Senza dubbio Le Capre sono, senza nulla togliere ai Polli, gli animali che allevo con maggiore passione ed impegno.
Allevare una capra è senza dubbio assai più impegnativo dell'allevare dei polli, seppur di animale con spiccata rusticità si stia parlando: questo, come tante altre ovvie questioni che eviterò di annoverare, mi ha impedito di iniziare questo percorso in età adolescenziale, quando ancora per denaro, logistica e possibilità dipendevo dai miei genitori.
"Una Capra non è un cane", e la frase dettami dal mio babbo la diceva lunga sulle concrete possibilità di allevare questo ruminante, visto che neppure il cane mi era stato concesso.
Nella mia adolescenza di "futuro Agricoltore" non c'erano ne spazio ne tanto meno gli altri presupposti per imbarcarsi in questa avventura, e come per tante altre cose avevo semplicemente deciso di...aspettare, e sapermi accontentare di quanto già avevo.
Ma ogni volta che vedevo una capra in televisione (o ancor di più dal vivo) sentivo quel tuffo al cuore tipico di chi Ama incondizionatamente qualcosa che non può avere, e trascorrevo pomeriggi interi a fantasticare su come sarebbe stato se io avessi avuto "spazio e presupposti" per poterne allevare almeno una.
A scuola, durante le ore di zootecnia, facevo molte domande sulla questione alimentare, e mi interessavo delle razze e delle loro caratteristiche fisiche e produttive: ricordo con divertimento le tante volte in cui il professore faceva dell'ironia su questa mia passione, dicendo che prima o poi sarebbe arrivata l'inevitabile domanda sulle Capre da parte del sottoscritto.
Durante gli anni dell'Università questa mia Passione pareva essersi sopita, e non sentivo più così evidente la scelta di allevare Capre nella mia "futura Azienda": il non trovare una razza autoctona pareva essere l'impedimento maggiore, e stavo mollando quel desiderio che da tanto mi tiravo dietro.
Ma poi arrivò il Podere, ed arrivarono le possibilità: spazio, tempo, capacità erano a mia disposizione, e le prime due capre presto si aggiunsero ai tanti polli bianchi e all'orto che faceva da cornice alla casa.
Ma quale razza?
Impossibile reperirne una autoctona, in quanto non esisteva una razza autoctona della mia zona.
Impossibile reperire una razza autoctona di zone limitrofe, in quanto neanche in questo caso ne esisteva una.
Pareva (ed effettivamente è così) che non ci fosse stata una selezione (o adattamento) tanto nella storia quanto nella tradizione agricola, da parte di questo stupendo animale.
Le capre c'erano sempre state, ma solo di passaggio (con le transumanze dalle montagne verso alle pianure del mare), o allevate in numero esiguo per fare il latte di casa (in sostituzione del latte vaccino): la pecora aveva così tanto spazio nella storia agreste che forse aveva offuscato la capra ed un suo possibile sviluppo.
Minare la mia convinzione che "la saggezza dei vecchi era imprescindibile" stava divenendo una consuetudine quando parlavo di questo animale, ed il "non trovare un valido motivo per cui non avrei dovuto allevare Capre" era in forte contrasto con la mia convinzione.
Semplicemente...me ne fregai, e decisi che Rusticità e Reperibilità nella zona sarebbero state le Regole da seguire nella scelta delle Capre da allevare.
Le Saanen, le maggiori produttrici di latte allevate in ogni angolo d'Italia, bianche e con quelle mammellone così generose, non mi piacevano: le vedevo troppo delicate e forse più adatte ad una stabulazione fissa o a pascoli meno accidentati dei miei.
La mammella che strusciava quasi a terra si sarebbe certamente rovinata con i tanti pruni, arbusti e sassi che avevo di contorno ai pascoli ed al bosco; e sinceramente non mi interessavano quelle quantità di latte, ma puntavo piuttosto alla concentrazione delle sostanze che avrebbero reso (a mio avviso) un formaggio assai più saporito e gustoso.
Le Maltesi, tenere dagli orecchi ad "olandesina", riuscivo a trovarle in zona, ma sempre in allevamenti a stabulazione fissa, ed oltretutto male si adattavano ai freddi inverni che all'epoca regnavano al Podere.
La Ionica, capra più robusta delle precedenti, dal lungo pelo e senza corna, poteva fare al caso mio, ma non era molto reperibile sulle colline, e trovavo pastori disposti a venderne solo di vecchissime ed oramai a fine carriera.
Nessuna razza Pura per me, e quindi ripiegare sulle meticce fu l'unica scelta possibile.
Iole e Nilde arrivarono in un freddo pomeriggio di Gennaio.
Iole, divenuta ben presto la capobranco, era una meticcia con sangue di Girgentana, Saanen e chissà cos'altro, alta e snella, zucca (senza corna) e dal temperamento assai caparbio, bianca con macchie grigie, ed una curiosa strisciolina marrone sulla testa.
Nilde, una gregaria e madre perfetta, era una meticcia con prevalenza di sangue Camosciata delle Alpi, alta e zucca, con temperamento più mite rispetto alla sua compagna, meno famelica e più silenziosa.
Queste due furono il Mio Inizio.
Una stallina ricavata in un angolo riparato sotto ai cipressi, tavole, pali e bandoni, con un cortiletto tutto per loro e la possibilità di entrare e di uscire quando più lo desideravano.
Tanto fieno a loro disposizione, un pascolo occasionale improvvisato attorno alla casa, e tutta la mia esperienza teorica ed inesperienza pratica.
Quelle due capre erano state acquistate per pascolare, riprodursi, fare latte e regalarmi quella montagna di cacca di cui tanto necessitavo.
Il letame di Capra, da molti bistrattato, se maturato a dovere è un ottimo ammendante per la vigna, gli olivi e l'orto: era fondamentale per me, e sopratutto in quel momento necessitavo di una certa "quantità di qualità".
L'impegno iniziale era piuttosto limitato: alla mattina la visita in stalla, l'apertura del "cancellino" (deputato a separare la parte notte dal recinto attorno alla stalla), un breve controllo per vedere se tutto era apposto, la pulizia o sostituzione della lettiera (fatta rigorosamente di paglia d'orzo o di fieno scadente), il ricambio dell'acqua, il governo con il fieno; alla sera ancora fieno, occasionalmente quel pugno d'orzo (in chicchi), la chiusura del cancellino...
...e così via, di giorno in giorno, sino a che ci fu la prima nascita.
Era un sabato pomeriggio, e le mani fredde non trovavano pace in quel loro sfregarsi a vicenda.
Sentii Nilde belare, e la cosa da subito mi parve assai strana, visto che Nilde aveva belato solo il giorno che entrò nella sua nuova casa: avvicinandomi alla stalla sentivo di sottofondo il respirare affannato di una delle due, ed i richiami che Nilde mi mandava erano una chiara richiesta di assistenza per Iole.
Entrai nella stalla, mi tirai su le maniche, e mi accovacciai accanto a Iole che non pareva affatto disturbata dalla mia presenza, ma che respirava affannosamente: Nilde le stava di fronte, specularmente, ed emetteva dei piccoli e brevi belati, come a scadenzare il ritmo della respirazione della sua compagna partoriente.
Iole spinse non appena mi accostai, e quanto doveva uscire pareva essere bloccato.
Non mi feci troppi problemi, e quello che avevo solo letto e riletto divenne semplicemente automatico per me.
Senza esitare aiutai quel capretto ad uscire: il caldo del suo corpicino fumante, quell'odore di ferro e viscere, le mie mani insanguinate, e la madre che si girava da subito a leccarlo, mentre Nilde assisteva adesso silente.
Quel momento, esattamente quel momento, è e rimarrà indelebile nella mia mente: avevo fatto nascere il mio primo capretto.
Era un maschio, molto più grande di quanto mi aspettassi, e messo a terra si lasciò annusare da entrambe le capre.
Iole mi belò, con un belato lungo quasi come fosse un sospiro, ed appoggiatomi il muso sulla mano insanguinata, mi annusò ripetutamente e poi prese a leccarmi.
Appoggiare quella mia mano sul corpicino unto del capretto appena nato, servì a farla concentrare su chi doveva essere ripulito ed accudito, mentre la fedele Nilde pareva scaldarlo con il fiato.
Rimasi lì, con quelle lacrime di bimbo che salate andavano a perdersi nella barba, mentre quel momento diveniva indelebile nel mio cuore.
La placenta fu espulsa quasi subito, e tutto trionfante me ne uscii dalla stalla con quel budello tra le mani, pronto per portarlo nella concimaia.
Era nato il primo capretto, ed io lo avevo fatto nascere.
Nel suo futuro vedevo un possibile scambio con un amico allevatore, che lo avrebbe accolto nel suo gregge per farlo divenire Becco, e che in cambio mi avrebbe dato una terza capra femmina per il mio gregge.
Pochi giorni trascorsero, scadenzati da ripetute visite in stalla (anche e sopratutto di notte), preoccupato dalla tramontana che sbatteva forte su quei bandoni.
Pochi giorni trascorsero, e mentre quel capretto cresceva robustissimo, fu Nilde (sempre di sabato pomeriggio) a chiamarmi dalla stalla mentre stavo entrando in casa.
Belati lunghi e robusti, accompagnati dai frequenti di Iole e del Caprettino.
Una corsa ed entrando trovai Nilde stesa su di un fianco: si tirò su, ponendomi il suo posteriore, quasi come sapesse cosa lei ed io avremmo fatto di lì a poco.
Una coppia di zampette nere, il musino tondo, e senza toccare la madre mi nacque tra le mani.
Adagiai il piccolo senza curarmi minimamente di scoprirne il sesso, e subito la partoriente iniziò a spingere nuovamente: ben presto due altre zampine accoppiate spuntarono tra quel sangue, e con minor sforzo da parte mia uscì un secondo caprettino, di poco più grande rispetto al primo.
Nilde a quel punto si girò, e nell'annusare prima e leccare dopo entrambi i capretti, dispensò attenzioni anche per me e le mie mani: Iole assistette in silenzio a quella pulizia, andando subito a scaldare col fiato quei due frugoletti scuri, mentre il suo Capretto s'era accoccolato accanto ai due, e li osservava incuriosito.
La notte non chiusi occhio tanta l'adrenalina e la gioia mi avevano fatto visita: erano una femmina ed un maschio, e non ero affatto dispiaciuto da questa opportunità. Una femmina (la più grande) da allevare ed il maschio da cedere o macellare (visto che già un maschio era presente nella stalla).
Ancora una volta, associare la nascita alla morte, tornava ad essere la Costante della mia vita di Agricoltore, condita di consapevolezza, sena alcun rimorso per questo.
Ancora una volta sapevo che la Natura mi aveva regalato la possibilità di avere due percorsi diversi: da una parte una capra che sarebbe cresciuta con la madre, poppandone il latte sino a sei mesi di vita (tanto per una capra...tanto), imparando da subito le regole del pascolo, e divenendo magari una brava madre a sua volta; dall'altra parte un maschio, che non potevo allevare per ovvie questioni di consanguineità, che doveva recuperare forze e peso per essere destinato alla vendita per vita o per macellazione.
La Vita, seppur continui ad apparire ingiusta e sbagliata per molti, è anche questo: consapevolezza, equilibrio tra la morte e la nascita, responsabilità, attenzione.
Tre capretti, saltellanti, con una femmina destinata alla rimonta, e due maschi che avrebbero avuto destini distanti da quelli di Norma, così chiamai la capra robusta di Nilde.
In quei giorni imparai molto, e quanto appresi mi fu insegnato da due capre, Iole e Nilde, e dal loro modo di comunicare senza usare parole, e di fidarsi ed affidarsi alle mie cure ed attenzioni.
Questo fu l'inizio di una storia che non terminerà certo tanto presto.
Il Mio Inizio, durante una calda giornata di fine Marzo |
La capra è un animale simpaticissimo ... e mi piace un sacco il formaggio di capra.
RispondiEliminaCiao Alligatore,
Eliminadella capra mi piace proprio tutto, e non ultimo il suo formaggio.
A tal proposito nei post successivi parlerò anche di questo specifico argomento.
Grazie per la tua visita.
A.A.
Ogni tanto ci penso, al fatto che vivendo in città ci perdiamo tanti sapori, tante emozioni, l'odore dell'erba appena tagliata, del bosco dopo la pioggia, l'odore dei pomodori dell'orto e il sapore dei fichi appena colti dalla pianta. Per fortuna ho i miei che vivono in collina, per cui l'estate recupero qualcosa, però niente di paragonabile ai tuoi racconti. Forse bisognerebbe avere coraggio e cambiare vita
RispondiEliminaCara Geillis,
Eliminaci son tanti modi per cambiare la propria Vita, e non necessariamente questi prevedono stravolgimenti completi di quanto è stato intrapreso sino a quel momento.
Basta poco, almeno io questo credo, un "quotidiano" fatto di minuscoli cambiamenti.
Si può cambiare il modo di acquistare il cibo, il modo di cucinarlo ed il modo di consumarlo...
...si può cambiare il modo di muoversi, di spostarsi da un luogo ad un'altro luogo...
...ed anche il modo di vestirsi, dove e come lo si faccia.
Tanti cambiamenti, dall'utilizzo (e relativo consumo) delle energie, al modo di ossigenare cervello e muscoli.
Cambiamenti, piccoli e grandi, che si possono fare anche in una città, e che possono portare una persona a cambiare vita anche senza aver abbandonato la propria casa.
Ricordati che l'odore del bosco dopo la pioggia, come quello dei pomodori dell'orto, non sono così distante da dove tu vivi: magari un pomeriggio, invece di chiudersi in casa per tre ore, concediti la passeggiata di mezz'ora "fuori porta", e percepirai quel cambiamento...o perlomeno questo è quello che io credo.
Il coraggio a mio avviso lo si ha sempre, si tratta solo di dargli fiato.
Ciao e grazie
A.A.
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RispondiEliminaA me ogni volta che ti leggo, viene in mente mio padre che mi ha donato l'amore per la campagna: a 62 anni appena andò in pensione, tornò immediatamente a vivere a casa nelle mie adorate marche; aveva tanta ferra, assieme ai suoi fratelli ed ha potuto avere ancora 25 seguendo la sua strada, la campagna, la terra le giornate sul trattore, il campo di patate un gigantesco orto,le pecore, la mora romagnola!
RispondiEliminaI tuoi racconti mi fanno rivivere tutto questo
Emanuela
Mi fa piacere farti ritornare alla mente queste cose, e ne sono realmente lusingato.
EliminaGrazie Emanuela
A.A.
Tu sei giovane e io anziano e vedo che ho ancora molto da imparare. Anch'io me ne sono andato dalla campagna da giovane per cercare reddito, ricordo che nella nostra compagnia chi lavorava la terra non era ben considerato. Ora vivo tranquillo e godo dei frutti della natura. Mia figlia vive in una grande città e ogni volta che torna mi rimprovera perché dice che l'ho "mandata via" dalla terra.
RispondiEliminaNon si smette mai d'imparare...lo diceva assai spesso il mio nonno, che dall'altro dei suoi ottantanni suonati confidava sempre nell'imparare cose nuove.
EliminaC'è stato un periodo, oramai svariati anni fa, che FORSE la saggezza lungimirante degli anziani è venuta (un pò) meno.
I figli..i nipoti, tutti incalzati all'abbandonare quei poderi e quelle realtà così difficili...a favore di quelle fabbriche con lo stipendio sicuro, di quegli appartamenti non più ghiacci ed umidi, a favore dei quelle comodità mai avute.
Anni dopo, proprio i figli ed i nipoti di chi fu già figlio e nipote, tornano alle campagne.
Mio nonno aveva ragione!
A.A.
bellissimo post!!!!
RispondiEliminaTante grazie, mi fa piacere che ti sia piaciuto.
EliminaCiao
A.A.
racconto micidiale, nel senso che è bellissimo... grande l'idea di aggiungere la foto!!! immagino cioè che le capre della foto siano quelle che hai e di cui parli nel racconto... sembrano spettacolari, deve essere un animale particolare oltre che più vivace e imprevedibile delle pecore... e deve essere curiosa questa Iole che ha il carattere caparbio...
RispondiEliminaquesto racconto mi ha fatto chiedere in famiglia sulle capre, e mi è stato risposto che dalle nostre parti, cioè la Valdelsa fiorentina, le capre non le tenevano... era tutto coltivato, e gli animali nei poderi erano sempre altri, che occupavano poco spazio e non gli rovinavano il coltivato; il maiale che ce l'avevano quasi tutti, e anche più diffusi erano i polli ovviamente e anche i conigli che erano dappertutto, anche nel paesino, non solo nei poderi... e poi il bove, e qualche mucca, c'erano qua e là, specie nelle campagne questo perchè i trattori non erano ancora diffusi (si parla del primo dopoguerra) e i bovi li usavano come forza motrice... c'era un pastore solo al paesello dei miei genitori, era chiamato "il pastorino" perchè aveva qualche pecora e poco più, faceva il formaggio che vendeva di fatto in zona, si campava di quello... altri animali non erano tenuti, non c'era per esempio nemmeno un cavallo, almeno nei poderi, sicuramente il "sor Padrone" li avrà avuti per andare in giro con la carrozza a inizio secolo, probabilmente nel dopo guerra saranno spariti anche loro, sostituiti di già dalle prime automobili...
in ogni caso mio babbo si ricorda che in qualche podere intorno al paese tenevano una capra, una sola per podere, per fare il "pulito" negli spiazzi, nel senso che la legavano e lei mangiava il prato e qualunque cosa ci fosse a tiro intorno... rasava tutto a zero! ma non ha saputo dirmi che razza fosse... mentre mia mamma si ricorda che la carne di capra era così rara nelle tavole, che nella sua famiglia se ne parlava come di una prelibatezza sopraffina... vero è che per quanto poveri che fossero, parlavano sempre di specialità di cose da mangiare e di cucina, anche di più di quanto si fa oggi!! eh eh... La scelta di cosa mangiare al pranzo della domenica, era sempre fonte di infinite questioni e dibatitti in quella famiglia contadina... c'è da dire che almeno da quel punto di vista non si facevano mancare nulla e la cucina e il mangiare veramente bene, con della roba buonissima era una delle poche cose di cui non pativano affatto!
Come dici tu Alberto, la foto è proprio quella del primo gruppo (Iole è quella chiara).
EliminaTutt'oggi la Iole, Nilde e la figlia Norma sono vive e vegete, anche se iniziano ad avere qualche anno.
Come giustamente fai presente, molte sono le zone della nostra Terra che non avevano tradizioni legate alla capra, salvo la Garfagnana (con la sua bellissima Capra Garfagnina) o poco più.
A fine ottocento ed inizio novecento le capre erano presenti, ma solo di passaggio, e raramente qualcuna veniva "trattenuta", magari in seguito ad un baratto contadino, per il suo latte.
Ma per me questi animali sono a dir poco Favolosi: sin da bambino, in tempi non sospetti, sognavo di possederle e di girare per le colline con il mio branchetto.
Sogno che si è realizzato in età adulta, e che continuo a godermi.
Grazie per il tuo bel racconto.
A.A.
fabio ha lasciato un nuovo commento sul tuo post "Le Mie Capre: il Mio Inizio (1° parte)":
RispondiEliminaHo conosciuto il formaggio di capre in Corsica e mi e' subito piaciuto molto con il suo odore e sapore deciso...L'ho cercato anche da noi ma niente a che vedere...non so se dipende dalla qualita' del latte(le capre in Corsica sono perennemente brade) o dalla sua percentuale nella composizione del formaggio..te che dici?ciao
Postato da fabio in Pensieri di un agricoltore senza tempo alle 16 marzo 2016 15:50
Cercando di ovviare a quest'inconveniente, rispondo a Fabio.
EliminaCiao Fabio,
scusami se riesco solo così a inserire il tuo commento, ma a quanto pare ho dei problemi con Blogspot che ancora devo comprendere.
Anche io ho amato la Corsica anche per il suo cibo, e l'esperienza con il Brocciu (il fenomenale "casgiu naziunale" corso) è stata indimenticabile.
Ho assaggiato, e continuo a farlo, formaggi caprini di varie parti d'Italia, Francia e Svizzera: senza ombra di dubbio è il mio formaggio preferito, fresco o stagionato che sia.
L'ambiente in cui vivono le capre, prim'ancora che l'alimentazione e la razza allevata, sicuramente condizionano la riuscita del formaggio.
Le mie capre, che hanno produzioni assai scarse, hanno dalla loro una consentrazione elevata di sapori e profumi, in un latte così ricco che è impossibile trasformare in un formaggio "che sa di poco".
Vien da se che in Corsica, magari allevando allo stato semibrado, i nostri cugini pastori sappiano fare dei formaggi strepitosi.
E poi...la Corsica è la Corsica, poco da aggiungere.
Ciao e grazie ancora
A.A.
Quando ho letto il tuo bellissimo post mille pensieri mi si raggiravano nella mente ...tra ricordi e realtà ...Da noi capre, agnelli e bufale quando nascono gemellari le regalano a chi le vuole ...Anche io, quando erano piccoli i miei figli, più di qualche volta ho preso queste bestiole piccoline ed era una gioia dare loro il latte, allevarle ...poi al momento che diventavano abbastanza grandi ...talmente c'eravamo affezionati che ci restava davvero difficile sia venderle che ....Ancora sembra di sentire il dolore e i pianti dei miei figli ...Le caprette poi erano impertinenti e nel giardino non perdonavano niente neanche le rose con le spine ...Però sono bellissime !!! Un sorriso, un saluto ....
RispondiEliminaGrazie Franca Rita per questo tuo ricordo condiviso.
EliminaLa separazione da un animale a cui ci si è affezionati, indipendentemente dal fatto che sia cane, gatto, agnello o capretto, è sempre assai difficile...sopratutto per i più piccoli.
Non avendo dei genitori agricoltori, io vivevo solo "di riflesso" determinate emozioni e sentimenti, e certamente non era cosa semplice neanche per me.
Ma ho sempre tenuto a mente che c'erano delle regole, un equilibrio a cui spesso si appellavano i grandi nelle loro spiegazioni, una sorta di "regola" che fungeva anche per quei polli, agnelli o porcellini a cui inevitabilmente mi potevo legare.
Ho imparato presto che c'era un "bisogno" dietro a quell'allevare, e che il contadino che mattava un agnello lo faceva non certo perchè gli piaceva farlo, ma perchè da quel gesto ne traeva il suo vivere.
Questo, negli occhi grandi di un bambino, ha significato consapevolezza, almeno io credo.
Grazie ancora
A.A.