagna pur vivendo nel paese.
Una pianta di lavanda fu trapiantata in un vecchio vaso di coccio, e la mia prima notte in quell'appartamento trascorse insonne e con il cuore che cantava contentezza.
Queste le altre parti del racconto:
http://agricoltoreanacronistico.blogspot.it/2016/02/racconto-di-vita-anacronistica-per-un.html
Che bello iniziare questa domenica piovosa leggendoti, nel silenzio delle 6 del mattino, caffè e pane e marmellata, immaginando il piccolo paese, il sasso dei pensieri , il bosco, ritrovandomi, dopo tanti e tanti anni, in tanti pensieri e sensazioni...
RispondiEliminaGrazie per questo inizio di giornata
Emanuela
Mi fa piacere sapere che le mie parole possano evocare vecchi pensieri e sensazioni.
EliminaIo credo che questo mio raccontarmi non debba essere un'autocelebrazione o piuttosto una vetrina, ma debba proprio fare quanto è accaduto a te, essere da spunto per vecchi ricordi o nuove riflessioni.
Grazie tante Emanuela.
A.A.
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiEliminaBello!!! Grazie!!
RispondiEliminaGrazie a te
EliminaA.A.
alberto ha lasciato un nuovo commento sul tuo post "Racconto di Vita Anacronistica: storie di telecame...":
RispondiEliminaoilà! abbiamo fatto lo stesso mestiere... mi sa però che ne sai più di me, visto che hai lavorato in tv, mentre io ci ho sempre capito veramente poco, vado di tagli rudimentali e tuttora perdo lavori perchè non so mettere un logo!! per quanto, negli anni che ho iniziato io il digitale manco c'era e si montava con i nastri umatic o vhs addirittura e i registratori a cassettoni, i mixer e le centraline... e quindi il digitale quando è arrivato, m'è sembrato talmente pazzesco che mi sono limitato a imparare le basi minime del digitale, che già quelle erano un enorme passo in avanti rispetto al montaggio lineare!! vero è che cambia tutto velocemente, di recente m'è pure capitato di fare riprese direttamente con l'ipad, montarle lì per lì con imovie e metterle subito su youtube o facebook nel giro di pochi minuti... e per quello che devono servire, vanno più che bene anche così...
è anche vero che ti pagano sempre di meno... qui a Firenze molti operatori accettano lavori pagati a cifre sempre più irrisorie... comincia a diventare un secondo lavoro o magari solo un hobby che permette di fare due soldi... oppure e alla fine è una idea meno scema di quello che potrebbe sembrare, mettersi a fare video per concorsi o premi video... non è facile ma nemmeno impossibile e se si hanno delle idee e si prova a realizzarle bene, per i documentari è un bel momento... si rischia seriamente di tirare su più soldi così, a fine anno, che a fare l'operatore di ripresa...
comunque, da quando mi sono trasferito a Bagno a Ripoli, mi trovo un pò nella medesima situazione che descrivi... e sì che Bagno a Ripoli è a 2 km dal viale Europa a Firenze, non c'è nemmeno una vera frattura tra le case che di fatto non si interrompono tra la periferia della città e il paese... eppure, qui mi guardano come un ufo... tanto più quando spiego che faccio video per internet (lì l'occhiata sospetta arriva quasi sempre) e che in sostanza non sarei nemmeno un "videomaker" ma addirittura un "videoblogger" .. in genere a quel punto rinunciano a capire che cosa diavolo faccio... è anche vero che succede lo stesso anche con i fiorentini di città per i quali l'idea di blogger video o anche blogger e basta è assolutamente incomprensibile, almeno per la maggior parte di loro!
Ciao Alberto,
Eliminaovvio al solito problema e faccio COPIA&INCOLLA del tutto, certo che ti vada bene anche così.
Il lavoro del videomaker è sempre stato tanto affascinante quanto complicato, ed ha rappresentato una delle svolte più importanti della mia vita: grazie a questa passione nata per caso e per necessità, ho avuto modo di girare posti, incontrare gente, conoscere storie, ed anche di campare in modo dignitoso.
Ho iniziato con i vhs, poi i vhs-c, gli Hi8, il Betacam, i miniDv sino ai DVcam, ma...
...ma l'arrivo dell'HD mi ha messo di fronte ad una scelta importante: adeguarmi o fermarmi.
Com'è andata a finire credo che sia scontato.
Non ho mai postato nulla in internet, ma ho partecipato a diversi festival con due cortometraggi.
Per quanto concerne la documentaristica, è la più affascinante delle strade, ma purtroppo anche la più inflazionata (oggi).
A mio parere si trova sin troppo materiale spazzatura travestito da documentario, e si tendono a seguire dei format statunitensi che hanno denaturato (ed utilizzo un eufemismo) la bellezza del classico Documentario.
Ho lavorato anche a Firenze, perlomeno occasionalmente, ed ho collaborato con numerosi colleghi in giro per l'Italia, ma l'idea che avevamo tutti era che la tecnologia telefonica avrebbe (e di fatto ha) sostituito una buona parte delle opere artigianali fatte da...artigiani, appunto.
Ho montato per molti anni, utilizzando software ed hardware Pinnacle, Adobe Premiere, Final Cut e sopratutto Canopus (quest'ultima la mia rpeferita seppur la più complicata da usare).
Racconterò poi altri aneddoti su quanto ho fatto e non ho fatto con i video.
Ciao
A.A.
Coinvolgente la passione che metti in tutto ciò che fai. Quella passione che richiede sacrifici, ma che elargisce tante soddisfazioni. Buona serata.
RispondiEliminaIn molte occasioni della Vita la Passione è stata l'unico motore, mentre in altre è comunque stata una fedele alleata: sempre presente, magari trattenuta, magari volutamente ignorata, ma sempre presente.
EliminaCiao Sabrina e grazie
A.A.
Citando il tuo incipit: "il sapore più profumato che i miei occhi avessero mai ascoltato"
RispondiEliminaGusto, olfatto, vista, udito... e il tatto poverino dove lo hai lasciato?
Ah eccolo nella frase dopo!
Gran bel racconto
"Ero trattenuto nelle mani di Lei..."
RispondiEliminaNon mi rileggo mai in questi miei scritti, e farlo mi imbarazza sempre.
L'ho riletto, ed ho trovato una punteggiatura piuttosto creativa ed oltremodo opinabile, oltre che l'omissione di molti aneddoti magari necessari ai fini narrativi, ma va bene così...
Ciao
A.A.
:)
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