Mi sveglio, e nella giornata che nasce trovo entusiasmo e forza.
Esco di casa, mentre il cielo si fa scuro: un temporale che arriva.
Fermo sotto alla pergola guardo le rondini che nel volo mattutino si abbassano più del solito.
"Pioverà a breve" mi dico, mentre un tuono fa eco ai miei pensieri.
La cagna sotto ai cipressi mi abbaia in modo strano: mi accosto, le sgancio la catena, e lei continua ad abbaiare.
Le mammelle ingrossate annunciano che la gravidanza sta volgendo al suo termine, e l'irrequietudine dell' animale che non è mai stato madre è tutta in quello scodinzolio scoordinato ed abbaiare ingiustificato.
Mangia poco e mi segue: in questo trovo un'abitudine lunga quanto la sua vita.
Dalle capre sento troppi belati: "Quanto chiasso che c'è stamani al Podere..." borbotto sotto ai baffi, mentre libero il becco dal suo "scomparto notturno".
Il periodo dei calori delle femmine è ufficialmente iniziato, ed il "puzzo" del maschio marca l'ambiente e le mie narici.
Ma il becco è strano: non vuole mangiare, e mi osserva annusando l'aria e scrutando il cielo.
Stiamo in silenzio, fianco a fianco, e poi libero le capre.
La capobranco mi si accosta e cerca la mia mano per la carezza, dopo di che allunga il passo e raggiunge le altre, scostandole a suon di zuccate per la conquista del fieno migliore.
Esco dalla stalla solo dopo averla pulita, e scarico il letame in una parte dell'orto lasciata a riposo. Lì le deiezioni avranno almeno 9 mesi prima di essere smosse, e tale tempo servirà affinché si spengano (maturino).
Le prime gocce, fresche, dipingono la terra polverosa.
Affretto il ritmo, e seguito dalla fedele compagna a quattro zampe, vado nel pollaio.
Stranamente quest'oggi i galli non hanno iniziato le loro usuali competizioni canore, mentre son proprio le galline a becerare reclamando l'uscita.
Varcando il cancello, si gettano in una corsa ridicola dove, come signore robuste che corrono trattenendosi sui fianchi le ampie sottane, si gettano a capofitto sotto la vegetazione più bassa.
Aumenta il vento, i cipressi scuotono, le rondini spariscono: un tuono, ed è burrasca.
Mi bagno per rientrare in casa, mentre le saette colorano il cielo grigio.
La cagna decide di bagnarsi, pur di vegliare sull'uscio di casa, mentre la gatta domestica si nasconde sotto al camino.
Ancora un tuono, poi un'altro, ed ancora un'altro: va via la luce di casa.
Non mi sposto dalla porta a vetri, e continuo ad osservare il glicine che cede fogliame sotto alla pioggia adesso violenta.
Sono passati solo dieci minuti, e sento le grondaie donare un fiume d'acqua raccolto nelle cisterne.
La pioggia si fa orizzontale.
E' burrasca.
La cagna demorde, e corre nella sua cuccia a ripararsi da tanto impeto pluviale.
Ancora un tuono, poi un'altro, e calma l'acquazzone.
mentre spiove il sole buca le nuvole, e lascia fumare la terra.
Sono le 8 del mattino, e adesso è caldo: la giornata può iniziare.
tra autarchia e visionarietà, stoicismo e pragmatismo: una raccolta di tradizioni, quotidianità e progetti di un amante della campagna che vede nella Naturalità l'unica via
Taglio dell'erba per gli animali del podere

mercoledì 19 agosto 2015
mercoledì 5 agosto 2015
Comunicazione CNR: luglio 2015 il più caldo di sempre
Mi permetto di girare qui il comunicato stampa del CNR (Centro Nazionale delle Ricerche) in merito alle temperature del mese di Luglio.
04/08/2015
Credo che la notizia possa e debba essere ampiamente commentata, anche in questo piccolo angolo dove spessissimo parliamo di clima e temperature.
04/08/2015
Luglio 2015 è stato, per l'Italia, un mese estremamente caldo, facendo segnare un'anomalia di circa +3.6°C sopra la media del periodo di riferimento (1971-2000) e risultando pertanto il luglio più caldo dal 1800 ad oggi, ovvero da quando si eseguono osservazioni strumentali nel nostro Paese.
L'anomalia ha addirittura superato di circa un grado quella del luglio 2003, che si fermò a +2.6°C. Il 2003, fino al mese scorso, risultava il detentore di quattro primati mensili assoluti: i mesi di maggio, giugno, luglio e agosto erano infatti i più caldi di sempre con anomalie rispettivamente di +2.8°C, +4.82°C, +2.6°C e +3.8°C rispetto al periodo di riferimento.
L'anomalia record di luglio 2015 porta anche la media "parziale" dell'anno in corso (calcolata sul periodo gennaio-luglio) ad un'anomalia superiore a quella del 2014, che - ricordiamo - chiuse a +1.45°C come anno più caldo di sempre.
Le precipitazioni di luglio 2015 per l'Italia, infine, sono state piuttosto contenute, con anomalie negative sulla maggior parte del territorio.
L'anomalia record di luglio 2015 porta anche la media "parziale" dell'anno in corso (calcolata sul periodo gennaio-luglio) ad un'anomalia superiore a quella del 2014, che - ricordiamo - chiuse a +1.45°C come anno più caldo di sempre.
Le precipitazioni di luglio 2015 per l'Italia, infine, sono state piuttosto contenute, con anomalie negative sulla maggior parte del territorio.
Credo che la notizia possa e debba essere ampiamente commentata, anche in questo piccolo angolo dove spessissimo parliamo di clima e temperature.
Lo sostengo oramai da almeno 20 anni: dobbiamo necessariamente fare qualcosa, tutti, contribuire, al fine di limitare le emissioni di CO2, e di contrastare questo (apparentemente) inesorabile aumento delle temperature.
Flora e Fauna ne risentono...e ne risentiranno sempre più.
Flora e Fauna ne risentono...e ne risentiranno sempre più.
Dall'Agricoltura, anzi....DALLA NATURA viene tutto quello che ci permette di vivere, non dimentichiamocelo.
lunedì 27 luglio 2015
Luglio 2015: tra caldo e piacere.
Svegliarsi prima dell'alba non è mai stato tanto piacevole.
Ricordo l'estate 2011, con quel Luglio freddo e quell'Agosto-Settembre così caldo...
Ricordo l'Agosto 2009...
...ma per ritrovare tanto calore devo rimandare la mia memoria alla famosa estate del 2003.
Ebbene, seguendo la regola per cui "il contadino non è mai contento delle stagioni che vengono", sarò sincero con voi e me stesso, e qui lascerò un commento Anacronistico su questa estate.
Bene!
Ci voleva il caldo!
Credo che quanto dico abbia maggior valore, visto che io notoriamente non ho un bel rapporto con le alte temperature, e che le giornate INFINITE stiano pesando il doppio con questo stellone che pigia sul capo.
Non cade una goccia d'acqua (degna di tale nome) dal giorno 19 giugno, ed in questi 38 giorni al Podere si son toccati i 38°C, con delle minime anche di 22°C.
Temperature Record (va tanto di moda usare questa parola...) visti i 500m sul livello del mare, la vicinanza alle montagne, e la discreta ventilazione che caratterizza il luogo in cui vivo.
Eppure...bene così.
Per chi era riuscito a seminare c'è stata una bella trebbiatura, ed i grani son tornati abbondanti nei magazzini e nelle stive dei poderi.
La fienagione della Medica ha offerto un secondo taglio abbondante, e per chi è in valle si sta preparando un ottimo terzo taglio.
Le Api hanno lavorato come matte, la frutta c'è, e l'orto pare gradire questa calura (purchè venga annaffiato con regolarità ed abbondanza): zucchino fiorentino, pomodoro pisanello, pomodoro costoluto di firenze, melanzane fiorentine, friggitelli, zucche turbante, zucche marina di chioggia, radicchio barba di frate, peperoni, peperoncini da far ripieni, porri, sedano e basilico...tanto basilico.
L'orto profuma l'aria, ed alla sera è un piacere trascorrervi quella mezz'ora per il raccolto quotidiano.
Le terre arate vengono arse dal sole come non accadeva da anni, e neanche mezza zanzare viene ad uggiare (dare fastidio) sin quassù.
Ho iniziato la fase di asciutta delle capre visto che le mungo dal primo di marzo e che il becco pare aver voglia di beccheggiare (iniziare a coprirle): hanno un bel pelo lustro, e sono sin troppo grasse.
Le Livorno hanno iniziato a calare con la produzione delle uova, e finalmente potranno dedicarsi al riposo ed alla muta (oramai prossima): producono da gennaio come non mai prima di quest'anno.
Le olive pendono dalle frasche, e seppur l'allegagione sia stata penalizzata dalle grandinate e dal forte vento di fine maggio, lasciano comunque promettere un raccolto "nella norma" (facendo i dovuti scongiuri).
I castagni, oramai in preda all'assalto del cinipide, quest'anno promettono qualche frutto.
La vigna è bella, reduce dall'inesorabile peronospora bastarda che in giugno ha comunque voluto lasciare il segno, e da un paio di attacchi di oidio (inevitabile nelle caldissime giornate di tramontana).
Insomma, queste mie parole hanno un sapore dolce, perchè ho trascorso gli ultimi due anni ad imprecare e veder marcire la roba, e tanto necessitavo di un netto segno di Vita Estiva.
Oltre al caldo l'estate ha portato anche la stanchezza (sorella siamese dell'entusiasmo), e questa mi ha provocato non pochi acciacchi: a trentasei anni continuo a chiedere al mio corpo molto di più di quanto dovrei, e con regolarità questo mi presenta il conto da pagare.
Ma non mi scoraggio, e lascio da parte l'orgoglio per dare spazio all'intelligenza, e mi lascio aiutare.
Domani caveremo le patate, gli agli e le cipolle: immagino che le pezzature siano notevolmente inferiori a quelle dell'estate 2014, ma poco conta.
Nell'aria c'è odore di polvere, di geranio, di orto, di trattore e di forno spento.
L'animo è mediamente agitato, le arrabbiature sono state tante, ma la campagna mi placa.
Svegliarsi prima dell'alba non è mai stato tanto piacevole, e la frescura del mattino rigenera più di mille preghiere: il sole nasce già caldo dal monte dietro casa, e da subito appiana tutto, dando Regola e Tempo.
L'uva sta invaiando, i caprioli continuano a bramire, l'odore di stalla non si fa pungente, ed io mi godo questa Vita, con i calli duri nelle mani, una spalla "svogliata", e le crepe sotto gli scarponi.
E tra un attimo sarà già vendemmia e frenesia.
Ma adesso è tempo di rallentare, sedersi alla meria (ombra), leggere un libro e fare l'indispensabile per recuperare le forze.
Luglio 2015: tra caldo e piacere
Ricordo l'estate 2011, con quel Luglio freddo e quell'Agosto-Settembre così caldo...
Ricordo l'Agosto 2009...
...ma per ritrovare tanto calore devo rimandare la mia memoria alla famosa estate del 2003.
Ebbene, seguendo la regola per cui "il contadino non è mai contento delle stagioni che vengono", sarò sincero con voi e me stesso, e qui lascerò un commento Anacronistico su questa estate.
Bene!
Ci voleva il caldo!
Credo che quanto dico abbia maggior valore, visto che io notoriamente non ho un bel rapporto con le alte temperature, e che le giornate INFINITE stiano pesando il doppio con questo stellone che pigia sul capo.
Non cade una goccia d'acqua (degna di tale nome) dal giorno 19 giugno, ed in questi 38 giorni al Podere si son toccati i 38°C, con delle minime anche di 22°C.
Temperature Record (va tanto di moda usare questa parola...) visti i 500m sul livello del mare, la vicinanza alle montagne, e la discreta ventilazione che caratterizza il luogo in cui vivo.
Eppure...bene così.
Per chi era riuscito a seminare c'è stata una bella trebbiatura, ed i grani son tornati abbondanti nei magazzini e nelle stive dei poderi.
La fienagione della Medica ha offerto un secondo taglio abbondante, e per chi è in valle si sta preparando un ottimo terzo taglio.
Le Api hanno lavorato come matte, la frutta c'è, e l'orto pare gradire questa calura (purchè venga annaffiato con regolarità ed abbondanza): zucchino fiorentino, pomodoro pisanello, pomodoro costoluto di firenze, melanzane fiorentine, friggitelli, zucche turbante, zucche marina di chioggia, radicchio barba di frate, peperoni, peperoncini da far ripieni, porri, sedano e basilico...tanto basilico.
L'orto profuma l'aria, ed alla sera è un piacere trascorrervi quella mezz'ora per il raccolto quotidiano.
Le terre arate vengono arse dal sole come non accadeva da anni, e neanche mezza zanzare viene ad uggiare (dare fastidio) sin quassù.
Ho iniziato la fase di asciutta delle capre visto che le mungo dal primo di marzo e che il becco pare aver voglia di beccheggiare (iniziare a coprirle): hanno un bel pelo lustro, e sono sin troppo grasse.
Le Livorno hanno iniziato a calare con la produzione delle uova, e finalmente potranno dedicarsi al riposo ed alla muta (oramai prossima): producono da gennaio come non mai prima di quest'anno.
Le olive pendono dalle frasche, e seppur l'allegagione sia stata penalizzata dalle grandinate e dal forte vento di fine maggio, lasciano comunque promettere un raccolto "nella norma" (facendo i dovuti scongiuri).
I castagni, oramai in preda all'assalto del cinipide, quest'anno promettono qualche frutto.
La vigna è bella, reduce dall'inesorabile peronospora bastarda che in giugno ha comunque voluto lasciare il segno, e da un paio di attacchi di oidio (inevitabile nelle caldissime giornate di tramontana).
Insomma, queste mie parole hanno un sapore dolce, perchè ho trascorso gli ultimi due anni ad imprecare e veder marcire la roba, e tanto necessitavo di un netto segno di Vita Estiva.
Oltre al caldo l'estate ha portato anche la stanchezza (sorella siamese dell'entusiasmo), e questa mi ha provocato non pochi acciacchi: a trentasei anni continuo a chiedere al mio corpo molto di più di quanto dovrei, e con regolarità questo mi presenta il conto da pagare.
Ma non mi scoraggio, e lascio da parte l'orgoglio per dare spazio all'intelligenza, e mi lascio aiutare.
Domani caveremo le patate, gli agli e le cipolle: immagino che le pezzature siano notevolmente inferiori a quelle dell'estate 2014, ma poco conta.
Nell'aria c'è odore di polvere, di geranio, di orto, di trattore e di forno spento.
L'animo è mediamente agitato, le arrabbiature sono state tante, ma la campagna mi placa.
Svegliarsi prima dell'alba non è mai stato tanto piacevole, e la frescura del mattino rigenera più di mille preghiere: il sole nasce già caldo dal monte dietro casa, e da subito appiana tutto, dando Regola e Tempo.
L'uva sta invaiando, i caprioli continuano a bramire, l'odore di stalla non si fa pungente, ed io mi godo questa Vita, con i calli duri nelle mani, una spalla "svogliata", e le crepe sotto gli scarponi.
E tra un attimo sarà già vendemmia e frenesia.
Ma adesso è tempo di rallentare, sedersi alla meria (ombra), leggere un libro e fare l'indispensabile per recuperare le forze.
Luglio 2015: tra caldo e piacere
sabato 20 giugno 2015
Racconto di Vita Anacronistica:la mia campagna ed un'età complicata (4° parte)
A sedici anni sono tante le idee che passano per la testa, e per me era già tempo di bilanci.
Pensavo spesso alla mia infanzia fatta di affetto ed attenzioni, immersa in tutti quei nonni e fatta di giratine e lunghe chiacchierate.
Pensavo e ricordavo quando desideravo essere un Vigile Urbano (prima) ed un Pompiere (dopo), e quando soffrivo all'idea che babbo e mamma mai avrebbero accettato un cane nella loro casa.
Pensavo e sorridevo "dall'alto" dei miei sedici anni, con un motorino da enduro di seconda mano che tanto mi faceva sembrare "più grande", mentre c'erano Amici che se ne andavano ed Amici che arrivavano.
A sedici anni conobbi l'Amore, quello fatto di struggimento e batticuore, quello che ti fa sognare e soffrire, ed entrai ufficialmente nel "frullatore della vita", accostandomici lentamente, sempre un passo indietro alla massa, sempre con un occhio a ciò che era considerato diverso o troppo lontano nel tempo.
A sedici anni ero uno studente, uno studente da seiemezzo, che continuava a stare ostinato nei suoi sogni, e che leggeva...anzi, divorava libri su libri: tutto m'interessava, e passavo dai grandi classici della narrativa italiana alla fantascienza, dai libri di politica a quelli di astronomia, dalle novelle dell'ottocento, agli autori internazionali contemporanei.
Carlo Cassola, Charles Dickens, Isaac Asimov, Pablo Neruda, Ernest Hemingway, Dante Alighieri, George Orwell, Renato Fucini (Neri Tanfucio), Arthur C. Clarke...questi forse i miei preferiti di allora (e molti lo sono tutt'oggi).
Leggevo, ed avevo bisogno di farlo, per ritrovarmi in quella dimensione che inevitabilmente rischiava di mancarmi in quel momento: avere sedici anni non era cosa facile per un ragazzo che amava le stelle e l'Agricoltura, che non aveva la ragazza e che si appassionava ad ascoltare la musica lirica, che si addentrava nelle proprie rivoluzioni, e che si ostinava a costruire il suo futuro.
Mattone dopo mattone, erigevo le fondamenta del mio essere Uomo, e sorridevo ai piaceri della Vita, senza però distrarmi troppo, sempre mantenendo una certa rigidità che mi manteneva solido nella mia posizione.
Ma la gioia più grande era rappresentata dai momenti in cui potevo stare in Campagna, e sentirmi "più vicino all'essere Uomo".
L'emozione di quella nuova esperienza racchiudeva tutta quella spontanea/soppressa voglia di "provare in Agricoltura": provare, e per la prima volta farlo con qualcosa di mio.
Cinque erano i kilometri che ci separavano da quel pezzo di terra dove le sperimentazioni erano finalmente possibili, dove potevo cimentarmi nell'opera che maggiormente sarebbe stata complicata per me: volevo coinvolgere babbo.
Sapevo che mia madre mi avrebbe seguito, nonostante gli impegni di lavoro, nonostante la sua scarsa preparazione, sapevo che per lei sarebbe bastato anche soltanto "un etto" del mio entusiasmo per essere coinvolta.
Sapevo che avevo anche i nonni dalla mia parte, e che avrei avuto un valido aiuto (magari anche pratico) nella gestione di questo impegno.
Ma sapevo che babbo sarebbe stato l'osso duro, e che coinvolgerlo prevedeva un piano ben preciso: invogliarlo, prendendola alla larga, senza mai forzare la mano.
Il fato volle che in quella terra ci fosse un laghetto, un laghetto che ai tempi frequentavamo come pescatori: silenzioso, lontano dalla gente, di cui ne conoscevamo il proprietario, e tutto ci faceva sentire "padroni" di quell'angolo verde.
Pescavamo, e mentre i fagiani cantavano, io guardavo quelle interminabili file di ulivi, quei vecchi prati da riseminare, e sentivo l'acqua (tanta acqua!) scrosciare. Una baracca di lamiera vuota, una grande voliera in disuso, ed una lunga striscia di terra che costeggiava il ruscello: tutto doveva apparire come "solo di contorno" al laghetto che adoravamo frequentare.
Non ho mai capito quanto fui realmente diabolicamente astuto nel farlo cedere, o quanto babbo seppe innamorarsi dell'idea di fare campagna, ma dal laghetto alla voliera il passo fu più breve del previsto.
Ricordo le sue parole: "Pochi animali. Poco impegno. E ci pensi te!"
In quel fare autoritario c'era tutta la voglia di condividere qualcosa con figliolo, e da lì a breve arrivarono i primi animali...e di lì a poco condividemmo uno dei momenti più belli della Mia Vita.
Andai in campagna, dall'amico A., e sua madre mi affidò i primi tre polli: una coppia di "Livornesi nani" (semplicemente dei meticci non ben definiti...) ed una femmina di Collo Nudo Italico.
Fiero della conquista, ricordo che lasciai i tre polli liberi nella voliera, e che subito feci capire ai miei quanto quella voliera fosse Troppo" grande per quei tre polli".
Trascorsero due mesi, il giusto tempo per metabolizzare la cosa, e capire che "visto che si doveva andare alla terra per tre polli...potevamo anche tenerne qualche altro!".
Arrivarono le prime quattro galline ovaiole, e dopo poco le gallinelle (faraone).
I miei sabati pomeriggio erano divenuti improvvisamente così brillanti, e quell'odore di pollaio mi faceva sentire più vicino a quello che volevo diventare.
A scuola parlavo con i miei amici di tutto questo, e tutti avevano consigli da darmi su come gestire quelle bestiole, e cosa dare da mangiare loro.
Ed ecco che il compagno di classe, quello con l'onda nei capelli, mi volle fare un regalo: una coppia di anatroccoli appena nati, che direttamente dalla sua "montagna- non montagna", mi portò in una scatola da scarpe accuratamente forata.
Uscii da scuola un'ora prima quel giorno, e seduto in un angolo fuori dalle Poste, mi godevo quella calda giornata con la scatola sulle ginocchia, e guardavo quegli anatroccoli giocherellare tra le mie mani. Sul pullman, durante il viaggio di ritorno, contavo i minuti che mi separavano dall'incontro con i miei genitori, ed ero ansioso di portare questi due nuovi piccoli animali nella mia "Fattoria".
Non ricordo bene come andò, ma ricordo che Nanù, questo il nome del maschio, si fece largo nei nostri cuori e che tutt'oggi viene nominato da mia madre con gli occhi lustri d'emozione.
Arrivarono poi i conigli, le colombelle, altre galline, ed il lavoro aumentò notevolmente.
Era babbo che se ne sobbarcava il peso, in un momento in cui lo studio mi stava assorbendo sin troppo.
Continuavo a leggere, frequentavo nuovi amici, e facevo le mie interminabili giratine (questa volta con il motorino) per poderi abbandonati ad immaginare ristrutturazioni e riorganizzazioni.
Continuavo anche a frequentare il podere di A. anche quando lui decise di lasciare la scuola ed andare a lavoro fuori: la sua mamma non stava bene in salute, e le pecore da mungere erano sempre tante, e fu così che mi chiese un aiuto, e che per un periodo cavalcavo il mio motorino ogni qualvolta potevo per andare ad aiutarla.
Lei mi regalava sempre un bottiglione di latte, ed al mio ritorno a casa mi dilettavo a fare il rovaggiolo o qualche piccola forma di cacio.
L'odore del latte nelle mani tutt'oggi è uno tra i profumi che preferisco.
La mia adolescenza non è stata certo uno dei momenti migliori, e sopratutto il periodo che va dai sedici ai diciotto anni era fatto di rinunce, delusioni, battute d'arresto. Ma l'entusiasmo non mi mancava, e seppur spesso mi sentissi solo nelle mie convinzioni, andavo avanti con ottimismo: era facile avere amici parlando di motocross ed auto da corsa, discoteca e vestiti alla moda...mentre meno facile (ed era il mio caso) lo era parlando di trattori ed orto, mungitura e poderi.
Rimanevano sempre i tre amici della scuola: il ragazzone delle pianure, quello con gli occhietti ravvicinati, e quello con l'onda nei capelli.
Per loro era comunque facile essere in quel modo, visto che erano figli e nipoti di agricoltori, e che vivevano in paesi/comunità che si basavano sull'agricoltura; io rimanevo il primo della razza mia ad aver fatto quella scelta, e questo spesso faceva apparire tutto più difficile.
Al mio paese cercavo di adeguarmi, per sopravvivere in quella jungla spietata fatta di adolescenti che volevano fuggire dalla campagna fatta di miseria e sporcizia.
Poi un giorno mi svegliai, ed il calendario mi ricordò che avevo 18 anni: finalmente maggiorenne, ricordo il senso di libertà che provai nel fare il mio primo giro in motorino senza casco, con una qualche sigaretta nascosta chissà dove, e quel girare di primo mattina lungo le strade della campagna attorno al paese.
Pranzammo da mia Zia, e per l'occasione mi misi a far "discorsi da grande" al tavolino, facendo sorridere i miei perenti: per lo Stato ero grande, e per regalo ricevetti una motozzappa.
"Cosa vorresti per i tuoi diciotto anni?"
Ricordo mio nonno, che sorridente mi chiedeva questo mentre passeggiavamo sotto i pini del parco di fronte a casa sua "...vorresti una moto più grande....oppure una macchina?"
Erano altri tempi, di quelli in cui si usava regalare la macchina (usata) al nipote, ma io non ebbi alcun dubbio sulla mia risposta, e di lì a poco mi scelsi una bellissima motozzappa nuova fiammante.
Quando oggi racconto questo faccio sorridere chi mi ascolta, ma io VERAMENTE LA DESIDERAVO più di una Uno, una Fiesta, o una 205.
Quando il furgone scaricò il bolide alla terra, ricordo nitidamente quanto il cuore mi battesse forte per l'euforia, e subito lanciai un'occhiata a babbo dicendo "Ora si fa sul serio!".
Quell'estate è stata eccezionale, fatta di tantissima campagna, nuovi amici (tra cui Enne), le ragazze, tanta musica, e quel sentirsi grande.
Presi la patente in meno di due mesi, mentre mi allenavo con 'auto di babbo tra gli olivi della terra che avevamo in gestione.
Facevo l'orto, e che orto: io mettevo idee, progettazione, forza lavoro e l'uso della motozzappa; babbo metteva la costanza, il quotidiano, l'estetica e le rifiniture.
La mattina spesso mi svegliavo presto, e andavo con babbo a cogliere la verdura, poi mi trattenevo con gli animali (avevamo tantissimi conigli), e poi era ora di rincasare, di sciacquarsi, e di andare con gli amici a zonzo...e la sera potevo finalmente fare tardi, andare alle feste, andare a ballare, e vivere quell'estate come mai prima ero riuscito a fare.
A settembre iniziai l'ultimo anno, quello del diploma, e la consapevolezza di essere ad un passo dal primo grande traguardo che mi ero prefissato mi dava adrenalina e consapevolezza.
Avevo finalmente amici che mi "accettavano" (e sopratutto mi volevan bene) per quello che ero, senza maschere scomode da sostenere, e che mi ascoltavano nei miei interminabili racconti, Avevo la maturità a pochi mesi di fronte a me. Avevo così tanti progetti...e vedevo avvicinarsi il mio Sogno: Vivere di Agricoltura.
Ma la Vita talvolta ti porta a fare strani giri...
Queste le altre parti del racconto:
http://agricoltoreanacronistico.blogspot.it/2015/04/racconto-di-vita-anacronistica-dal.html
http://agricoltoreanacronistico.blogspot.it/2015/04/racconto-di-vita-anacronisticala-mia.html
http://agricoltoreanacronistico.blogspot.it/2015/05/racconto-di-vita-anacronisticalo-studio.html
Pensavo spesso alla mia infanzia fatta di affetto ed attenzioni, immersa in tutti quei nonni e fatta di giratine e lunghe chiacchierate.
Pensavo e ricordavo quando desideravo essere un Vigile Urbano (prima) ed un Pompiere (dopo), e quando soffrivo all'idea che babbo e mamma mai avrebbero accettato un cane nella loro casa.
Pensavo e sorridevo "dall'alto" dei miei sedici anni, con un motorino da enduro di seconda mano che tanto mi faceva sembrare "più grande", mentre c'erano Amici che se ne andavano ed Amici che arrivavano.
A sedici anni conobbi l'Amore, quello fatto di struggimento e batticuore, quello che ti fa sognare e soffrire, ed entrai ufficialmente nel "frullatore della vita", accostandomici lentamente, sempre un passo indietro alla massa, sempre con un occhio a ciò che era considerato diverso o troppo lontano nel tempo.
A sedici anni ero uno studente, uno studente da seiemezzo, che continuava a stare ostinato nei suoi sogni, e che leggeva...anzi, divorava libri su libri: tutto m'interessava, e passavo dai grandi classici della narrativa italiana alla fantascienza, dai libri di politica a quelli di astronomia, dalle novelle dell'ottocento, agli autori internazionali contemporanei.
Carlo Cassola, Charles Dickens, Isaac Asimov, Pablo Neruda, Ernest Hemingway, Dante Alighieri, George Orwell, Renato Fucini (Neri Tanfucio), Arthur C. Clarke...questi forse i miei preferiti di allora (e molti lo sono tutt'oggi).
Leggevo, ed avevo bisogno di farlo, per ritrovarmi in quella dimensione che inevitabilmente rischiava di mancarmi in quel momento: avere sedici anni non era cosa facile per un ragazzo che amava le stelle e l'Agricoltura, che non aveva la ragazza e che si appassionava ad ascoltare la musica lirica, che si addentrava nelle proprie rivoluzioni, e che si ostinava a costruire il suo futuro.
Mattone dopo mattone, erigevo le fondamenta del mio essere Uomo, e sorridevo ai piaceri della Vita, senza però distrarmi troppo, sempre mantenendo una certa rigidità che mi manteneva solido nella mia posizione.
Ma la gioia più grande era rappresentata dai momenti in cui potevo stare in Campagna, e sentirmi "più vicino all'essere Uomo".
L'emozione di quella nuova esperienza racchiudeva tutta quella spontanea/soppressa voglia di "provare in Agricoltura": provare, e per la prima volta farlo con qualcosa di mio.
Cinque erano i kilometri che ci separavano da quel pezzo di terra dove le sperimentazioni erano finalmente possibili, dove potevo cimentarmi nell'opera che maggiormente sarebbe stata complicata per me: volevo coinvolgere babbo.
Sapevo che mia madre mi avrebbe seguito, nonostante gli impegni di lavoro, nonostante la sua scarsa preparazione, sapevo che per lei sarebbe bastato anche soltanto "un etto" del mio entusiasmo per essere coinvolta.
Sapevo che avevo anche i nonni dalla mia parte, e che avrei avuto un valido aiuto (magari anche pratico) nella gestione di questo impegno.
Ma sapevo che babbo sarebbe stato l'osso duro, e che coinvolgerlo prevedeva un piano ben preciso: invogliarlo, prendendola alla larga, senza mai forzare la mano.
Il fato volle che in quella terra ci fosse un laghetto, un laghetto che ai tempi frequentavamo come pescatori: silenzioso, lontano dalla gente, di cui ne conoscevamo il proprietario, e tutto ci faceva sentire "padroni" di quell'angolo verde.
Pescavamo, e mentre i fagiani cantavano, io guardavo quelle interminabili file di ulivi, quei vecchi prati da riseminare, e sentivo l'acqua (tanta acqua!) scrosciare. Una baracca di lamiera vuota, una grande voliera in disuso, ed una lunga striscia di terra che costeggiava il ruscello: tutto doveva apparire come "solo di contorno" al laghetto che adoravamo frequentare.
Non ho mai capito quanto fui realmente diabolicamente astuto nel farlo cedere, o quanto babbo seppe innamorarsi dell'idea di fare campagna, ma dal laghetto alla voliera il passo fu più breve del previsto.
Ricordo le sue parole: "Pochi animali. Poco impegno. E ci pensi te!"
In quel fare autoritario c'era tutta la voglia di condividere qualcosa con figliolo, e da lì a breve arrivarono i primi animali...e di lì a poco condividemmo uno dei momenti più belli della Mia Vita.
Andai in campagna, dall'amico A., e sua madre mi affidò i primi tre polli: una coppia di "Livornesi nani" (semplicemente dei meticci non ben definiti...) ed una femmina di Collo Nudo Italico.
Fiero della conquista, ricordo che lasciai i tre polli liberi nella voliera, e che subito feci capire ai miei quanto quella voliera fosse Troppo" grande per quei tre polli".
Trascorsero due mesi, il giusto tempo per metabolizzare la cosa, e capire che "visto che si doveva andare alla terra per tre polli...potevamo anche tenerne qualche altro!".
Arrivarono le prime quattro galline ovaiole, e dopo poco le gallinelle (faraone).
I miei sabati pomeriggio erano divenuti improvvisamente così brillanti, e quell'odore di pollaio mi faceva sentire più vicino a quello che volevo diventare.
A scuola parlavo con i miei amici di tutto questo, e tutti avevano consigli da darmi su come gestire quelle bestiole, e cosa dare da mangiare loro.
Ed ecco che il compagno di classe, quello con l'onda nei capelli, mi volle fare un regalo: una coppia di anatroccoli appena nati, che direttamente dalla sua "montagna- non montagna", mi portò in una scatola da scarpe accuratamente forata.
Uscii da scuola un'ora prima quel giorno, e seduto in un angolo fuori dalle Poste, mi godevo quella calda giornata con la scatola sulle ginocchia, e guardavo quegli anatroccoli giocherellare tra le mie mani. Sul pullman, durante il viaggio di ritorno, contavo i minuti che mi separavano dall'incontro con i miei genitori, ed ero ansioso di portare questi due nuovi piccoli animali nella mia "Fattoria".
Non ricordo bene come andò, ma ricordo che Nanù, questo il nome del maschio, si fece largo nei nostri cuori e che tutt'oggi viene nominato da mia madre con gli occhi lustri d'emozione.
Arrivarono poi i conigli, le colombelle, altre galline, ed il lavoro aumentò notevolmente.
Era babbo che se ne sobbarcava il peso, in un momento in cui lo studio mi stava assorbendo sin troppo.
Continuavo a leggere, frequentavo nuovi amici, e facevo le mie interminabili giratine (questa volta con il motorino) per poderi abbandonati ad immaginare ristrutturazioni e riorganizzazioni.
Continuavo anche a frequentare il podere di A. anche quando lui decise di lasciare la scuola ed andare a lavoro fuori: la sua mamma non stava bene in salute, e le pecore da mungere erano sempre tante, e fu così che mi chiese un aiuto, e che per un periodo cavalcavo il mio motorino ogni qualvolta potevo per andare ad aiutarla.
Lei mi regalava sempre un bottiglione di latte, ed al mio ritorno a casa mi dilettavo a fare il rovaggiolo o qualche piccola forma di cacio.
L'odore del latte nelle mani tutt'oggi è uno tra i profumi che preferisco.
La mia adolescenza non è stata certo uno dei momenti migliori, e sopratutto il periodo che va dai sedici ai diciotto anni era fatto di rinunce, delusioni, battute d'arresto. Ma l'entusiasmo non mi mancava, e seppur spesso mi sentissi solo nelle mie convinzioni, andavo avanti con ottimismo: era facile avere amici parlando di motocross ed auto da corsa, discoteca e vestiti alla moda...mentre meno facile (ed era il mio caso) lo era parlando di trattori ed orto, mungitura e poderi.
Rimanevano sempre i tre amici della scuola: il ragazzone delle pianure, quello con gli occhietti ravvicinati, e quello con l'onda nei capelli.
Per loro era comunque facile essere in quel modo, visto che erano figli e nipoti di agricoltori, e che vivevano in paesi/comunità che si basavano sull'agricoltura; io rimanevo il primo della razza mia ad aver fatto quella scelta, e questo spesso faceva apparire tutto più difficile.
Al mio paese cercavo di adeguarmi, per sopravvivere in quella jungla spietata fatta di adolescenti che volevano fuggire dalla campagna fatta di miseria e sporcizia.
Poi un giorno mi svegliai, ed il calendario mi ricordò che avevo 18 anni: finalmente maggiorenne, ricordo il senso di libertà che provai nel fare il mio primo giro in motorino senza casco, con una qualche sigaretta nascosta chissà dove, e quel girare di primo mattina lungo le strade della campagna attorno al paese.
Pranzammo da mia Zia, e per l'occasione mi misi a far "discorsi da grande" al tavolino, facendo sorridere i miei perenti: per lo Stato ero grande, e per regalo ricevetti una motozzappa.
"Cosa vorresti per i tuoi diciotto anni?"
Ricordo mio nonno, che sorridente mi chiedeva questo mentre passeggiavamo sotto i pini del parco di fronte a casa sua "...vorresti una moto più grande....oppure una macchina?"
Erano altri tempi, di quelli in cui si usava regalare la macchina (usata) al nipote, ma io non ebbi alcun dubbio sulla mia risposta, e di lì a poco mi scelsi una bellissima motozzappa nuova fiammante.
Quando oggi racconto questo faccio sorridere chi mi ascolta, ma io VERAMENTE LA DESIDERAVO più di una Uno, una Fiesta, o una 205.
Quando il furgone scaricò il bolide alla terra, ricordo nitidamente quanto il cuore mi battesse forte per l'euforia, e subito lanciai un'occhiata a babbo dicendo "Ora si fa sul serio!".
Quell'estate è stata eccezionale, fatta di tantissima campagna, nuovi amici (tra cui Enne), le ragazze, tanta musica, e quel sentirsi grande.
Presi la patente in meno di due mesi, mentre mi allenavo con 'auto di babbo tra gli olivi della terra che avevamo in gestione.
Facevo l'orto, e che orto: io mettevo idee, progettazione, forza lavoro e l'uso della motozzappa; babbo metteva la costanza, il quotidiano, l'estetica e le rifiniture.
La mattina spesso mi svegliavo presto, e andavo con babbo a cogliere la verdura, poi mi trattenevo con gli animali (avevamo tantissimi conigli), e poi era ora di rincasare, di sciacquarsi, e di andare con gli amici a zonzo...e la sera potevo finalmente fare tardi, andare alle feste, andare a ballare, e vivere quell'estate come mai prima ero riuscito a fare.
A settembre iniziai l'ultimo anno, quello del diploma, e la consapevolezza di essere ad un passo dal primo grande traguardo che mi ero prefissato mi dava adrenalina e consapevolezza.
Avevo finalmente amici che mi "accettavano" (e sopratutto mi volevan bene) per quello che ero, senza maschere scomode da sostenere, e che mi ascoltavano nei miei interminabili racconti, Avevo la maturità a pochi mesi di fronte a me. Avevo così tanti progetti...e vedevo avvicinarsi il mio Sogno: Vivere di Agricoltura.
Ma la Vita talvolta ti porta a fare strani giri...
Queste le altre parti del racconto:
http://agricoltoreanacronistico.blogspot.it/2015/04/racconto-di-vita-anacronistica-dal.html
http://agricoltoreanacronistico.blogspot.it/2015/04/racconto-di-vita-anacronisticala-mia.html
http://agricoltoreanacronistico.blogspot.it/2015/05/racconto-di-vita-anacronisticalo-studio.html
mercoledì 17 giugno 2015
Ancora pioggia
E' proprio quando il sonno si fa(rebbe) più pesante e profondo che, mi sveglio un istante prima del suono della vecchia sveglia a molla, e la stacco.
Mi giro, cerco mia moglie nella stanza ancora buia, e sento il primo dei galli che scandisce il canto.
Mi alzo, e senza accendere la luce, mi sposto verso il bagno dove apro la finestra respirando a fondo, ma...l'aria è umida, ancora.
Il giorno tarda a farsi luce, e le nuvole coprono l'orizzonte.
Il primo pensiero...inevitabile...va alla vigna, e a quel tempo "da peronospora" che anche in questo giugno 2015 non se ne vuole andare.
Mi vesto, mentre il cane ancora ronfa beato, e la gatta si arruffiana per ricevere il pasto mattutino.
Nella cucina l'odore di "stufa spenta" prevale su tutti gli altri, facendo quasi svanire quello di cipresso del tavolone di sala, o quello di cucinato della sera prima, o di lavanda e rosmarino.
Apro le finestre, tutte, e scruto il cielo alla ricerca di una qualche speranza, ma...anche oggi pioverà.
...
Questo l'inizio delle ultime giornate, mentre i giorni passano, e gli interventi in vigna si fanno ripetuti come la passata stagione.
Ogni giorno poi, tra le 12 e le 14, arriva il temporale.. con la botta d'acqua che pare voler sfondare il tetto della stalla.
Ogni giorno la medesima dinamica: risveglio nell'umidità, cielo plumbeo. all'ora di pranzo un bell'acquazzone, nel pomeriggio arriva il sole ed il terreno "ribolle".
Le rondini volano basse, le ossa mi dolgono, ed il fango si accumula sotto gli scarponi.
I racconti di grandinate disturbano il nostro desinare, e cerchiamo di essere ottimisti, nella speranza che almeno la grandine scarichi laddove farebbe meno danno.
I pomodori nell'orto crescono, e le patate iniziano a fiorire.
Le capre reclamano il pascolo, ed io un pò di sole.
Mi giro, cerco mia moglie nella stanza ancora buia, e sento il primo dei galli che scandisce il canto.
Mi alzo, e senza accendere la luce, mi sposto verso il bagno dove apro la finestra respirando a fondo, ma...l'aria è umida, ancora.
Il giorno tarda a farsi luce, e le nuvole coprono l'orizzonte.
Il primo pensiero...inevitabile...va alla vigna, e a quel tempo "da peronospora" che anche in questo giugno 2015 non se ne vuole andare.
Mi vesto, mentre il cane ancora ronfa beato, e la gatta si arruffiana per ricevere il pasto mattutino.
Nella cucina l'odore di "stufa spenta" prevale su tutti gli altri, facendo quasi svanire quello di cipresso del tavolone di sala, o quello di cucinato della sera prima, o di lavanda e rosmarino.
Apro le finestre, tutte, e scruto il cielo alla ricerca di una qualche speranza, ma...anche oggi pioverà.
...
Questo l'inizio delle ultime giornate, mentre i giorni passano, e gli interventi in vigna si fanno ripetuti come la passata stagione.
Ogni giorno poi, tra le 12 e le 14, arriva il temporale.. con la botta d'acqua che pare voler sfondare il tetto della stalla.
Ogni giorno la medesima dinamica: risveglio nell'umidità, cielo plumbeo. all'ora di pranzo un bell'acquazzone, nel pomeriggio arriva il sole ed il terreno "ribolle".
Le rondini volano basse, le ossa mi dolgono, ed il fango si accumula sotto gli scarponi.
I racconti di grandinate disturbano il nostro desinare, e cerchiamo di essere ottimisti, nella speranza che almeno la grandine scarichi laddove farebbe meno danno.
I pomodori nell'orto crescono, e le patate iniziano a fiorire.
Le capre reclamano il pascolo, ed io un pò di sole.
lunedì 8 giugno 2015
Gli attrezzi si rompono quando si usano: fienagione 2015
Domenica 31 Maggio
Sono nell'aia sin dalle prime luci del mattino, ed attacco la barra falciante al trattore: ogni volta questo attrezzo mi fa tribolare non poco, ma ci riesco con l'aiuto di un amico che è venuto a darmi una mano.
Sono le 8:00 quando il trattore è di fronte alla baracca/officina, ed inizia la fase di pulitura: compressore e tanta pazienza, per soffiar via lo sporco.
Tocca poi all'untata generale, effettuata con una miscela di gasolio agricolo e fondo di tino di olio d'oliva (rapporto 1:1): con il pennello ripasso tutte le parti "scoperte" come gli ingrassatori, i lamini, gli ingranaggi, gli attacchi.
E poi giunto il momento di ingrassare la macchina, e con l'ausilio della pompa ingrassatrice riempio sino allo spurgo ogni parte provvista di ingrassatore.
Ed ecco la prova: si accende il trattore, si avvia la presa di potenza, e...la barra lavora bene.
Richiudo e vado nel campo: sono le 11:30, ed inizio a sfalciare il prato.
Loietto, ginestrino, trifogli vari e tanta festuca: il fieno atterra, e come pettinato tinge il campo d'argento.
Una pausa di due ore, ed ecco che alle 15:00 sono di nuovo a sfalciare. Sono 27° e non ho neanche un accenno di cabina o tettuccio di protezione. Non c'è vento
Termino il campo del "lato laghetto" (ogni campo ha il suo nome) alle 20:20.
Ci sono gli animali da fare, le capre da mungere, ed una doccia che mi aspetta: si cena alle 22:10.
Lunedì 1 Giugno.
Alle 5:20 ho già munto gli animali, pulito le stalle, dato da mangiare a tutti, ed accendo il trattore per portarlo nel campo "lato strada".
La rugiada mi dice che devo aspettare, e quindi ritorno a piedi al podere e lavoro: lavoro nella baracca/officina continuando a ripulire il ranghino.
Alle 9:00 torno nel campo, e l'erba è oramai asciuttissima: parto e porto avanti 1/3 del lavoro.
Mi suonano dalla strada, mi distraggo per vedere chi era, ed aggancio l'unico paletto di ferro posto nel confine del campo. la barra falciante rimane appuntata con la puntazza, e si piega.
Provo a vedere se scorre, e funziona, ma non è più dritta, ed il taglio viene male.
Procedo per circa mezzora, imprecando e sudando, ma il lavoro viene male: se lascio l'erba tagliata troppo alta, c'è poi il rischio che la ranghinatura prima e la pressatura dopo diano molti problemi. L'erba deve essere rasa, e non smezzata, altrimenti tratterrà il fieno tagliato.
So spiro nuovamente, e decido di farmi aiutare dall'amico di sempre: arriva, e per due ore siamo nell'aia a cercare di riportare la barra alla sua originale posizione.
Ci riusciamo, solo in parte, ma mi accontento e torno nuovamente nel campo: sono le 15:00 e il termometro segna 29°.
Adesso la lama taglia in modo soddisfacente, ma la puntazza si appunta, e carica terra: mi fermo nuovamente, e cerco di trovare una soluzione nel più breve tempo possibile.
Sono le 19:00 quando corro in paese a cercare una puntazza nuova: ne trovo una, non è la sua originale ma spero di poterla adattare.
Torno al podere, mi armo di pazienza e saldatrice, e provo...invano. Il pezzo non combacia.
Desisto: sono le 21:10 e devo ancora fare gli animali.
Ceno alle 22:40.
La notte non dormo.
Martedì 2 Giugno
Non onoro la festa, ed alle 4:40 sono nell'aia: approfitto della frescura per trovare una qualche soluzione, e ci riesco saldando una sorta di slitta nel vertice della puntazza, in modo che questa non si appunti sul terreno.
Sono nel campo alle 7:00, l'erba è asciuttissima, e riesco a terminare il lavoro per le ore 13:20.
Sono 30°, e la pelle delle braccia mi odora di estate e morchia.
Devo riposare, e crollo sul divano, quando...suona il telefono: sobbalzo, impreco nuovamente, rispondo. E' il mio amico che ha un problema con la mia falciatrice che gli avevo prestato per sfalciare i suoi campi.
Corro con la macchina ad 8 kilometri da casa mia, è saltato un lamino della barra.
Dove lo trovo un lamino alle 15:00 del due di giugno?
Si fa un giro di telefonate, ed in un borgo a 10 kilometri si trova quanto cerchiamo.
Parto, mentre per la strafa i serpenti mi attraversano.
Prendo il lamino, prendo i ribattini per fissarlo, bevo mezzo bicchiere di vino per cortesia, riparto.
Alle 17:50 siamo pronti per ripartire...proviamo la barra e funziona.
Saluto l'amico e corro nella vigna: devo trattare.
La tisana di ortica è pronta, come il decotto di equiseto, e poi poltiglia bordolese e poco zolfo.
Riempio la botte da 8q.li, e parto.
Dopo 10 minuti sento un botto, mi giro: è saltato un ugello della botte. lo cerco, non lo trovo: poco male, e compenso con gli altri ugelli.
Riparto, e dopo 10 viti di numero vedo del fumo uscire dal cofano del trattore.
Stacco tutto, sembro matto e corro ad alzare il cofano: una fumata bianca.
Penso mille cose, ma tutte e mille mi riportano ad un unica soluzione: ho bruciato la testata.
Non è possibile, il termometro dell'acqua segnava la giusta temperatura...si dirada il vapore (perchè di vapore di trattava) e vedo il danno: un tubicino di gomma oramai logoro e crepato, aveva ceduto.
Provo ad aggiustarlo, ci riesco quanto basta per tornare nell'aia.
Sono le 20:40, e devo fare gli animali, mungere e riprendere la via di casa.
Mercoledì 3 Giugno
Mi svegli ad un'ora civile, e mi lascio aiutare da babbo per fare gli animali.
Corro dal meccanico, che apre l'officina trovandomi di fronte alla saracinesca, lo porto nell'aia, si cambia il tubicino e riparto.
Termino di trattare la vigna alle 12:00
Lavo la botte, la stacco, attacco il ranghino e mi fermo per il pranzo.
Alle 14:00, mi dirigo verso il campo "lato laghetto"ed inizio ad andanare il fieno.
Consapevole del fatto che era ancora troppo caldo per smuovere quel fieno, non posso permettermi altre pause, e vado avanti.
Ore 15:30, un rumore secco, e si spezza la sede di uno dei bracci che pettinano il fieno per andanarlo.
Non so come fare, ma faccio una corsa a casa: prendo 5-6 attrezzi, qualche dado e bullone, e torno nel campo.
Rattoppo il problema, togliendo quel braccio, e decidendo di lavorare zoppo (non in modo ottimale).
Mi raggiunge un altro amico che sale sul trattore e mi racconta le sue vicissitudini.
Rientriamo al podere alle 21:30.
Si mangia una minestra d'orzo ed ortica, e qualche ammazzafegato rifatto in padella.
Alle 00:30 mi faccio la doccia, e prendo la via del letto.
Giovedì 4 Giugno
Non ho chiuso occhio.
Son fiducioso, e sposto il ranghino nel campo lato strada, e parto a lavorare che albeggia.
Le rondini mi sfiorano il cappello di paglia, ancora le macchine non mangiano l'asfalto, e mi godo il profumo del mattino.
Alle 10;30, quando sono a metà dell'opera, si rompe un'altro braccio pettine...e mi accorgo che l'ingranaggio generale scatta rumorosamente.
Torno al podere, e sino alle 13:30 lavoro di mola e saldatrice.
Sono 30°C, ed il sudore brucia come acido negli occhi. Ho il viso e la barba che odorano di limatura di ferro e di elettrodo di saldatura.
Mangio poco a pranzo, crollo di sonno, ma dopo un'ora devo ripartire: a fatica inforco la porta di casa, e traballante arrivo al trattore.
Torno nel campo lato strada, rimonto il ranghino, lo provo...non funziona.
Scendo dal trattore, ed incurante dei tanti ciclisti che passavano lì vicino, inizio a dar di matto, dando due calcioni a quell'attrezzo oramai inutile: si è rotto il sistema di ingranaggi che fa ruotare i bracci pettine.
Mi siedo a terra, e poi mi stendo: guardo le nuvole e mi addormento per dieci minuti.
Mi rialzo con un salto, il cuore viaggia a mille, ed ho un'idea.
Chiamo l'amico del borgo a 10 kilometri dove due giorni avanti ero andato a prendere il lamino per la barra falciante, e gli chiedo se mi può prestare il suo ranghino.
Acconsente, e prendo appuntamento per l'indomani mattina all'alba.
Non devo perdere tempo, e torno al podere: sono le 15:30 quando stacco il ranghino, attacco la macchina per pressare il fieno (la pressa), ed inizio con il campo lato laghetto.
Lavoro senza pause, ed alle 21 spengo il trattore, lasciandolo nel campo: 167 presse fatte, ed un campo terminato.
Rientro a casa, animali, mungitura, una doccia fresca, la cena, ed il letto.
Non dormo neanche mezzora.
Venerdì 5 Giugno
La sveglia...quella maledetta...suona alle 4:00
Mi lavo la faccia con l'acqua fredda, poi me la rilavo e me la rilavo nuovamente: ho gli occhi appiccicati e sbadiglio ogni dieci secondi.
Forse sono sveglio quanto basta, mungo le capre, e parto con la macchina.
Arrivo al borgo, ma c'è da andare a recuperare il ranghino da un'amico del mio amico...e si perde un'ora e mezzo.
Alle 6 in punto l'amara constatazione: il ranghino non entra nel cassone della macchina (pick up).
L'amico si offre di portarmelo a metà strada con il suo trattore, a me spetta il resto.
Alle 9:30 posso iniziare a ranghinare, e mi dedico a quei 2/3 del campo lato strada ancora da fare.
Mi raggiunge un amico, quello a cui avevo prestato la barra falciante, e si offre di aiutarmi con il suo trattore.
Accetto di buon grado, consapevole che la sciatica e la stanchezza mi avrebbero rallentato non poco.
Stacchiamo il ranghino dal mio e lo ri attacchiamo al suo. Mi sposto sul mio trattore, attacco la pressa, ed inizio a pressare quanto era stato fatto il giorno avanti.
E' caldo, ed alle 11:30 il termometro segna 33°.
Provo a cantare mentre lavoro, ma ho fatica anche in quello, quindi taccio, dondolato da quel ritmo tanto noioso quanto importante dato dal pressare.
Alle ore 13:50 l'ultima pressa è fatta, anche nella parte ranghinata dall'amico.
246 presse fatte in questo lato.
Torno a casa che sono le 14:20, pranzo con un'insalata fresca, e mi addormento alla televisione.
Alle 15:30 arrivano i rinforzi: l'amico di prima ed un altro ragazzo che iniziano a tirare su le presse.
Stacco la pressa, attacco la bodola (la cesta posteriore usata per manovrare la legna ed il fieno).
Io guido, gli altri caricano, tutti assieme scarichiamo le presse nella prima barcaia (stiva del fieno pressato).
Vediamo almeno 5 serpenti, la pelle brucia per il caldo, sudo il doppio di quanto riesca a bere.
Arriva la sera, ed alle 21 abbiamo terminato.
Animali, mungitura, doccia, cena...e questa volta mi addormento alle 23:00...e dormo.
Sabato 6 Giugno
Avevo detto che ci saremmo visti alle 6, ma alle 5:30 c'erano già i due amici nell'aia.
Mi sbrigo a mungere e delego a babbo il resto dei lavori mattutini.
Si parte con il trattore per il fresco, alla volta del campo lato strada.
Assieme iniziamo una seconda barcaia, molto comoda perchè vicino alla stalla, ma molto scomoda perchè per raggiungerla devo passare dalla vigna e perdere molto tempo.
Alle 12:15 l'ultima pressa è stata messa al suo posto, e le barcaie richiuse dal telone.
Un totale di 413 presse, per una media di 30kg ciascuna: quasi 124 quintali di fieno.
...questa è stata la mia fienagione, la fienagione del 2015, fatta su prati oramai vecchi di 11 anni, e con attrezzatura agricola oramai vecchissima.
Il ranghino è da buttare, la barra falciante da accomodare, ed io sono veramente..VERAMENTE stanco.
Ma il profumo del fieno all'indomani del taglio, le mille lucciole che mi hanno accompagnato nelle ore di buio, le api che rientravano al tramonto incuranti del mio "far chiasso", le rondini che garrivano sopra la mia testa nelle ore più calde, e quella luna piana che pareva voler far giorno per farmi rientrare a casa...
...tutte queste cose, sommate alla soddisfazione dell'aver terminato il lavoro di un anno, mi ripagano buona parte della stanchezza.
Al mio amico, durante il ritorno dalla ranghinatura del campo del laghetto, dopo aver spento il trattore nel mezzo del campo, ho detto questo:
"La Natura mette il Bello dappertutto, e noi abbiamo la fortuna di vivere immersi nel Bello. Noi siamo le persone che più vivono del Bello."
Lui, che è schiacciato dalle mille angherie che la Vita continua a porgli, ma che è Agricoltore come me, mi ha messo il braccio sulla spalla e con un sospiro mi ha dato ragione.
C'era un silenzio...
Sono nell'aia sin dalle prime luci del mattino, ed attacco la barra falciante al trattore: ogni volta questo attrezzo mi fa tribolare non poco, ma ci riesco con l'aiuto di un amico che è venuto a darmi una mano.
Sono le 8:00 quando il trattore è di fronte alla baracca/officina, ed inizia la fase di pulitura: compressore e tanta pazienza, per soffiar via lo sporco.
Tocca poi all'untata generale, effettuata con una miscela di gasolio agricolo e fondo di tino di olio d'oliva (rapporto 1:1): con il pennello ripasso tutte le parti "scoperte" come gli ingrassatori, i lamini, gli ingranaggi, gli attacchi.
E poi giunto il momento di ingrassare la macchina, e con l'ausilio della pompa ingrassatrice riempio sino allo spurgo ogni parte provvista di ingrassatore.
Ed ecco la prova: si accende il trattore, si avvia la presa di potenza, e...la barra lavora bene.
Richiudo e vado nel campo: sono le 11:30, ed inizio a sfalciare il prato.
Loietto, ginestrino, trifogli vari e tanta festuca: il fieno atterra, e come pettinato tinge il campo d'argento.
Una pausa di due ore, ed ecco che alle 15:00 sono di nuovo a sfalciare. Sono 27° e non ho neanche un accenno di cabina o tettuccio di protezione. Non c'è vento
Termino il campo del "lato laghetto" (ogni campo ha il suo nome) alle 20:20.
Ci sono gli animali da fare, le capre da mungere, ed una doccia che mi aspetta: si cena alle 22:10.
Lunedì 1 Giugno.
Alle 5:20 ho già munto gli animali, pulito le stalle, dato da mangiare a tutti, ed accendo il trattore per portarlo nel campo "lato strada".
La rugiada mi dice che devo aspettare, e quindi ritorno a piedi al podere e lavoro: lavoro nella baracca/officina continuando a ripulire il ranghino.
Alle 9:00 torno nel campo, e l'erba è oramai asciuttissima: parto e porto avanti 1/3 del lavoro.
Mi suonano dalla strada, mi distraggo per vedere chi era, ed aggancio l'unico paletto di ferro posto nel confine del campo. la barra falciante rimane appuntata con la puntazza, e si piega.
Provo a vedere se scorre, e funziona, ma non è più dritta, ed il taglio viene male.
Procedo per circa mezzora, imprecando e sudando, ma il lavoro viene male: se lascio l'erba tagliata troppo alta, c'è poi il rischio che la ranghinatura prima e la pressatura dopo diano molti problemi. L'erba deve essere rasa, e non smezzata, altrimenti tratterrà il fieno tagliato.
So spiro nuovamente, e decido di farmi aiutare dall'amico di sempre: arriva, e per due ore siamo nell'aia a cercare di riportare la barra alla sua originale posizione.
Ci riusciamo, solo in parte, ma mi accontento e torno nuovamente nel campo: sono le 15:00 e il termometro segna 29°.
Adesso la lama taglia in modo soddisfacente, ma la puntazza si appunta, e carica terra: mi fermo nuovamente, e cerco di trovare una soluzione nel più breve tempo possibile.
Sono le 19:00 quando corro in paese a cercare una puntazza nuova: ne trovo una, non è la sua originale ma spero di poterla adattare.
Torno al podere, mi armo di pazienza e saldatrice, e provo...invano. Il pezzo non combacia.
Desisto: sono le 21:10 e devo ancora fare gli animali.
Ceno alle 22:40.
La notte non dormo.
Martedì 2 Giugno
Non onoro la festa, ed alle 4:40 sono nell'aia: approfitto della frescura per trovare una qualche soluzione, e ci riesco saldando una sorta di slitta nel vertice della puntazza, in modo che questa non si appunti sul terreno.
Sono nel campo alle 7:00, l'erba è asciuttissima, e riesco a terminare il lavoro per le ore 13:20.
Sono 30°, e la pelle delle braccia mi odora di estate e morchia.
Devo riposare, e crollo sul divano, quando...suona il telefono: sobbalzo, impreco nuovamente, rispondo. E' il mio amico che ha un problema con la mia falciatrice che gli avevo prestato per sfalciare i suoi campi.
Corro con la macchina ad 8 kilometri da casa mia, è saltato un lamino della barra.
Dove lo trovo un lamino alle 15:00 del due di giugno?
Si fa un giro di telefonate, ed in un borgo a 10 kilometri si trova quanto cerchiamo.
Parto, mentre per la strafa i serpenti mi attraversano.
Prendo il lamino, prendo i ribattini per fissarlo, bevo mezzo bicchiere di vino per cortesia, riparto.
Alle 17:50 siamo pronti per ripartire...proviamo la barra e funziona.
Saluto l'amico e corro nella vigna: devo trattare.
La tisana di ortica è pronta, come il decotto di equiseto, e poi poltiglia bordolese e poco zolfo.
Riempio la botte da 8q.li, e parto.
Dopo 10 minuti sento un botto, mi giro: è saltato un ugello della botte. lo cerco, non lo trovo: poco male, e compenso con gli altri ugelli.
Riparto, e dopo 10 viti di numero vedo del fumo uscire dal cofano del trattore.
Stacco tutto, sembro matto e corro ad alzare il cofano: una fumata bianca.
Penso mille cose, ma tutte e mille mi riportano ad un unica soluzione: ho bruciato la testata.
Non è possibile, il termometro dell'acqua segnava la giusta temperatura...si dirada il vapore (perchè di vapore di trattava) e vedo il danno: un tubicino di gomma oramai logoro e crepato, aveva ceduto.
Provo ad aggiustarlo, ci riesco quanto basta per tornare nell'aia.
Sono le 20:40, e devo fare gli animali, mungere e riprendere la via di casa.
Mercoledì 3 Giugno
Mi svegli ad un'ora civile, e mi lascio aiutare da babbo per fare gli animali.
Corro dal meccanico, che apre l'officina trovandomi di fronte alla saracinesca, lo porto nell'aia, si cambia il tubicino e riparto.
Termino di trattare la vigna alle 12:00
Lavo la botte, la stacco, attacco il ranghino e mi fermo per il pranzo.
Alle 14:00, mi dirigo verso il campo "lato laghetto"ed inizio ad andanare il fieno.
Consapevole del fatto che era ancora troppo caldo per smuovere quel fieno, non posso permettermi altre pause, e vado avanti.
Ore 15:30, un rumore secco, e si spezza la sede di uno dei bracci che pettinano il fieno per andanarlo.
Non so come fare, ma faccio una corsa a casa: prendo 5-6 attrezzi, qualche dado e bullone, e torno nel campo.
Rattoppo il problema, togliendo quel braccio, e decidendo di lavorare zoppo (non in modo ottimale).
Mi raggiunge un altro amico che sale sul trattore e mi racconta le sue vicissitudini.
Rientriamo al podere alle 21:30.
Si mangia una minestra d'orzo ed ortica, e qualche ammazzafegato rifatto in padella.
Alle 00:30 mi faccio la doccia, e prendo la via del letto.
Giovedì 4 Giugno
Non ho chiuso occhio.
Son fiducioso, e sposto il ranghino nel campo lato strada, e parto a lavorare che albeggia.
Le rondini mi sfiorano il cappello di paglia, ancora le macchine non mangiano l'asfalto, e mi godo il profumo del mattino.
Alle 10;30, quando sono a metà dell'opera, si rompe un'altro braccio pettine...e mi accorgo che l'ingranaggio generale scatta rumorosamente.
Torno al podere, e sino alle 13:30 lavoro di mola e saldatrice.
Sono 30°C, ed il sudore brucia come acido negli occhi. Ho il viso e la barba che odorano di limatura di ferro e di elettrodo di saldatura.
Mangio poco a pranzo, crollo di sonno, ma dopo un'ora devo ripartire: a fatica inforco la porta di casa, e traballante arrivo al trattore.
Torno nel campo lato strada, rimonto il ranghino, lo provo...non funziona.
Scendo dal trattore, ed incurante dei tanti ciclisti che passavano lì vicino, inizio a dar di matto, dando due calcioni a quell'attrezzo oramai inutile: si è rotto il sistema di ingranaggi che fa ruotare i bracci pettine.
Mi siedo a terra, e poi mi stendo: guardo le nuvole e mi addormento per dieci minuti.
Mi rialzo con un salto, il cuore viaggia a mille, ed ho un'idea.
Chiamo l'amico del borgo a 10 kilometri dove due giorni avanti ero andato a prendere il lamino per la barra falciante, e gli chiedo se mi può prestare il suo ranghino.
Acconsente, e prendo appuntamento per l'indomani mattina all'alba.
Non devo perdere tempo, e torno al podere: sono le 15:30 quando stacco il ranghino, attacco la macchina per pressare il fieno (la pressa), ed inizio con il campo lato laghetto.
Lavoro senza pause, ed alle 21 spengo il trattore, lasciandolo nel campo: 167 presse fatte, ed un campo terminato.
Rientro a casa, animali, mungitura, una doccia fresca, la cena, ed il letto.
Non dormo neanche mezzora.
Venerdì 5 Giugno
La sveglia...quella maledetta...suona alle 4:00
Mi lavo la faccia con l'acqua fredda, poi me la rilavo e me la rilavo nuovamente: ho gli occhi appiccicati e sbadiglio ogni dieci secondi.
Forse sono sveglio quanto basta, mungo le capre, e parto con la macchina.
Arrivo al borgo, ma c'è da andare a recuperare il ranghino da un'amico del mio amico...e si perde un'ora e mezzo.
Alle 6 in punto l'amara constatazione: il ranghino non entra nel cassone della macchina (pick up).
L'amico si offre di portarmelo a metà strada con il suo trattore, a me spetta il resto.
Alle 9:30 posso iniziare a ranghinare, e mi dedico a quei 2/3 del campo lato strada ancora da fare.
Mi raggiunge un amico, quello a cui avevo prestato la barra falciante, e si offre di aiutarmi con il suo trattore.
Accetto di buon grado, consapevole che la sciatica e la stanchezza mi avrebbero rallentato non poco.
Stacchiamo il ranghino dal mio e lo ri attacchiamo al suo. Mi sposto sul mio trattore, attacco la pressa, ed inizio a pressare quanto era stato fatto il giorno avanti.
E' caldo, ed alle 11:30 il termometro segna 33°.
Provo a cantare mentre lavoro, ma ho fatica anche in quello, quindi taccio, dondolato da quel ritmo tanto noioso quanto importante dato dal pressare.
Alle ore 13:50 l'ultima pressa è fatta, anche nella parte ranghinata dall'amico.
246 presse fatte in questo lato.
Torno a casa che sono le 14:20, pranzo con un'insalata fresca, e mi addormento alla televisione.
Alle 15:30 arrivano i rinforzi: l'amico di prima ed un altro ragazzo che iniziano a tirare su le presse.
Stacco la pressa, attacco la bodola (la cesta posteriore usata per manovrare la legna ed il fieno).
Io guido, gli altri caricano, tutti assieme scarichiamo le presse nella prima barcaia (stiva del fieno pressato).
Vediamo almeno 5 serpenti, la pelle brucia per il caldo, sudo il doppio di quanto riesca a bere.
Arriva la sera, ed alle 21 abbiamo terminato.
Animali, mungitura, doccia, cena...e questa volta mi addormento alle 23:00...e dormo.
Sabato 6 Giugno
Avevo detto che ci saremmo visti alle 6, ma alle 5:30 c'erano già i due amici nell'aia.
Mi sbrigo a mungere e delego a babbo il resto dei lavori mattutini.
Si parte con il trattore per il fresco, alla volta del campo lato strada.
Assieme iniziamo una seconda barcaia, molto comoda perchè vicino alla stalla, ma molto scomoda perchè per raggiungerla devo passare dalla vigna e perdere molto tempo.
Alle 12:15 l'ultima pressa è stata messa al suo posto, e le barcaie richiuse dal telone.
Un totale di 413 presse, per una media di 30kg ciascuna: quasi 124 quintali di fieno.
...questa è stata la mia fienagione, la fienagione del 2015, fatta su prati oramai vecchi di 11 anni, e con attrezzatura agricola oramai vecchissima.
Il ranghino è da buttare, la barra falciante da accomodare, ed io sono veramente..VERAMENTE stanco.
Ma il profumo del fieno all'indomani del taglio, le mille lucciole che mi hanno accompagnato nelle ore di buio, le api che rientravano al tramonto incuranti del mio "far chiasso", le rondini che garrivano sopra la mia testa nelle ore più calde, e quella luna piana che pareva voler far giorno per farmi rientrare a casa...
...tutte queste cose, sommate alla soddisfazione dell'aver terminato il lavoro di un anno, mi ripagano buona parte della stanchezza.
Al mio amico, durante il ritorno dalla ranghinatura del campo del laghetto, dopo aver spento il trattore nel mezzo del campo, ho detto questo:
"La Natura mette il Bello dappertutto, e noi abbiamo la fortuna di vivere immersi nel Bello. Noi siamo le persone che più vivono del Bello."
Lui, che è schiacciato dalle mille angherie che la Vita continua a porgli, ma che è Agricoltore come me, mi ha messo il braccio sulla spalla e con un sospiro mi ha dato ragione.
C'era un silenzio...
sabato 16 maggio 2015
Racconto di Vita Anacronistica:lo studio e gli approfondimenti apocrifi (3° parte)
All'ingresso dell'aula sostai per pochi istanti a guardare quei banchi: la scelta del posto...del primo posto a sedere, poteva decidere molto della mia sorte di studente.
Tre file costituite da una coppia di banchi: la fila di destra era davanti alla lavagna, ma troppo lontana dalle finestre che davano sui campi; quella di centro era troppo sotto tiro dei professori; quella di sinistra, magari calda in estate, ma sotto le finestre e accanto ai termosifoni.
Mi accomodai nella fila di sinistra, prima fila, e per compagno di banco avevo un ragazzo dai capelli rossi che avevo conosciuto qualche istante prima entrando nell'atrio della scuola.
Una volta preso posto arrivò il primo professore, e con "Azienda Agraria" iniziai il mio lungo percorso in quell'Istituto.
Ci fu chiesto, uno ad uno, quali fossero le motivazioni di quella scelta, ed un pò tutti risposero che avevano tradizioni agricole, poderi, allevamenti, abitudini da mantenere.
Quando toccò a me ricordo che il batticuore svanì, e dopo aver preso fiato mi alzai e più o meno questo è quello che dissi: "Io qui sono uno di quelli che viene da più lontano, ed alzarmi alle 5:30 non credo che mi peserà troppo, come non mi peserà pranzare tutti i giorni alle 15: a casa non mi aspettano animali, podere, ed una famiglia di contadini, ma...ho tanta passione, da sempre, e non voglio più contrastarla o ignorarla. I miei nonni mi hanno sempre insegnato che è dalla Campagna...dalla Natura che tutto viene, ed io vorrei partecipare a tutto questo, rendermi utile...e poi la Campagna mi garba, tanto. Credo che l'Agricoltura e la Tradizione possano convivere anche nel futuro."
Strappai un sorriso al professore, e fiero del mio comizio mi sedetti.
Dopo meno di mezzora il medesimo professore ci disse: "Qui imparerete molto sulla Campagna, imparerete ad interpretare tanti di quei segnali che la Natura ci lascia, imparerete ad osservare, a memorizzare, a valutare, ed anche ad agire. Avrete i computer con voi, la tecnologia che si evolve, macchine sempre più all'avanguardia, ma ricordate sempre che..." e questo è il passo che preferisco "...la prima cosa da imparare è l'osservazione delle FASI LUNARI. Con la Luna si fa tutto, ogni lavorazione, ogni decisione può essere influenzata dalla Luna, perfino i parti dei vostri animali. Dovrete considerare sempre tutto questo, e non lasciare che siano solo i vecchi a parlarne. Vedrete e capirete la differenza, e questo spesso non c'è scritto sui libri...purtroppo."
La Luna...in meno di un'ora in quella scuola che tanto avevo desiderato frequentare si parlava già della Luna, ed ero rassicurato da qui ragionamenti, e sapevo che sarebbe stato un viaggio bellissimo.
Ho avuto la fortuna di avere buoni compagni di viaggio, tutti rigorosamente figli di Agricoltori: c'era il ragazzone che veniva dalle pianure lungo il mare, che coltivava cocomeri e poponi (meloni); c'era quel ragazzo dalla testa riccia e dagli occhietti ravvicinati che veniva dalle colline, e che allevava le Chianine ed era appassionato di fieno; e poi c'era lui, quel ragazzo magro con l'onda nei capelli, che con quella parlata così antica, mi rapiva ogni volta che mi parlava dei suoi nonni, delle sue pecore, dei suoi ciuchi.
Questi tre mi hanno accompagnato nel viaggio, e con loro ho trascorso dei momenti indimenticabili, tanto dentro le mura scolastiche, quanto nelle interminabili telefonate che inevitabilmente ogni giorno ci vedevano occupati.
Credo di essere costato un patrimonio ai miei genitori, ma quelle telefonate erano vitali per lo studio e per la vita: ci si confrontava sulla lezione da fare, ci si scambiavano consigli, ci si preparava all'indomani, e poi c'era la "ricreazione telefonica", ossia quel momento in cui si parlava di tutt'altro.
Durante queste ricreazioni io ho imparato a mungere, tutto rigorosamente spiegato per telefono, ad attaccare una barra falciante al trattore, a dosare bene il caglio liquido per fare il formaggio, a cantare le canzoni tradizionali di altri paesi, a vangare senza troncarmi la schiena, a fare la polenta di castagne.
Un giorno, il ragazzo magro con l'onda nei capelli, mi volle regalare un momento di grande emozione: io avevo la febbre da giorni e non accennavo a stare meglio, e mentre la sua nonna gli reggeva la cornetta del telefono, lui si mise a suonare la fisarmonica, accompagnato dalla voce della sua bisnonna. Ho la pelle d'oca anche adesso mentre scrivo al ricordo di quel momento, così lontano dalle videochat, ma così "vicino al cuore".
L'amicizia con lui forse era la più importante, ma anche quella più ricca di competizione: da lui nevicava sempre, e quando la neve arrivava anche da me, la sua era sicuramente più alta...nonostante vivesse in un borgo che era più basso del mio di quasi 150 metri (tutt'oggi non riesco a spiegarmi come questo potesse accadere...o semplicemente non accadeva e lo faceva per farmi essere invidioso).
Lo studio procedeva abbastanza bene, anche se non brillavo in tutte le materie: "potrebbe dare di più" dicevano i professori durante il ricevimento dei genitori, e quella media del "sei e mezzo" sembrava non volermi mollare mai.
A me andava bene così, tanto ero indaffarato nei miei "approfondimenti apocrifi" che uscivano dai programmi scolastici: Masanobu Fukuoka, quell'omino anziano che dal Giappone insegnava come il "non fare" fosse produttivo e rispettoso della Natura; Rudolf Steiner, il filosofo (e non solo) austriaco che parlava del terreno agricolo e delle colture come se si trattassero di un unico sistema vivente; e poi c'era la Filosofia, materia non trattata nei programmi scolastici, c'era lo studio della Meteorologia, materia che ho sempre amato, della Micologia, della Veterinaria (addentrandomi in tanta chimica ed anatomia), e tutte quelle materie non scritte e fatte di "tramando verbale" dei vecchi, e di quello che si stava perdendo per sempre.
Un giorno, durante una lezione di Agronomia del terzo anno, ricordo che feci un intervento che fece arrabbiare il professore: stavamo parlando delle arature, e lui continuava a sostenere che fosse fondamentale "andare il più a fondo possibile" ogni anno, mentre io sostenevo il contrario. Insisteva, e lo legittimava la sua autorità, e diceva che aratura profonda e frangitura "a fino" delle zolle erano il modo migliore per preparare un letto di semina: io la fresa la odiavo già allora, ed ecco che ne nacque una polemica di circa venti minuti dove mi scoprii tanto convinto e battagliero, e dove riuscii a chetare (zittire) il professore, che stremato mi disse che ragionare con me era come sbattere la testa su un ciocco di castagno.
Se vedesse oggi quel professore cosa faccio con arature leggere e affinamenti grossolani (e mai per effetto di attrezzi come fresa ed erpice rotante), chissà cosa penserebbe.
Quel mio essere "così poco convenzionale" era comunque mitigato dal mio carattere tranquillo e dal mio fare educato: quando ci insegnavano le concimazioni chimiche ed il diserbo, e ce lo hanno insegnato tanto ed anche molto bene, ricordo che io studiavo e seguivo tutto, proprio per rendermi conto di quanto potesse essere fatto in tutt'altra maniera.
La provocazione fu quando durante un'interrogazione potrai come argomento a piacere "la letamazione", proprio con quel professore che per settimane mi aveva parlato dei concimi chimici: avevo fatto una ricerca in biblioteca sui vari letami, e sulle caratteristiche che questi potevano avere sulle differenti colture e differenti terreni, e nell'esposizione prendevo ad esempio un tipo di concime chimico, e lo sostituivo con il letame che secondo me era adatto. Vedere i compagni che prendevano appunti, mentre io giustificavo i miei ragionamenti con formule chimiche scritte alla lavagna, fu una grande soddisfazione, maggiore sicuramente di quel "settemeno" che il professore volle concedermi.
Ho comunque avuto professori che ho amato, e che sono riusciti a trasmettermi passione e convinzioni, e su tutti la mia professoressa di Italiano: lei veniva dai licei, e quella banda di maschi agricoli credo che rappresentassero una grande sfida personale e professionale.
Ci mise così tanta pazienza, ed all'inizio eravamo una frana, ma poi capimmo ed imparammo: un pò come il professor John Keating ne L'Attimo Fuggente, quando stravolge le regole dell'insegnamento e trasmette coinvolgimento e passione alla sua classe, ebbene anche questa mia professoressa riuscì a "farmi sollevare sul banco" (perlomeno metaforicamente), ed a farmi incuriosire ancora di più.
A lei piaceva come scrivevo, seppur criticasse la mia punteggiatura, dicendomi ogni volta che "scrivevo come parlavo, e parlavo come pensavo...senza troppi filtri". Le raccontavo di queste mie idee, e talvolta tentavo anche di dare loro una qualche connotazione socio-politica: avevo un'età in cui è obbligatorio essere ribelle, ed anche se armato di penna e libri, non mi sottraevo a tale chiamata.
Ci sono stati periodi, anche lunghi, in cui la salute non mi ha accompagnato tanto fedelmente, ed ho dovuto fare molti sacrifici per portare avanti la mia scelta di studio: ma non potevo rinunciare alla Campagna.
E fu così che babbo, coinvolgendo un suo amico agricoltore, riuscì ad ottenere in gestione del terreno agricolo: un bell'orto (molto grande), una voliera/pollaio, una baracca ed un laghetto, a nostra completa disposizione. Il dopo scuola era rappresentato da quella fase sperimentale in cui iniziavo...iniziavamo a cimentarci nell'essere "quasi" Agricoltori.
Queste le altre parti del racconto:
http://agricoltoreanacronistico.blogspot.it/2015/04/racconto-di-vita-anacronistica-dal.html
http://agricoltoreanacronistico.blogspot.it/2015/04/racconto-di-vita-anacronisticala-mia.html
Tre file costituite da una coppia di banchi: la fila di destra era davanti alla lavagna, ma troppo lontana dalle finestre che davano sui campi; quella di centro era troppo sotto tiro dei professori; quella di sinistra, magari calda in estate, ma sotto le finestre e accanto ai termosifoni.
Mi accomodai nella fila di sinistra, prima fila, e per compagno di banco avevo un ragazzo dai capelli rossi che avevo conosciuto qualche istante prima entrando nell'atrio della scuola.
Una volta preso posto arrivò il primo professore, e con "Azienda Agraria" iniziai il mio lungo percorso in quell'Istituto.
Ci fu chiesto, uno ad uno, quali fossero le motivazioni di quella scelta, ed un pò tutti risposero che avevano tradizioni agricole, poderi, allevamenti, abitudini da mantenere.
Quando toccò a me ricordo che il batticuore svanì, e dopo aver preso fiato mi alzai e più o meno questo è quello che dissi: "Io qui sono uno di quelli che viene da più lontano, ed alzarmi alle 5:30 non credo che mi peserà troppo, come non mi peserà pranzare tutti i giorni alle 15: a casa non mi aspettano animali, podere, ed una famiglia di contadini, ma...ho tanta passione, da sempre, e non voglio più contrastarla o ignorarla. I miei nonni mi hanno sempre insegnato che è dalla Campagna...dalla Natura che tutto viene, ed io vorrei partecipare a tutto questo, rendermi utile...e poi la Campagna mi garba, tanto. Credo che l'Agricoltura e la Tradizione possano convivere anche nel futuro."
Strappai un sorriso al professore, e fiero del mio comizio mi sedetti.
Dopo meno di mezzora il medesimo professore ci disse: "Qui imparerete molto sulla Campagna, imparerete ad interpretare tanti di quei segnali che la Natura ci lascia, imparerete ad osservare, a memorizzare, a valutare, ed anche ad agire. Avrete i computer con voi, la tecnologia che si evolve, macchine sempre più all'avanguardia, ma ricordate sempre che..." e questo è il passo che preferisco "...la prima cosa da imparare è l'osservazione delle FASI LUNARI. Con la Luna si fa tutto, ogni lavorazione, ogni decisione può essere influenzata dalla Luna, perfino i parti dei vostri animali. Dovrete considerare sempre tutto questo, e non lasciare che siano solo i vecchi a parlarne. Vedrete e capirete la differenza, e questo spesso non c'è scritto sui libri...purtroppo."
La Luna...in meno di un'ora in quella scuola che tanto avevo desiderato frequentare si parlava già della Luna, ed ero rassicurato da qui ragionamenti, e sapevo che sarebbe stato un viaggio bellissimo.
Ho avuto la fortuna di avere buoni compagni di viaggio, tutti rigorosamente figli di Agricoltori: c'era il ragazzone che veniva dalle pianure lungo il mare, che coltivava cocomeri e poponi (meloni); c'era quel ragazzo dalla testa riccia e dagli occhietti ravvicinati che veniva dalle colline, e che allevava le Chianine ed era appassionato di fieno; e poi c'era lui, quel ragazzo magro con l'onda nei capelli, che con quella parlata così antica, mi rapiva ogni volta che mi parlava dei suoi nonni, delle sue pecore, dei suoi ciuchi.
Questi tre mi hanno accompagnato nel viaggio, e con loro ho trascorso dei momenti indimenticabili, tanto dentro le mura scolastiche, quanto nelle interminabili telefonate che inevitabilmente ogni giorno ci vedevano occupati.
Credo di essere costato un patrimonio ai miei genitori, ma quelle telefonate erano vitali per lo studio e per la vita: ci si confrontava sulla lezione da fare, ci si scambiavano consigli, ci si preparava all'indomani, e poi c'era la "ricreazione telefonica", ossia quel momento in cui si parlava di tutt'altro.
Durante queste ricreazioni io ho imparato a mungere, tutto rigorosamente spiegato per telefono, ad attaccare una barra falciante al trattore, a dosare bene il caglio liquido per fare il formaggio, a cantare le canzoni tradizionali di altri paesi, a vangare senza troncarmi la schiena, a fare la polenta di castagne.
Un giorno, il ragazzo magro con l'onda nei capelli, mi volle regalare un momento di grande emozione: io avevo la febbre da giorni e non accennavo a stare meglio, e mentre la sua nonna gli reggeva la cornetta del telefono, lui si mise a suonare la fisarmonica, accompagnato dalla voce della sua bisnonna. Ho la pelle d'oca anche adesso mentre scrivo al ricordo di quel momento, così lontano dalle videochat, ma così "vicino al cuore".
L'amicizia con lui forse era la più importante, ma anche quella più ricca di competizione: da lui nevicava sempre, e quando la neve arrivava anche da me, la sua era sicuramente più alta...nonostante vivesse in un borgo che era più basso del mio di quasi 150 metri (tutt'oggi non riesco a spiegarmi come questo potesse accadere...o semplicemente non accadeva e lo faceva per farmi essere invidioso).
Lo studio procedeva abbastanza bene, anche se non brillavo in tutte le materie: "potrebbe dare di più" dicevano i professori durante il ricevimento dei genitori, e quella media del "sei e mezzo" sembrava non volermi mollare mai.
A me andava bene così, tanto ero indaffarato nei miei "approfondimenti apocrifi" che uscivano dai programmi scolastici: Masanobu Fukuoka, quell'omino anziano che dal Giappone insegnava come il "non fare" fosse produttivo e rispettoso della Natura; Rudolf Steiner, il filosofo (e non solo) austriaco che parlava del terreno agricolo e delle colture come se si trattassero di un unico sistema vivente; e poi c'era la Filosofia, materia non trattata nei programmi scolastici, c'era lo studio della Meteorologia, materia che ho sempre amato, della Micologia, della Veterinaria (addentrandomi in tanta chimica ed anatomia), e tutte quelle materie non scritte e fatte di "tramando verbale" dei vecchi, e di quello che si stava perdendo per sempre.
Un giorno, durante una lezione di Agronomia del terzo anno, ricordo che feci un intervento che fece arrabbiare il professore: stavamo parlando delle arature, e lui continuava a sostenere che fosse fondamentale "andare il più a fondo possibile" ogni anno, mentre io sostenevo il contrario. Insisteva, e lo legittimava la sua autorità, e diceva che aratura profonda e frangitura "a fino" delle zolle erano il modo migliore per preparare un letto di semina: io la fresa la odiavo già allora, ed ecco che ne nacque una polemica di circa venti minuti dove mi scoprii tanto convinto e battagliero, e dove riuscii a chetare (zittire) il professore, che stremato mi disse che ragionare con me era come sbattere la testa su un ciocco di castagno.
Se vedesse oggi quel professore cosa faccio con arature leggere e affinamenti grossolani (e mai per effetto di attrezzi come fresa ed erpice rotante), chissà cosa penserebbe.
Quel mio essere "così poco convenzionale" era comunque mitigato dal mio carattere tranquillo e dal mio fare educato: quando ci insegnavano le concimazioni chimiche ed il diserbo, e ce lo hanno insegnato tanto ed anche molto bene, ricordo che io studiavo e seguivo tutto, proprio per rendermi conto di quanto potesse essere fatto in tutt'altra maniera.
La provocazione fu quando durante un'interrogazione potrai come argomento a piacere "la letamazione", proprio con quel professore che per settimane mi aveva parlato dei concimi chimici: avevo fatto una ricerca in biblioteca sui vari letami, e sulle caratteristiche che questi potevano avere sulle differenti colture e differenti terreni, e nell'esposizione prendevo ad esempio un tipo di concime chimico, e lo sostituivo con il letame che secondo me era adatto. Vedere i compagni che prendevano appunti, mentre io giustificavo i miei ragionamenti con formule chimiche scritte alla lavagna, fu una grande soddisfazione, maggiore sicuramente di quel "settemeno" che il professore volle concedermi.
Ho comunque avuto professori che ho amato, e che sono riusciti a trasmettermi passione e convinzioni, e su tutti la mia professoressa di Italiano: lei veniva dai licei, e quella banda di maschi agricoli credo che rappresentassero una grande sfida personale e professionale.
Ci mise così tanta pazienza, ed all'inizio eravamo una frana, ma poi capimmo ed imparammo: un pò come il professor John Keating ne L'Attimo Fuggente, quando stravolge le regole dell'insegnamento e trasmette coinvolgimento e passione alla sua classe, ebbene anche questa mia professoressa riuscì a "farmi sollevare sul banco" (perlomeno metaforicamente), ed a farmi incuriosire ancora di più.
A lei piaceva come scrivevo, seppur criticasse la mia punteggiatura, dicendomi ogni volta che "scrivevo come parlavo, e parlavo come pensavo...senza troppi filtri". Le raccontavo di queste mie idee, e talvolta tentavo anche di dare loro una qualche connotazione socio-politica: avevo un'età in cui è obbligatorio essere ribelle, ed anche se armato di penna e libri, non mi sottraevo a tale chiamata.
Ci sono stati periodi, anche lunghi, in cui la salute non mi ha accompagnato tanto fedelmente, ed ho dovuto fare molti sacrifici per portare avanti la mia scelta di studio: ma non potevo rinunciare alla Campagna.
E fu così che babbo, coinvolgendo un suo amico agricoltore, riuscì ad ottenere in gestione del terreno agricolo: un bell'orto (molto grande), una voliera/pollaio, una baracca ed un laghetto, a nostra completa disposizione. Il dopo scuola era rappresentato da quella fase sperimentale in cui iniziavo...iniziavamo a cimentarci nell'essere "quasi" Agricoltori.
Queste le altre parti del racconto:
http://agricoltoreanacronistico.blogspot.it/2015/04/racconto-di-vita-anacronistica-dal.html
http://agricoltoreanacronistico.blogspot.it/2015/04/racconto-di-vita-anacronisticala-mia.html
sabato 25 aprile 2015
Racconto di Vita Anacronistica:la mia prima vera campagna (2° parte)
Maria, una persona a me Cara che oggi non c'è più, un giorno di tanti anni fa mi disse questa frase:
"Le Amicizie migliori sono sempre quelle dei parenti scelti."
Lei, figlia della disciplina teutonica, Amica solo di pochi, seppe farmi capire il valore di quelle parole, e non fu difficile scegliere di affezionarsi a quel bimbetto dallo sguardo spaurito che mi sedeva accanto durante le ore di scuola.
Lui iniziò raccontandomi di Pulcinella: una vecchia gallina ovaiola, da lui "salvata dalla pentola del brodo", e seguita quotidianamente nel suo girovagare per il Podere.
"Hai mai guardato la vita con gli occhi di un pollo? Fallo una volta, e non tornerai più indietro." Quella vocina così marcatamente toscana e schietta usciva di rado dalla sua bocca, ma ogni volta era per me un tuffo nelle emozioni: volevo e dovevo conoscere Pulcinella, e senza troppo pregare i miei genitori ben presto mi feci portare al Podere di A.
La sua famiglia era composta dal babbo, un omone veramente grosso, che mescolava il broncio al sorriso in ogni sua espressione, con mani grandi come motopale, ed un irrequietezza tipica di chi sa lavorare; la nonna, vecchia forse anche da giovane, con voce stridula, pelle lustra e consumata da una vita "alle pecore", colma di mille insegnamenti da dare; la mamma, una figura a cui mi legai subito, e che tutt'oggi tengo nel cuore tra le persone a me più care, una donna fragile che sapeva dispensare Amore dietro ad ogni suo rimprovero. Una famiglia semplice, e forse povera per quelli che sarebbero stati i tempi di oggi, che aveva sempre vissuto con la mezzadria, e che non aveva mai studiato un libro pur conoscendo tanto della Vita.
Quella famiglia, la famiglia di A., divenne da subito una mia seconda famiglia...la seconda famiglia della mia seconda vita.
Da bimbo sempre un pò malato, cresciuto tra i nonni, che mai si allontanava dall'andito del portone di casa, e che teneva la sciarpa sino a primavera inoltrata...divenivo bimbo che correva già per i campi, che rincorreva ogni genere di animale, che si arrampicava sulle piante, e che scopriva la vita con quel forte senso di avventura così colmo di divertimento.
In genere alla domenica si andava al Podere, e la dinamica era sempre la seguente: come la macchina dei miei arrivava nell'aia, io mi precipitavo fuori e...sparivo, chissà dietro a quale "lavoro da fare" o "aggeggio da accomodare": i miei sensi si esaltavano ogni volta.
Ricordo perfettamente la prima volta che immersi le mani e le braccia in una balla piena di grano (avete mai provato?): era come scivolare dentro qualcosa che ti chiama ma che ti oppone resistenza, e ti senti le mani fresche e pulite.
E poi l'odore del gasolio del trattore, le mani imbrattate di morchia, il ronzio delle vespe disturbate, l'acqua del pozzo freddissima in agosto, il sapore della terra arsa dal sole, il canto dei campani delle pecore lontane al pascolo, la vista del sangue di un animale macellato, il rumore dell'uovo che si schiude, il calore delle frasche d'ulivo bruciate il venerdì Santo, le mani che impastano la salsiccia, il profumo della fioritura della vite, le urla a richiamare il cane, il sudore salato che ti brucia gli occhi...
Ricordi indelebili, che oggi rivivo ancora con occhi di bimbo.
A. era mio complice in questo mio "scoprirmi alla vita", ma spesso non riusciva a comprendere l'origine di quel bisogno. Qualcosa di atavico, che c'era sempre stato, e che doveva tornare alla luce...
...e proprio in quei nostri primi incontri partorii quella che sarebbe divenuta la mia scelta di Vita: "Da grande faro il contadino!"
Ricordo nitidamente il giorno in cui lo dissi ai miei genitori: babbo sgranò gli occhi, e con la voce che mal celava del sarcasmo mi chiese "...cos'è che farai te? Ma non volevi fare il vigile urbano? Quello del contadino è un lavoraccio..."
Ero veramente giovane (poco più di sei anni), ed in una classe scolastica dove c'erano futuri medici, avvocati, ballerine, attrici, astronauti, calciatori...c'ero io che volevo fare il contadino.
Sono sempre stato sempre Anacronistico, anche in quell'aula...
A. non mi giudicava, e aspettava il fine settimana per poter condividere un pò della sua vita con me.
Ed un giorno, credo che avrò avuto sette anni o poco più, arrivato al podere, lui mi disse: "dobbiamo correre, sta per nascere!"
Era la prima volta che assistevo ad un parto, e quello sforzo della madre, l'odore del sangue, ed il primo belato mi fecero legare per sempre a quella capra...a tutte le capre: avevo sette anni o poco più ed avevo scelto (oramai per sempre) quello che sarebbe stato il mio animale preferito.
Me lo sono sognato per cento notti almeno, ed ogni volta il cuoricino pareva volermi sortire dal petto, ed ogni volta gli occhi mi si bagnavano: capii presto che la Natura è Vita, anche con quella nascita in quella stalla buia.
Ogni volta accumulavo così tante sensazioni ed emozioni, che poi mi ci voleva tutta la settimana per smaltirne e raccontarle ai mie nonni.
Una domenica A. mi disse che volendo potevo dare loro una mano per la macellazione del maiale.
Sull'argomento potrei scrivere molto, ma mi limiterò a sottolineare l'importanza di quel momento: per più di un anno quell'animale, nato e cresciuto proprio lì, aveva vissuto del cibo che la famiglia di A. aveva coltivato per lui. Cibo sano, al pari delle verdure dell'orto, che era stato seminato, coltivato, e curato appositamente per lui; era oramai cresciuto e pronto per compiere il suo destino, e la vista della morte...di quella morte, non mi traumatizzò.
Avevo sette anni o poco più ed avevo capito qualcosa di importante sul ciclo della vita.
Non mi tirai indietro, e candido da ogni tipo di cinismo, seguii quel rituale attraverso il quale si doveva onorare ogni cosa di quella bestia, senza sciupar nulla e facendo tutte quelle lavorazioni così difficili: quegli odori, quei sapori...non trovavo altro che serenità in quei gesti, in quel lavorare.
Babbo e mamma mi guardavano, e credo che spesso fossero stupiti da come quel loro figliolo non provasse lo "schifo" o la paura per certe cose, e non mi frenavano mai, ma bensì mi incitavano sempre ad essere curioso e a cercare di capire il più possibile di ogni gesto.
Non posso certo dire di essere cresciuto in campagna, ma uno dei momenti più eccitanti era quando andavo a trovare una mia bisnonna che viveva nel paese, a non troppi metri dalla nostra casa, ma che aveva "un pezzettino di campagna" in cui potevo giocare.
All'epoca era ancora possibile questo, e proprio nel cuore del paese, come per "un'isola che non c'è", cera la sua casetta, isolata, con la vigna ed i frutti davanti all'uscio, un grande orto, la legna segata per la stufa, e le galline.
Lei aveva fatto la cuoca per i poderi, un mestiere oramai scomparso che sino a qualche decennio fa portava un cuoco a girare per le campagne in occasione di feste, ricorrenze, sposalizi.
Nonna aveva le mani grandi, la crocchia nella testa, ed era "dell'otto" (come diceva lei...del 1908): il suo modo di parlare era unico, e tratteneva sempre molto le vocali, spesso anche coniando dei vocaboli tutti suoi. Stare con lei era sempre un grande divertimento: mangiavo come un uomo grande, assaggiavo il vino (a cui mi aggiungeva la spuma...ma sempre di vino si trattava), mi faceva parlare dei trattori, e poi c'erano i polli...tutti per me, per giocarci senza straziarli.
Ricordo quando una volta, dopo avermi fatto il pollo al mattone (una sua specialità) con le patate fritte rifatte in umido, lei mi chiamò dalla finestra: "Biiiimbooooou, è pronto il polliiciinoooou!"
Che corsa in quei filari che mi parevano così lunghi, e via a lavarmi le mani e a sedermi in quella cucina che odorava sempre di fuliggine e ragù.
Mi vantavo con A. di avere una nonna che viveva "in una specie di campagna", e questo mi autorizzava a sentirmi al suo livello, perlomeno nel mio immaginario.
Ma gli anni trascorrevano felici, e ben presto le scuole elementari terminarono: separarsi da A., come del resto separarsi dall'amata Maestra, fu così doloroso.
Ma per entrambi i casi la separazione durò poco, e se la Maestra continuavo a vederla quasi tutti i giorni (abitava accanto a noi), A. continuai a vederlo con maggior frequenza.
Il periodo delle scuole medie non è stato semplice e piacevole per me, ma la campagna era una costante rappresentata dalla frequentazione con A. e da quell'orto che iniziavo a fare sotto casa.
C'era un mio compagno alle medie, uno di quelli che cresceva alla svelta, che faceva la scuola di calcio, e che aveva la fidanzata..ebbene lui mi diceva sempre che se avessi continuato a fare l'orto mi sarei "escluso dal branco".
Branco? Ma io non volevo stare nel branco, neanche ci pensavo. Volevo piuttosto coltivare le verdure, andare da A., stare con babbo alla macchia, e...dare spazio alla mia nuova passione: ad 11 anni mi scoprii un fotoamatore, e mi avviai alla camera oscura e alle sperimentazioni.
Ed i soggetti delle mie foto quali erano? Animali...gli animali di A.: le pecore, il maiale, le galline, i conigli, i piccioni, i cani da caccia di suo padre, ognuno un soggetto che immortalavo prima, e fissavo poi in camera oscura.
E quelle foto iniziarono a divenire gli spunti di riflessione sul mio progetto del podere tutto mio: desideravo avere dieci pecore "così"... e mostravo la foto delle pecore, piuttosto che un maiale più scuro di "questo"...e toccava alla foto del maiale immortalato mentre ignaro si godeva la pozza del fango.
Fu in quegli anni che decisi quanto avrei studiato da grande, e che sarei andato all'Istituto Agrario.
Lì avrei conosciuto così tanti nuovi compagni che venivano dalla campagna...ed ero veramente eccitato a quell'idea.
Questa la prima parte del racconto :
http://agricoltoreanacronistico.blogspot.it/2015/04/racconto-di-vita-anacronistica-dal.html
"Le Amicizie migliori sono sempre quelle dei parenti scelti."
Lei, figlia della disciplina teutonica, Amica solo di pochi, seppe farmi capire il valore di quelle parole, e non fu difficile scegliere di affezionarsi a quel bimbetto dallo sguardo spaurito che mi sedeva accanto durante le ore di scuola.
Lui iniziò raccontandomi di Pulcinella: una vecchia gallina ovaiola, da lui "salvata dalla pentola del brodo", e seguita quotidianamente nel suo girovagare per il Podere.
"Hai mai guardato la vita con gli occhi di un pollo? Fallo una volta, e non tornerai più indietro." Quella vocina così marcatamente toscana e schietta usciva di rado dalla sua bocca, ma ogni volta era per me un tuffo nelle emozioni: volevo e dovevo conoscere Pulcinella, e senza troppo pregare i miei genitori ben presto mi feci portare al Podere di A.
La sua famiglia era composta dal babbo, un omone veramente grosso, che mescolava il broncio al sorriso in ogni sua espressione, con mani grandi come motopale, ed un irrequietezza tipica di chi sa lavorare; la nonna, vecchia forse anche da giovane, con voce stridula, pelle lustra e consumata da una vita "alle pecore", colma di mille insegnamenti da dare; la mamma, una figura a cui mi legai subito, e che tutt'oggi tengo nel cuore tra le persone a me più care, una donna fragile che sapeva dispensare Amore dietro ad ogni suo rimprovero. Una famiglia semplice, e forse povera per quelli che sarebbero stati i tempi di oggi, che aveva sempre vissuto con la mezzadria, e che non aveva mai studiato un libro pur conoscendo tanto della Vita.
Quella famiglia, la famiglia di A., divenne da subito una mia seconda famiglia...la seconda famiglia della mia seconda vita.
Da bimbo sempre un pò malato, cresciuto tra i nonni, che mai si allontanava dall'andito del portone di casa, e che teneva la sciarpa sino a primavera inoltrata...divenivo bimbo che correva già per i campi, che rincorreva ogni genere di animale, che si arrampicava sulle piante, e che scopriva la vita con quel forte senso di avventura così colmo di divertimento.
In genere alla domenica si andava al Podere, e la dinamica era sempre la seguente: come la macchina dei miei arrivava nell'aia, io mi precipitavo fuori e...sparivo, chissà dietro a quale "lavoro da fare" o "aggeggio da accomodare": i miei sensi si esaltavano ogni volta.
Ricordo perfettamente la prima volta che immersi le mani e le braccia in una balla piena di grano (avete mai provato?): era come scivolare dentro qualcosa che ti chiama ma che ti oppone resistenza, e ti senti le mani fresche e pulite.
E poi l'odore del gasolio del trattore, le mani imbrattate di morchia, il ronzio delle vespe disturbate, l'acqua del pozzo freddissima in agosto, il sapore della terra arsa dal sole, il canto dei campani delle pecore lontane al pascolo, la vista del sangue di un animale macellato, il rumore dell'uovo che si schiude, il calore delle frasche d'ulivo bruciate il venerdì Santo, le mani che impastano la salsiccia, il profumo della fioritura della vite, le urla a richiamare il cane, il sudore salato che ti brucia gli occhi...
Ricordi indelebili, che oggi rivivo ancora con occhi di bimbo.
A. era mio complice in questo mio "scoprirmi alla vita", ma spesso non riusciva a comprendere l'origine di quel bisogno. Qualcosa di atavico, che c'era sempre stato, e che doveva tornare alla luce...
...e proprio in quei nostri primi incontri partorii quella che sarebbe divenuta la mia scelta di Vita: "Da grande faro il contadino!"
Ricordo nitidamente il giorno in cui lo dissi ai miei genitori: babbo sgranò gli occhi, e con la voce che mal celava del sarcasmo mi chiese "...cos'è che farai te? Ma non volevi fare il vigile urbano? Quello del contadino è un lavoraccio..."
Ero veramente giovane (poco più di sei anni), ed in una classe scolastica dove c'erano futuri medici, avvocati, ballerine, attrici, astronauti, calciatori...c'ero io che volevo fare il contadino.
Sono sempre stato sempre Anacronistico, anche in quell'aula...
A. non mi giudicava, e aspettava il fine settimana per poter condividere un pò della sua vita con me.
Ed un giorno, credo che avrò avuto sette anni o poco più, arrivato al podere, lui mi disse: "dobbiamo correre, sta per nascere!"
Era la prima volta che assistevo ad un parto, e quello sforzo della madre, l'odore del sangue, ed il primo belato mi fecero legare per sempre a quella capra...a tutte le capre: avevo sette anni o poco più ed avevo scelto (oramai per sempre) quello che sarebbe stato il mio animale preferito.
Me lo sono sognato per cento notti almeno, ed ogni volta il cuoricino pareva volermi sortire dal petto, ed ogni volta gli occhi mi si bagnavano: capii presto che la Natura è Vita, anche con quella nascita in quella stalla buia.
Ogni volta accumulavo così tante sensazioni ed emozioni, che poi mi ci voleva tutta la settimana per smaltirne e raccontarle ai mie nonni.
Una domenica A. mi disse che volendo potevo dare loro una mano per la macellazione del maiale.
Sull'argomento potrei scrivere molto, ma mi limiterò a sottolineare l'importanza di quel momento: per più di un anno quell'animale, nato e cresciuto proprio lì, aveva vissuto del cibo che la famiglia di A. aveva coltivato per lui. Cibo sano, al pari delle verdure dell'orto, che era stato seminato, coltivato, e curato appositamente per lui; era oramai cresciuto e pronto per compiere il suo destino, e la vista della morte...di quella morte, non mi traumatizzò.
Avevo sette anni o poco più ed avevo capito qualcosa di importante sul ciclo della vita.
Non mi tirai indietro, e candido da ogni tipo di cinismo, seguii quel rituale attraverso il quale si doveva onorare ogni cosa di quella bestia, senza sciupar nulla e facendo tutte quelle lavorazioni così difficili: quegli odori, quei sapori...non trovavo altro che serenità in quei gesti, in quel lavorare.
Babbo e mamma mi guardavano, e credo che spesso fossero stupiti da come quel loro figliolo non provasse lo "schifo" o la paura per certe cose, e non mi frenavano mai, ma bensì mi incitavano sempre ad essere curioso e a cercare di capire il più possibile di ogni gesto.
Non posso certo dire di essere cresciuto in campagna, ma uno dei momenti più eccitanti era quando andavo a trovare una mia bisnonna che viveva nel paese, a non troppi metri dalla nostra casa, ma che aveva "un pezzettino di campagna" in cui potevo giocare.
All'epoca era ancora possibile questo, e proprio nel cuore del paese, come per "un'isola che non c'è", cera la sua casetta, isolata, con la vigna ed i frutti davanti all'uscio, un grande orto, la legna segata per la stufa, e le galline.
Lei aveva fatto la cuoca per i poderi, un mestiere oramai scomparso che sino a qualche decennio fa portava un cuoco a girare per le campagne in occasione di feste, ricorrenze, sposalizi.
Nonna aveva le mani grandi, la crocchia nella testa, ed era "dell'otto" (come diceva lei...del 1908): il suo modo di parlare era unico, e tratteneva sempre molto le vocali, spesso anche coniando dei vocaboli tutti suoi. Stare con lei era sempre un grande divertimento: mangiavo come un uomo grande, assaggiavo il vino (a cui mi aggiungeva la spuma...ma sempre di vino si trattava), mi faceva parlare dei trattori, e poi c'erano i polli...tutti per me, per giocarci senza straziarli.
Ricordo quando una volta, dopo avermi fatto il pollo al mattone (una sua specialità) con le patate fritte rifatte in umido, lei mi chiamò dalla finestra: "Biiiimbooooou, è pronto il polliiciinoooou!"
Che corsa in quei filari che mi parevano così lunghi, e via a lavarmi le mani e a sedermi in quella cucina che odorava sempre di fuliggine e ragù.
Mi vantavo con A. di avere una nonna che viveva "in una specie di campagna", e questo mi autorizzava a sentirmi al suo livello, perlomeno nel mio immaginario.
Ma gli anni trascorrevano felici, e ben presto le scuole elementari terminarono: separarsi da A., come del resto separarsi dall'amata Maestra, fu così doloroso.
Ma per entrambi i casi la separazione durò poco, e se la Maestra continuavo a vederla quasi tutti i giorni (abitava accanto a noi), A. continuai a vederlo con maggior frequenza.
Il periodo delle scuole medie non è stato semplice e piacevole per me, ma la campagna era una costante rappresentata dalla frequentazione con A. e da quell'orto che iniziavo a fare sotto casa.
C'era un mio compagno alle medie, uno di quelli che cresceva alla svelta, che faceva la scuola di calcio, e che aveva la fidanzata..ebbene lui mi diceva sempre che se avessi continuato a fare l'orto mi sarei "escluso dal branco".
Branco? Ma io non volevo stare nel branco, neanche ci pensavo. Volevo piuttosto coltivare le verdure, andare da A., stare con babbo alla macchia, e...dare spazio alla mia nuova passione: ad 11 anni mi scoprii un fotoamatore, e mi avviai alla camera oscura e alle sperimentazioni.
Ed i soggetti delle mie foto quali erano? Animali...gli animali di A.: le pecore, il maiale, le galline, i conigli, i piccioni, i cani da caccia di suo padre, ognuno un soggetto che immortalavo prima, e fissavo poi in camera oscura.
E quelle foto iniziarono a divenire gli spunti di riflessione sul mio progetto del podere tutto mio: desideravo avere dieci pecore "così"... e mostravo la foto delle pecore, piuttosto che un maiale più scuro di "questo"...e toccava alla foto del maiale immortalato mentre ignaro si godeva la pozza del fango.
Fu in quegli anni che decisi quanto avrei studiato da grande, e che sarei andato all'Istituto Agrario.
Lì avrei conosciuto così tanti nuovi compagni che venivano dalla campagna...ed ero veramente eccitato a quell'idea.
Questa la prima parte del racconto :
http://agricoltoreanacronistico.blogspot.it/2015/04/racconto-di-vita-anacronistica-dal.html
mercoledì 15 aprile 2015
Racconto di Vita Anacronistica: dal principio al primo giorno di scuola (1° parte)
Adesso proverò a fare una cosa che sento di doler fare: ho il desiderio di alleggerirmi di tutti questi panni pesi che mi tengo sempre addosso, e di lasciare che stia più comodo e scoperto in mezzo a voi.
Per quanto ami parlare di campagna, il "concedermi nel privato" non è cosa facile per me, e seppur l'anonimato mi offra una certa sicurezza, sento che sono forse poco adatto a lasciarmi andare a certe condivisioni.
Ma voglio provare...voglio provarci, e vedere cosa succede.
Tra di voi ci sono (pochissime) persone che mi conoscono nella realtà, che sanno che suono abbia la mia voce o quanta barba abbia sulla faccia: proprio da una chiacchierata fatta con uno di queste ho capito che potevo iniziare a concedermi di più.
Questo sono io, le mani sono grandi come la bocca, ma il poco ego viene schiacciato dalla riservatezza (e anche dalla timidezza).
Prenderò questa cosa come un esercizio, e poco alla volta vi racconterò di me, senza affondare troppo: son certo che accoglierete queste mie parole con piacere e nel rispetto.
Si nasce in tanti modi, ed io sono nato di venerdì, a mezzogiorno in punto: il prete suonava le campane ed io facevo il primo vagito (anzi, il primo starnuto). Mamma commerciante, babbo vigile urbano, e ben sette tra nonni e bis nonne ad aspettarmi.
All'epoca i miei non avevano il telefono in casa, e babbo fu raggiunto dalla notizia (data da mio nonno che invece aveva il telefono in casa) mentre stava trapiantando un'ortensia: era proprio destino che venisse a conoscermi con le mani terrose.
La terra mi ha sempre chiamato, e facendo dell'ironia questo era dimostrato anche dai continui capitomboli (da me si chiamano "musate") che facevo: il baricentro è una cosa che ho imparato a capire molto tardi.
Da bimbo tutto è bello...per forza, sopratutto quando sei coccolato da così tante persone.
Ma non me ne approfittavo mai, anzi: se facevo una marachella potete immaginare in quanti mi rimproverassero.
E così, tra tante carezze e qualche sculaccione, mi sono avventurato nel mondo dei bimbi.
L'asilo dalle suore, dove la goduria era quel giardino grandissimo dove ci facevano giocare, e dove c'era il pollaio e l'orto: mi ricordo che ogni pretesto era buono per seguire la suora che andava a cogliere qualcosa o a cavare le uova.
All'epoca avevo difficoltà a pronunciare la lettera "R", e quindi questo rappresentava uno scoglio da superare: un giorno di ritorno dall'asilo, correndo in contro a mamma, le urlai colmo di soddisfazione ed entusiasmo:
"Mamma! Ho compRato un tRRattoRRe gRRRosso e RRRosso!!!"
Ancora oggi questo è un aneddoto che mamma ripropone a tutti noi quando rientro nell'aia con quel trattore "rosso e grosso" che dopo tanti anni son riuscito a comprarmi.
Ero un bimbo calmo, buono, ma che faceva sempre tante domande, e che piuttosto che il pisolino o la preghierina, preferiva ascoltare i racconti o sgattaiolare in cucina mentre veniva preparato il desinare.
La domenica era poi il momento proferito, dove finalmente si mangiava tutti assieme, e dove mi godevo babbo nelle nostre "giratine" con la macchina (ricordo nitidamente l'odore dei sedili della mitica 126 bianca) o nella macchia (ogni stagione era buona per cercare qualcosa).
L'essere curioso e l'avere fantasia mi hanno aiutato tanto, sopratutto nei momenti di solitudine: infatti troppo pochi erano i bimbi con cui giocare, mentre abbondavano gli anziani che mi raccontavano della loro gioventù, dei tempi della miseria, della guerra e dei sacrifici.
Crescere così è per me stato un Dono, un grandissimo Dono, con un'enciclopedia vivente che mi narrava aneddoti e mi passava insegnamenti.
In casa vivevano assieme due mie bisnonne ed i miei nonni materni, ed è con loro che ho trascorso la maggior parte dei miei anni d'infanzia: la casa dei miei genitori era a cinquanta metri, e potevo comunque percepire quel calore familiare anche se spalmato su due abitazioni diverse.
La più anziana di tutte era la madre del mio nonno, mi pare che fosse degli ultimissimi anni dell'800 (forse il 1896): una donna magra, magrissima, con tre denti in bocca, le mani ossute, ma lo sguardo curioso e la voglia di parlare: con me era paziente, e si lasciava "torturare" con quei miei giochi fatti di automobiline e costruzioni.
C'era poi l'altra mia bis nonna, la madre della mia nonna, che è stata una vera e propria seconda madre per me, e che ho avuto la fortuna di avere accanto ogni giorno della mia vita sino alla tarda adolescenza: lei era così affezionata, ma anche severa ed attenta a tutto quello che facevo.
Non di meno sua figlia, la nonna di cui spesso vi parlo e che oggi continua ad essere "in gamba": la più severa, ma anche quella che più mi ha ascoltato, e verso la quale ho sempre avuto la stima più grande.
E poi c'era nonno, suo marito, bello come il sole, elegante, istruito, sagace...per me un vero signore e modello, un uomo che aveva grandi ali alla mente: lui mi spiegava il senso del viaggiare e l'importanza dell'istruzione, ma su tutto mi parlava dell'Amore.
Tutti m'insegnavano quotidianamente qualcosa, che si trattasse di una poesia o di un piatto cucinato.
La cucina era (ed è) sempre stata fonte d'interesse per me, e l'avere così tante donne in casa che cucinavano è stato certamente divertente, ma anche molto istruttivo.
In rispetto per le materie prime, sapere cosa la stagione ci "regalasse", saper sfruttare una verdura piuttosto che della carne senza esasperarne o alterarne i sapori, e poi...saper "rigirare il mangiare".
Rigirare il mangiare vuole dire questo: cucinare un piatto, e poi saperne sfruttare gli avanzi in un piatto diverso, e poi saperne ancora sfruttare gli avanzi in un'altro piatto ancora.
Ed è così che, in tempo di carciofi, mi mangiavo carciofi tutti i giorni senza mai lamentarmi, ogni volta con un piatto "nuovo" sotto al naso, e via per il periodo dei cavoli, quello dei finocchi, degli spinaci, etc.
Ricordo la mia adorata bis nonna quando faceva il brodo: un pentolone d'acqua fredda appoggiato sulla stufa (o sui fornelli), una bella cipolla....grossa, uno stocco di sedano, due carotine, una patatina, uno spicchietto d'aglio...piccolo mi raccomando, un ciuffetto di prezzemolo, qualche foglia di basilico, del pollo, e l'osso di vaccina (spesso il ginocchio...ma molto dipendeva dal macellaio). Sale grosso e pazienza, con quel coperchio sgangherato che veniva dalla prima guerra mondiale (un souvenir che un suo fratello si era portato dal fronte...credo).
Ricordo ancora la sua voce, un poco roca, quelle maniche tirate sempre su, e l'immancabile grembiule.
Quel brodo era così buono, e poi me lo truccava con una spolveratina di noce moscata, che "gli dava quel buono in più" diceva.
C'era quindi i lesso da mangiare, ed il giorno dopo il lesso rifatto (magari in umido con i fagiolini o le patate, ed il giorno dopo ancora le polpette degli avanzi...ed io ero sempre contento.
Non sprecare troppa polpa attaccata alla buccia, perchè si sa che loro avevan veramente patito la fame; non attaccare mai il mangiare al tegame, e non avere fretta nelle cotture: ero un bimbo cresciuto con quelle parole, quelle visioni, e quel libro così consunto dell'Artusi.
Giocavo a briscola ogni pomeriggio, facevo la passeggiata con i nonni lungo le strade di campagna, facevo i compiti e crescevo, tra una febbre ed un malanno.
Non sono mai stato molto in salute, e questo ha minato più e più volte il mio cammino, creando attenzione ed apprensione su di me: ma tutti mi volevan bene, e lo sapevo che tutte quelle raccomandazioni (tante...ve lo giuro), venivano date solo per il mio bene.
"Mettiti la sciarpa, e la cuffia", e quindi uscivo con al papalina sino ai primi caldi.
Mi ricordo che a casa di nonna c'erano quattro scaloni sotto al portone, e nella bella stagione "si scendeva giù a veglia" con le altre inquiline del vecchio palazzo: La signora Franca, la signora Bice, Franchina ed il piccolo Gigi, Ada, ed io, la bis nonna e la nonna.
A volte c'era anche mia (bis) zia, ed il chiacchiericcio si alzava, a far da coro agli altri provenienti dai palazzi vicini: c'era chi faceva l'uncinetto, chi fumava, chi parlava e riparlava, e poi c'ero io, unico bimbo, che ascoltavo e giocavo con la pallina (una vecchia e spelacchiata palla da tennis trovata chissà dove e reduce dei giochi del nostro vecchio cane). Non mi mancava nulla in quei momenti...
Avevo un rapporto "sano" con la televisione, che mi veniva permessa solo dopo lo studiare ed il giocare, e sempre limitatamente, senza eccedere.
La casa nella prateria era il mio programma preferito, dove questa gente si costruiva tutto da se e dove c'era tutta quella campagna pulita nella loro vita...ma il vero amore era lui, il Signor Piero Angela, che con le sue parole mi catturava ed insegnava così tante cose.
Poca televisione, molte chiacchiere fatte a veglia dopo pranzo o dopo la cena, con i racconti di tempi non troppo lontani, e quelle novelle infinite che mi facevano sempre trattenere il fiato.
Si cresce in tante maniere, e presto arrivò il momento delle scuole elementari: il percorso da fare a piedi era veramente breve, ed in quelle poche centinaia di metri sentivo che mi conquistavo il mio "crescere", fatto di scuola e bimbi.
La Vita volle che , dopo qualche giorno di scuola, mi fosse messo di fianco un bimbo che non conoscevo: biondo, con gli occhietti piccoli, silenzioso: lui era A., veniva dalla campagna e ben presto cambiò la mia vita, per sempre.
Per quanto ami parlare di campagna, il "concedermi nel privato" non è cosa facile per me, e seppur l'anonimato mi offra una certa sicurezza, sento che sono forse poco adatto a lasciarmi andare a certe condivisioni.
Ma voglio provare...voglio provarci, e vedere cosa succede.
Tra di voi ci sono (pochissime) persone che mi conoscono nella realtà, che sanno che suono abbia la mia voce o quanta barba abbia sulla faccia: proprio da una chiacchierata fatta con uno di queste ho capito che potevo iniziare a concedermi di più.
Questo sono io, le mani sono grandi come la bocca, ma il poco ego viene schiacciato dalla riservatezza (e anche dalla timidezza).
Prenderò questa cosa come un esercizio, e poco alla volta vi racconterò di me, senza affondare troppo: son certo che accoglierete queste mie parole con piacere e nel rispetto.
Si nasce in tanti modi, ed io sono nato di venerdì, a mezzogiorno in punto: il prete suonava le campane ed io facevo il primo vagito (anzi, il primo starnuto). Mamma commerciante, babbo vigile urbano, e ben sette tra nonni e bis nonne ad aspettarmi.
All'epoca i miei non avevano il telefono in casa, e babbo fu raggiunto dalla notizia (data da mio nonno che invece aveva il telefono in casa) mentre stava trapiantando un'ortensia: era proprio destino che venisse a conoscermi con le mani terrose.
La terra mi ha sempre chiamato, e facendo dell'ironia questo era dimostrato anche dai continui capitomboli (da me si chiamano "musate") che facevo: il baricentro è una cosa che ho imparato a capire molto tardi.
Da bimbo tutto è bello...per forza, sopratutto quando sei coccolato da così tante persone.
Ma non me ne approfittavo mai, anzi: se facevo una marachella potete immaginare in quanti mi rimproverassero.
E così, tra tante carezze e qualche sculaccione, mi sono avventurato nel mondo dei bimbi.
L'asilo dalle suore, dove la goduria era quel giardino grandissimo dove ci facevano giocare, e dove c'era il pollaio e l'orto: mi ricordo che ogni pretesto era buono per seguire la suora che andava a cogliere qualcosa o a cavare le uova.
All'epoca avevo difficoltà a pronunciare la lettera "R", e quindi questo rappresentava uno scoglio da superare: un giorno di ritorno dall'asilo, correndo in contro a mamma, le urlai colmo di soddisfazione ed entusiasmo:
"Mamma! Ho compRato un tRRattoRRe gRRRosso e RRRosso!!!"
Ancora oggi questo è un aneddoto che mamma ripropone a tutti noi quando rientro nell'aia con quel trattore "rosso e grosso" che dopo tanti anni son riuscito a comprarmi.
Ero un bimbo calmo, buono, ma che faceva sempre tante domande, e che piuttosto che il pisolino o la preghierina, preferiva ascoltare i racconti o sgattaiolare in cucina mentre veniva preparato il desinare.
La domenica era poi il momento proferito, dove finalmente si mangiava tutti assieme, e dove mi godevo babbo nelle nostre "giratine" con la macchina (ricordo nitidamente l'odore dei sedili della mitica 126 bianca) o nella macchia (ogni stagione era buona per cercare qualcosa).
L'essere curioso e l'avere fantasia mi hanno aiutato tanto, sopratutto nei momenti di solitudine: infatti troppo pochi erano i bimbi con cui giocare, mentre abbondavano gli anziani che mi raccontavano della loro gioventù, dei tempi della miseria, della guerra e dei sacrifici.
Crescere così è per me stato un Dono, un grandissimo Dono, con un'enciclopedia vivente che mi narrava aneddoti e mi passava insegnamenti.
In casa vivevano assieme due mie bisnonne ed i miei nonni materni, ed è con loro che ho trascorso la maggior parte dei miei anni d'infanzia: la casa dei miei genitori era a cinquanta metri, e potevo comunque percepire quel calore familiare anche se spalmato su due abitazioni diverse.
La più anziana di tutte era la madre del mio nonno, mi pare che fosse degli ultimissimi anni dell'800 (forse il 1896): una donna magra, magrissima, con tre denti in bocca, le mani ossute, ma lo sguardo curioso e la voglia di parlare: con me era paziente, e si lasciava "torturare" con quei miei giochi fatti di automobiline e costruzioni.
C'era poi l'altra mia bis nonna, la madre della mia nonna, che è stata una vera e propria seconda madre per me, e che ho avuto la fortuna di avere accanto ogni giorno della mia vita sino alla tarda adolescenza: lei era così affezionata, ma anche severa ed attenta a tutto quello che facevo.
Non di meno sua figlia, la nonna di cui spesso vi parlo e che oggi continua ad essere "in gamba": la più severa, ma anche quella che più mi ha ascoltato, e verso la quale ho sempre avuto la stima più grande.
E poi c'era nonno, suo marito, bello come il sole, elegante, istruito, sagace...per me un vero signore e modello, un uomo che aveva grandi ali alla mente: lui mi spiegava il senso del viaggiare e l'importanza dell'istruzione, ma su tutto mi parlava dell'Amore.
Tutti m'insegnavano quotidianamente qualcosa, che si trattasse di una poesia o di un piatto cucinato.
La cucina era (ed è) sempre stata fonte d'interesse per me, e l'avere così tante donne in casa che cucinavano è stato certamente divertente, ma anche molto istruttivo.
In rispetto per le materie prime, sapere cosa la stagione ci "regalasse", saper sfruttare una verdura piuttosto che della carne senza esasperarne o alterarne i sapori, e poi...saper "rigirare il mangiare".
Rigirare il mangiare vuole dire questo: cucinare un piatto, e poi saperne sfruttare gli avanzi in un piatto diverso, e poi saperne ancora sfruttare gli avanzi in un'altro piatto ancora.
Ed è così che, in tempo di carciofi, mi mangiavo carciofi tutti i giorni senza mai lamentarmi, ogni volta con un piatto "nuovo" sotto al naso, e via per il periodo dei cavoli, quello dei finocchi, degli spinaci, etc.
Ricordo la mia adorata bis nonna quando faceva il brodo: un pentolone d'acqua fredda appoggiato sulla stufa (o sui fornelli), una bella cipolla....grossa, uno stocco di sedano, due carotine, una patatina, uno spicchietto d'aglio...piccolo mi raccomando, un ciuffetto di prezzemolo, qualche foglia di basilico, del pollo, e l'osso di vaccina (spesso il ginocchio...ma molto dipendeva dal macellaio). Sale grosso e pazienza, con quel coperchio sgangherato che veniva dalla prima guerra mondiale (un souvenir che un suo fratello si era portato dal fronte...credo).
Ricordo ancora la sua voce, un poco roca, quelle maniche tirate sempre su, e l'immancabile grembiule.
Quel brodo era così buono, e poi me lo truccava con una spolveratina di noce moscata, che "gli dava quel buono in più" diceva.
C'era quindi i lesso da mangiare, ed il giorno dopo il lesso rifatto (magari in umido con i fagiolini o le patate, ed il giorno dopo ancora le polpette degli avanzi...ed io ero sempre contento.
Non sprecare troppa polpa attaccata alla buccia, perchè si sa che loro avevan veramente patito la fame; non attaccare mai il mangiare al tegame, e non avere fretta nelle cotture: ero un bimbo cresciuto con quelle parole, quelle visioni, e quel libro così consunto dell'Artusi.
Giocavo a briscola ogni pomeriggio, facevo la passeggiata con i nonni lungo le strade di campagna, facevo i compiti e crescevo, tra una febbre ed un malanno.
Non sono mai stato molto in salute, e questo ha minato più e più volte il mio cammino, creando attenzione ed apprensione su di me: ma tutti mi volevan bene, e lo sapevo che tutte quelle raccomandazioni (tante...ve lo giuro), venivano date solo per il mio bene.
"Mettiti la sciarpa, e la cuffia", e quindi uscivo con al papalina sino ai primi caldi.
Mi ricordo che a casa di nonna c'erano quattro scaloni sotto al portone, e nella bella stagione "si scendeva giù a veglia" con le altre inquiline del vecchio palazzo: La signora Franca, la signora Bice, Franchina ed il piccolo Gigi, Ada, ed io, la bis nonna e la nonna.
A volte c'era anche mia (bis) zia, ed il chiacchiericcio si alzava, a far da coro agli altri provenienti dai palazzi vicini: c'era chi faceva l'uncinetto, chi fumava, chi parlava e riparlava, e poi c'ero io, unico bimbo, che ascoltavo e giocavo con la pallina (una vecchia e spelacchiata palla da tennis trovata chissà dove e reduce dei giochi del nostro vecchio cane). Non mi mancava nulla in quei momenti...
Avevo un rapporto "sano" con la televisione, che mi veniva permessa solo dopo lo studiare ed il giocare, e sempre limitatamente, senza eccedere.
La casa nella prateria era il mio programma preferito, dove questa gente si costruiva tutto da se e dove c'era tutta quella campagna pulita nella loro vita...ma il vero amore era lui, il Signor Piero Angela, che con le sue parole mi catturava ed insegnava così tante cose.
Poca televisione, molte chiacchiere fatte a veglia dopo pranzo o dopo la cena, con i racconti di tempi non troppo lontani, e quelle novelle infinite che mi facevano sempre trattenere il fiato.
Si cresce in tante maniere, e presto arrivò il momento delle scuole elementari: il percorso da fare a piedi era veramente breve, ed in quelle poche centinaia di metri sentivo che mi conquistavo il mio "crescere", fatto di scuola e bimbi.
La Vita volle che , dopo qualche giorno di scuola, mi fosse messo di fianco un bimbo che non conoscevo: biondo, con gli occhietti piccoli, silenzioso: lui era A., veniva dalla campagna e ben presto cambiò la mia vita, per sempre.
venerdì 3 aprile 2015
Primavera intorno casa
Il primo d'Aprile le prime rondini hanno ufficialmente aperto alle giornate più lunghe, ai primi tepori, ed all'esplosione di colori ed odori: è la Primavera.
Il passaggio all'ora solare è stato (come sempre) piuttosto traumatico: la sera si lavora un'ora di più, ma alla mattina ci si sveglia sempre alla stessa maniera...quindi il lavoro è aumentato.
Questo periodo dell'anno è forse tra i più amati dalla gente, e senza dubbio è un momento in cui la Natura offre una vera e propria esplosione di colori e profumi.
Approfittando di un breve momento di relax, mentre rientravo con le capre dal pascolo quotidiano, ho impugnato la macchina fotografica ed ho scattato qualche foto che testimoniasse il "risveglio" della Natura, dopo un inverno "più inverno" di quello del 2014.
Semplicemente, ecco qui alcune delle foto.
Il passaggio all'ora solare è stato (come sempre) piuttosto traumatico: la sera si lavora un'ora di più, ma alla mattina ci si sveglia sempre alla stessa maniera...quindi il lavoro è aumentato.
Questo periodo dell'anno è forse tra i più amati dalla gente, e senza dubbio è un momento in cui la Natura offre una vera e propria esplosione di colori e profumi.
Approfittando di un breve momento di relax, mentre rientravo con le capre dal pascolo quotidiano, ho impugnato la macchina fotografica ed ho scattato qualche foto che testimoniasse il "risveglio" della Natura, dopo un inverno "più inverno" di quello del 2014.
Semplicemente, ecco qui alcune delle foto.
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Le fave nell'orto sono sopravvissute al gelo, ed adesso regalano una splendida fioritura. |
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Le gemme dei ciliegi iniziano a prendere colore |
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L'ortica regala un verde brillante, e presto potrò gustare il risotto fatto con questo erbaggio. |
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Fiore del susino "scosciamonaco" (coscia di monaca). |
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L'abbondante fioritura dell'albicocco fa pensare che, dopo almeno due anni, la primavera stia avendo il suo corso "regolare". |
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